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Sabato, 20 Aprile 2024
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Pagata con una sottoscrizione, e inaugurata da Berlinguer

La sede acquistata con i contributi di operai, contadini ma anche imprenditori ai tempi del Pci. Lo sfratto nell'era del Pd

Lo sfratto della Federazione provinciale del Partito Democratico dalla sede di via Osanna è l’allegoria della crisi del rapporto tra il principale partito della sinistra italiana con la sua storia e la sua base sociale, con cui lo stesso Pd si sta misurando. Qui non c’entrano la nostalgia e il rimpianto per il partito di massa (che ci starebbe pure quantomeno sul piano emotivo, data la situazione attuale) e per il centralismo democratico, ma c’entra la memoria che, si sa, è la matrice ideale anche per i progetti futuri.

La sottoscrizione per l’acquisto

La memoria, il vissuto, ciò che abbiamo visto. Quella sede fu acquistata dalla Federazione del Partito comunista italiano della provincia di Brindisi con il contributo non certo leggero per le tasche di una base prevalentemente operaia, artigiana e bracciantile, di tutti gli iscritti, di tutte le sezioni territoriali e delle sezioni di fabbrica del Pci.

I dirigenti che avevano anche incarichi nelle amministrazioni locali si impegnarono a raccogliere fondi persino presso tanti imprenditori della città e della provincia, alla luce del sole, perché quella sede, anche se di una parte politica, era comunque un tassello del sistema democratico. Poi gli stessi dirigenti firmarono personalmente anche rate di mutuo e cambiali. I parlamentari fecero la loro parte.

La politica non era certo fatta di carezze in quell’epoca: si era nel cuore degli anni di piombo, Moro era stato rapito e ucciso, il progetto del compromesso storico era stato colpito al cuore e pochi anni dopo, nel 1984, sarebbe morto anche Enrico Berlinguer. Il caso Moro aveva reso più profondo il solco tra Pci e il Psi di Craxi, divisi sulla trattativa tra lo Stato e le Brigate Rosse.

L’inaugurazione con Berlinguer

Ma nessuno predicava odio, strappi all’unità nazionale. Anche a Brindisi era così, ed era perciò possibile che il Pci potesse fare dell’acquisto della sua nuova, grande sede, che sia affacciava anche su via Cappuccini e la piazza del Di Summa, un progetto ampiamente coinvolgente. Venne Enrico Berlinguer, il 29 aprile del 1979, ad inaugurarla, per poi tenere un comizio in piazza Santa Teresa, mai così piena di gente.

Ci sono passati in tanti, dal quella grande sala di riunioni al piano terra, la prima ad essere ceduta negli anni delle successive trasformazioni: Pio La Torre, che poi sarà ucciso dalla mafia; l’altro grande dirigente siciliano, Emanuele Macaluso; tante volte Alfredo Reichlin; Giancarlo Pajetta; Ugo Pecchioli; Alessandro Natta; Armando Cossutta prima dello strappo.

Ci andavano anche tanti giovani ad ascoltare quegli uomini che avevano combattuto nelle brigate partigiane e poi avevano contribuito a costruire la Repubblica assieme ai dirigenti cattolici, repubblicani, socialisti, liberali. E poi tanti quadri e dirigenti operai, di cooperative, del movimento femminile: quel salone era quasi sempre impegnato.

Lo strappo su Cerano

Fu in quella sala che si consumò anche uno strappo interno quando si giunse al voto, in una seduta del comitato federale, sulla posizione che il Pci avrebbe dovuto tenere sul progetto della costruzione della centrale Enel di Cerano (strappo, allora, significava rinunciare all’incarico di dirigente, ma non si lasciava la tessera).

Non fu una divisione tra industrialisti e ambientalisti, ma tra due visioni della crisi industriale di quegli anni, tra due modi di valutare il costo sociale di quella operazione. Oggi stiamo tirando le somme e siamo alla soglia di una nuova svolta. Ma che differenza nell’approccio, verrebbe da dire.

Memoria anche quella: ecco perché lo sfratto, notificato al Partito democratico in questi giorni, per tanti che si sono ancora non può essere solo una nota di cronaca. Dietro ogni lira di quella sottoscrizione lanciata alla fine degli anni Settanta ci sono i volti e le storie di tante persone, di tante aspettative poi naufragate.

Ok: a questo punto però solo la mano del cronista può mantenere la rotta della ricostruzione storica, ed evitare deragliamenti. Quella era la sede di un altro partito, di un'altra era politica, di altri attori della vita pubblica, non bisogna dimenticarlo. Ma quando si parla di palazzi del potere, dei vecchi partiti della sinistra, per completezza va detto che in quegli anni dentro c’erano anche i rappresentati di categorie sociali che oggi è difficile vedere con la divisa da deputato o senatore. Magari loro lo sfratto non l’avrebbero mai permesso.

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