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Giovedì, 28 Marzo 2024
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A cura di Blog Collettivo

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Ansia da prestazione: cosa è, e come affrontarla

Situazioni sociali imbarazzanti in cui occorre prendere la parola, fornire una prestazione sotto lo sguardo altrui; situazioni in cui occorre farsi valere: possono creare considerazioni negative di sé e delle proprie abilità. È l’ansia da prestazione. Timore, sensazione di essere osservati e valutati negativamente, di essere fragili, incapaci di difendersi e con scarso autocontrollo sono i sintomi tipici dell’ansia da prestazione

Situazioni sociali imbarazzanti in cui occorre prendere la parola, fornire una prestazione sotto lo sguardo altrui; situazioni in cui occorre farsi valere: possono creare considerazioni negative di sé e delle proprie abilità. È l’ansia da prestazione. Timore, sensazione di essere osservati e valutati negativamente, di essere fragili, incapaci di difendersi e con scarso autocontrollo sono i sintomi tipici dell’ansia da prestazione.

La sensazione della sopravvalutazione di quanto richiesto da una situazione, la percezione di aggressività negli altri, che siano più potenti e/o competenti concentra maggiormente i pensieri sulle proprie manifestazioni di ansia. La conseguenza è la perdita di valore personale e paura di disapprovazione e rifiuto degli altri. L’ansia da prestazione si può evidenziare nelle situazioni sociali, scolastiche, lavorative, relazionali, sportive e  sessuali.

Tutte situazioni in cui la presenza dell’altro ci dà il verdetto finale, poiché crediamo che il valore personale dipenda dall’esito della prestazione e dalla reazione degli altri. Inoltre ciò che annebbia la nostra vista è la paura della paura di ricadere nell’errore già sperimentato, di non essere all’altezza nuovamente, perfetti in modo che l’altro possa accettarci. Ed è, invece la non accettazione di noi stessi a farci giocare in difesa. “Noi ci vediamo come gli altri ci vedono, come pensiamo che gli altri ci vedono, immaginiamo sempre il modo in cui appariamo agli altri, i giudizi che ne ricavano e da ciò deriviamo un senso di orgoglio o di mortificazione” (Mead).

La preoccupazione ossessiva per fare una cosa o vivere un certo avvenimento, inficia la modalità di svolgimento e secondo la profezia che si autoavvera, ci preoccupiamo così tanto di non essere in grado che alla fine questa ossessione ci rende davvero incapaci di effettuare l’azione. Ne deriva un blocco prima di iniziare l’azione tanto da ricorrere all’evitamento della prestazione sportiva, scolastica, lavorativa, sessuale, sociale. Evitare però accresce l’idea che non ce la possiamo fare e se nel breve periodo ci fa stare tranquilli, nella prossima occasione aumenterà l’ansia da prestazione.

Prendere molto sul serio la situazione ci fa catastrofizzare l’esito, facendo dipendere da quel successo o insuccesso il nostro valore personale, l’idea che abbiamo delle nostre capacità che inevitabilmente decresce. La nostra mente è molto brava a chiacchierare tanto, ricamando e fantasticando quello che accadrà come peggiore. Cadere in questa ragnatela significa rivivere in un passato che è già concluso o stare in un futuro ancora non arrivato.

In questo modo rischiamo di non vivere il presente tutto da scrivere nel migliore dei modi che possiamo. La doverizzazione, la catastrofizzazione, il pensiero tutto o nulla, lettura del pensiero dell’altro sono distorsioni cognitive che enfatizzano nella nostra mente pensieri negativi su di noi e le nostre abilità. Smontare, ridimensionare, calmare il chiacchiericcio mentale che ci cammina avanti, accettare un errore senza essere schiacciati dall’imbarazzo e dall’etichettamento dell’essere sbagliati, può muoverci verso la consapevolezza che siamo essere umani non perfetti, e con tante qualità da scoprire. Credere di essere bravi abbastanza da riuscire significa dare valore a ciò che facciamo, al coraggio di esporci e non all’esito.  (rita.verardi@libero.it)

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