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Daesh vicino alla sconfitta, ma il futuro resta incerto per Siria e Iraq, con Al Qaeda nell'ombra

Sono passati più di due anni da quel  4 luglio 2014 quando Abu Bakr al-Baghdadi, con in testa un oscuro turbante nero, era salito sul pulpito della Grande Moschea di Mosul, proclamando  la fondazione e la nascita dello “ Stato Islamico dell’Iraq e del Levante"

Sono passati più di due anni da quel  4 luglio 2014 quando Abu Bakr al-Baghdadi, con in testa un oscuro turbante nero, era salito sul pulpito della Grande Moschea di Mosul, proclamando  la fondazione e la nascita dello “ Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”. La sua fazione   controllava già ampiamente parte della Siria orientale ed occidentale, oltre che una zona consistente del Nord-Iraq. Questo cosiddetto “Califfato” aveva ambizioni espansionistiche globali ed aveva generato, nei fatti, un attacco di stampo fondamentalista senza precedenti a tutto l’Occidente. Quel discorso, compiuto nel cuore della seconda città irachena, era stato il culmine di una guerra lampo attuata dagli jihadisti di Daesh,  che  erano anche riusciti a portare dalla loro parte una buona della popolazione  sunnita presente sul territorio iracheno (compresi molti ufficiali militari del vecchio esercito che erano stati fedeli a Saddam Hussein).

Ora lo “Stato islamico” sembra destinato a crollare e a scomparire, non soltanto per la bastonata decisiva che potrebbe ricevere a breve  nella battaglia in corso, proprio in questi giorni, a Mosul. Potrebbe implodere per una serie di fattori, compreso il fatto che negli ultimi due anni il gruppo di Al Baghdadi ha dichiarato guerra a più non posso su tanti fronti. E’ finita in lotta con al Qaeda per la supremazia nella galassia jihadista, con la teocrazia sciita iraniana,  con gli Stati Uniti e con la Russia. Ha compiuto attentati in Occidente ed altrove ma, contemporaneamente, ha subito una serie di sconfitte sia in Iraq quanto in Siria, perdendo una città dopo l'altra.

Ha perso roccaforti importanti come Ramadi e Falluja in Iraq e l'antica città siriana di Palmyra. Allo stesso tempo non vi è più alcuna sua bandiera al confine con la Turchia. I suoi militanti in Libia sono stati sconfitti ed estromessi, già da questa estate, dalla loro base a Sirte. Nei prossimi mesi, Daesh dovrà anche fare i conti con la quasi scontata perdita di Mosul, mantenendo Raqqa come ultimo baluardo da difendere. Ma, a questo punto, una domanda è d’obbligo: cosa succederà dopo l’eventuale dissoluzione dello Stato islamico?  

Il futuro di tutto il Medio Oriente potrebbe dipendere, in gran parte,  da come verrà riempito il vuoto di potere che si verrà inevitabilmente a creare nelle zone dove, sino ad ora, Daesh ha potuto fare man bassa di ogni barlume di libertà. Quindi è necessario prima capire bene quale assetto geopolitico attenderà sia la Siria quanto l’Iraq (un destino che verrà inevitabilmente segnato anche dagli accordi che faranno Trump e Putin).

Non possiamo però neanche trascurare il fatto che la scomparsa dell’Isis potrebbe rilanciare e rinvigorire il suo più acerrimo concorrente ideologico: Al Qaeda. L’ organizzazione che fu di Osama Bin Laden, ora nelle mani dell’ egiziano Al Zawahiri, potrebbe approfittare della situazione per tornare ad essere il riferimento di tutto il fondamentalismo islamico mondiale, scatenando una nuova ondata di attacchi terroristici non solo in  Occidente, ma in tutto il globo.

“Sconfiggere Daesh non significherà aver debellato per sempre il problema del terrorismo fondamentalista”, ha  affermato recentemente Daniel Benjamin del Dartmouth College, che ha rivestito il ruolo di coordinatore antiterrorismo del Dipartimento di Stato durante l'amministrazione Obama.  Chi si illude che la riconquista di Mosul sia la pietra miliare per la sconfitta del terrorismo internazionale forse dovrà ricredersi. Per ora si continuano solo a contare i morti in Iraq e Siria con il pallottoliere.

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