rotate-mobile
Sabato, 20 Aprile 2024
Opinioni

Opinioni

A cura di Blog Collettivo

Timida ripresa della viticoltura nelle zone collinari del Brindisino 

La scomparsa di gran parte dei vigneti che, oltre ad un elemento decorativo del territorio rappresentava una importante fonte di reddito per la popolazione rurale, sparsa nelle contrade interne dei comuni di Ostuni, Cisternino e limitrofi, è diventata cruda realtà

Il visitatore che si affaccia dai balconi della villa comunale di Cisternino, per spaziare con lo sguardo nella valle sottostante popolata dai trulli, le tipiche costruzioni coniche in pietra a secco, non vede più i numerosi appezzamenti di vigneti che, durante i mesi dell’arsura estiva, davano vivacità e colore al paesaggio della Valle d’Itria. La scomparsa di gran parte dei vigneti che, oltre ad un elemento decorativo del territorio rappresentava una importante fonte di reddito per la popolazione rurale, sparsa nelle contrade interne dei comuni di Ostuni, Cisternino e limitrofi, è diventata cruda realtà. 

Infatti, la grave crisi di mercato del vino degli ultimi decenni del secolo scorso, dovuta allo scarso rendimento economico della coltura, incoraggiò tanti coltivatori ad estirpare i propri vigneti per intascare i generosi contributi finanziari erogati appositamente dalla Ue. Contemporaneamente, in quegli stessi territori perdeva di significato la festosità del rito della vendemmia, limitato, ormai, ai pochi vigneti residui, a differenza di quanto accadeva in passato durante il mese di settembre, quando una buona parte della popolazione si spostava in campagna per partecipare alla raccolta dell’uva, al suono di canti popolari. Eppure, quei vigneti erano stati realizzati col sudore di generazioni di contadini che nel tempo avevano migliorato le zone messe a coltura, trasportando con mezzi rudimentali la terra negli avvallamenti dei fondi, per aumentarne lo strato coltivabile, permettendo alla vigna di crescere rigogliosa. 

Vigneto-6

Già in precedenza, negli anni ’60 - ’70 del secolo scorso, si ebbe in quei terreni un notevole calo delle quotazioni delle uve, causato dalla minor richiesta del prodotto, da parte delle grandi multinazionali del vermut, come Martini e Rossi, Cinzano, Gancia, etc, da lunga data clienti abituali, a prezzi “stracciati”, di quelle stesse uve utilizzate per la preparazione delle loro specialità. Né risultati migliori si ebbero con la istituzione delle due Doc, “Bianco Ostuni” e “Ottavianello di Ostuni”, che avrebbero dovuto favorire la commercializzazione di quei vini per il consumo diretto e sostenere gli operatori del comparto. Infatti, dopo un successo iniziale, ben presto le strutture di trasformazione locali entrarono in crisi e dovettero chiudere i battenti per mancanza della materia prima, provocata dalla diffusa estirpazione dei vigneti. Sorte non più soddisfacente toccò alle produzioni vitivinicole dei territori di Cisternino e dintorni, ricadenti nelle delimitazioni confinanti delle due Doc, “Bianco Martina” e “Bianco Locorotondo”, entrambe le produzioni nate in ossequio a spinte campanilistiche, pur essendo, quei vini Doc, formati dagli stessi componenti. 

Se quanto esposto si riferisce al passato, oggi si rilevano alcuni timidi segnali di ripresa della coltura viticola, rappresentati dalla presenza in quelle aree di giovani vigneti, grazie all’impegno di volenterosi ed appassionati imprenditori-coltivatori. Con una differenza sostanziale rispetto a prima, quando i numerosi viticoltori, diffusi nel territorio, si dedicavano alla coltura della vigna e basta, protetti dallo scudo della Cantina Sociale del luogo, alla quale conferire le uve, in caso di bassa domanda di mercato del prodotto. Ora, essendosi dissolta quella diffusa rete di organismi cooperativi, i nuovi protagonisti della rinascita sono diventati veri e propri imprenditori che, oltre all’impianto dei nuovi vigneti, curano con meticolosità la fase enologica del prodotto fino a completarne il ciclo con il confezionamento e la vendita del vino imbottigliato. 

Vigneto uva-2

L’aumentato interesse per la viticoltura da parte dei nuovi protagonisti deriva, in particolare, dal favore presso il largo pubblico dei consumatori incontrato dal vino prodotto dai vitigni tipici della zona, “Ottavianello”, per i rossi; “Bianco d’alessano” e “Verdeca”, per i bianchi. L’amico on. Lorenzo Cirasino, già stimato sindaco di Ostuni e cultore del vino di qualità, mi snocciola un lungo elenco di vitigni autoctoni caduti in disuso, tra i quali “Impigno” e “Francavidda”, per i vini bianchi e “Notaldomenico”, per i rossi. Di fronte al bisogno delle case vinicole di rinnovare il campionario dei vini in offerta ed al successo commerciale dei vini prodotti dai citati vitigni nostrani, la domanda che sorge spontanea è: cosa fanno gli istituti di ricerca e sperimentazione, in collaborazione con il mondo della produzione, per riportare alla luce il ricco ma desueto patrimonio di vitigni autoctoni del passato, per valorizzarne la tipicità e la qualità? 

Il relativo successo di vendita dei vini ottenuti in purezza dai vitigni tradizionali dell’area collinare dimostra innanzitutto come le formule ideate in passato per i vini Doc della zona, già richiamati, siano superate e che i gusti dei consumatori cambiano nel tempo, ma conferma l’altra affermazione, cioè che le imprese vitivinicole per allargare gli spazi di vendita delle loro specialità, sperimentano con successo la coltivazione di molti vitigni fuori dalle aree tradizionali di coltivazione. Questo spiega ad esempio il successo di un vitigno di importazione come “Chardonnay”, diffuso rapidamente in ogni contrada viticola del pianeta. Da ciò la necessità di tutelare le aree di origine dei vitigni autoctoni ed in proposito, rimanendo nell’ambito del nostro paese, non si comprende come il “Montepulciano d’Abruzzo” il “Trebbiano d’Abruzzo”, l’“Aglianico del Vulture”, il “Falanghina del Sannio”, il “Vermentino di Sardegna”, etc. abbiano ciascuno la propria Doc, che abbina felicemente il nome del vitigno all’area di produzione, mentre non sia stata ancora proposta ed ottenuta una Doc per il “Negramaro del Salento”, un vitigno rinomato non solo a livello locale, ma nazionale ed internazionale!

Si parla di

Timida ripresa della viticoltura nelle zone collinari del Brindisino 

BrindisiReport è in caricamento