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A cura di Blog Collettivo

Ospitiamo in questo Blog opinioni di alcuni cittadini Brindisini

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Tra dirigenti senza concorsi e rimpasti, e i silenzi dei "garanti"

Al Comune di Brindisi si è abolita la pratica dei concorsi pubblici. Soprattutto se si tratta di dirigenti. Una volta, nonostante i partiti si spartissero i vincitori, ogni tanto ci scappava anche l'imprevisto, il candidato bravo. Ora la famelica idrovora della politica ha sostituito i concorsi con le selezioni

Al Comune di Brindisi si è abolita la pratica dei concorsi pubblici. Soprattutto se si tratta di dirigenti. Una volta, nonostante i partiti si spartissero i vincitori, ogni tanto ci scappava anche l’imprevisto, il candidato bravo. Ora la famelica idrovora della politica ha sostituito i concorsi con le selezioni. Cosa cambia? Cambia tutto. I concorsi prevedono una commissione, prove scritte, poi, superata la prima prova, si è ammessi agli orali, e quindi alla valutazione dei titoli. Poi si sommano i tre passaggi e si fissa la graduatoria finale. E, a garanzia di tutti, la magistratura, civile, amministrativa e penale, ha podestà d’intervento.

La selezione invece è molto più semplice e rapida: il candidato deve presentare un curriculum e al massimo sostenere un colloquio, magari sorbendo un piacevolissimo caffè. Poi il “selezionatore” stila una specie di graduatoria di idoneità. Rischio zero. Attraverso questo sistema, che altro non è se non l’italica furbesca versione dell’americano “spoil system”, la politica ha cancellato il rischio dei concorsi pubblici e il Comune di Brindisi si trova oggi ad avere dei 13 posti di dirigente in pianta organica, solo tre di essi coperti a seguito di un normale concorso pubblico (si tratta di Costantino Del Citerna, Angelo Roma e Nicola Zizzi).

Tutti gli altri dirigenti di prima fascia non sono stati scelti per concorso: da un po’ di anni, forse una ventina, il valore e la dignità dell’assunzione concorsuale se una  volta valeva un minimo, oggi al Comune di Brindisi, vale meno di zero. Eppure attualmente a Palazzo di Città hanno preso residenza due personaggi che in fatto di competenza e indipendenza sono a prova di bomba. Uno, il notaio Errico, addirittura ha avuto il compito di vigilare sulla trasparenza dell’operato della sindaca. L’altro, l’avvocato Silvestre, con la sua competenza giuridica nel settore, dovrebbe consentire finalmente alla città di uscire dall’immondezzaio in cui è precipitata.

Stando a ciò che quotidianamente giunge dal Palazzo, la delusione tra i cittadini benpensanti è profonda. Lasciando perdere i primi incidenti di percorso (quello sugli scrutatori del referendum del 4 dicembre, è clamoroso), ha dell’incredibile ciò che è avvenuto recentemente. Cominciamo dall’azzeramento della giunta alla vigilia di Natale. La sindaca Carluccio ha tolto le deleghe a tutti, anche all’avvocato Silvestre che sin dall’inizio aveva proclamato la sua indipendenza, dichiarando di non conoscere neppure quel Lino Luperti, capogruppo dei “Coerenti”, che lo aveva indicato in giunta, anche come vice sindaco, in rappresentanza del suo gruppo. 

Insomma l’indipendente Silvestre, alla cui autorevolezza tutti dovevano abbeverarsi, trattato come tutti gli altri, al pari dei semplici “yesmen” espressione di questa Armata di Brancaleone che (s)governa la città. Uno sgarbo a Silvestre, o il semplice esempio di “sangue e merda” della politica, per dirla alla Rino Formica? Lo capiremo presto. Imbarazzante invece la posizione del notaio Errico. Il Saint Just delle Sciabiche forse si è pentito degli impegni assunti sei mesi addietro sull’onda rancorosa della mancata candidatura a sindaci. Forse doveva contare sino a tre prima di esporsi. Ha taciuto sullo scandalo degli scrutatori, non ha proferito verbo sulla vicenda delle iniziative natalizie (inesistenti o discutibili come l’avviata riapertura del Di Giulio), ora tace anche sulla nuova composizione della dirigenza comunale. 

A seguito di una inchiesta della magistratura, nella primavera scorsa, il commissario Cesare Castelli, con un atto di normale autotutela da parte dell’Amministrazione e degli interessati, trasferì ad altro incarico gli architetti Fabio Lacinio e Teodoro Indini. Il primo, architetto capo (per selezione), dall’Urbanistica venne spostato al Traffico; al secondo, che pur essendo laureato in architettura ha la qualifica di geometra (per concorso?), venne spostato ad altre funzioni. Non risulta che in questi mesi l’indagine si sia conclusa e i due architetti siano stati liberati da ogni possibile gravame penale. 

Inspiegabilmente la sindaca nel nuovo organigramma di fine anno, grazie anche ad una precedente selezione (che non è, ripetiamo, un concorso vero), eleva il “geometra” (per busta paga) Indini al grado di architetto capo, e lascia invece Fabio Lacinio, nell’incarico attribuitogli in autotutela da Castelli. Si tenga conto che nella famosa selezione che aveva abilitato Indini, Lacinio si era classificato al primo posto, e proprio per questo era stato promosso ad architetto capo.  E’ normale tutto questo? E perché Indini viene premiato e Lacinio invece è escluso dalla sua vecchia funzione? Ma soprattutto risponde a criteri di trasparenza spostare dirigenti da una parte all’altra senza una rigorosa verifica di titoli e competenze? E dove è scritto che legalità deve fare per forza il paio con la trasparenza? 

Sul caso dell’ingegnere idraulico Padula (niente di personale, sia chiaro) che da supercapo dell’Ufficio Tecnico (nominato tre mesi fa e già rimosso nell’ultimo organigramma) firma l’ordinanza di sospensione dei contestati lavori dell’Autorità Portuale, dimenticando che lui di quei lavori era collaudatore in corso d’opera, sta ridendo (ma c’è da piangere) tutta la città. 
Ecco, tutto questo, sicuramente etero diretto, sta accadendo al Comune. Michele Errico, uomo di chiesa dai convincimenti profondi, sa che il pentimento è l’arma dei forti. Emiliano potrà pure essere stato un fariseo, ma mai quanto lo sono i burattinai che pretendono di governare la città in questo modo. E questa era anche l’opinione di Errico qualche tempo fa. Quanto a Silvestre, che mi dicono in intima sofferenza, da suo antico estimatore, mi chiedo quanto il gioco sia valso la candela.

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