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Giovedì, 25 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

Ospitiamo in questo Blog opinioni di alcuni cittadini Brindisini

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Chiudere il Marconi, calcio alla storia

Mezzo secolo fa fui alunno del “Marconi”, sezione Commercio con l’Estero. Non arrivai alla fine, ai libri preferivo altri impegni, diciamo così, meno vincolanti. Il dover dare ogni giorno conto di ciò che facevo, da una parte ai professori, dall’altra alla mia famiglia, mi pesava troppo. Per dirla alla De André, il “mio cane si è sempre chiamato libero”. Alla fine, approfittando del fatto che mio padre non c’era più, mi toccò ritirarmi e cercarmi un lavoro. Ma le vicende della mia vita non credo che possano interessare a qualcuno, e quindi mi fermo qui.

Mezzo secolo fa fui alunno del “Marconi”, sezione Commercio con l’Estero. Non arrivai alla fine, ai libri preferivo altri impegni, diciamo così, meno vincolanti. Il dover dare ogni giorno conto di ciò che facevo, da una parte ai professori, dall’altra alla mia famiglia, mi pesava troppo. Per dirla alla De André, il “mio cane si è sempre chiamato libero”. Alla fine, approfittando del fatto che mio padre non c’era più, mi toccò ritirarmi e cercarmi un lavoro. Ma le vicende della mia vita non credo che possano interessare a qualcuno, e quindi mi fermo qui.

Mi sono sentito quindi sempre un po’ ragioniere. Avrei voluto esserlo però solo per fare felice mio padre, per saldare con lui un conto in sospeso: lui mi manteneva e mi mandava a scuola a costo di grandi sacrifici, io volevo ripagarlo con un titolo di studio che lui potesse esibire con orgoglio agli amici del paese (noi eravamo di Tuturano), ed in particolare ai quattro, cinque professionisti (tanti erano in tutta la frazione, compreso il maresciallo dei carabinieri e il maestro) che si riunivano la sera in farmacia a giocare a poker. Di quel “club” mio padre sognava potessi un giorno, di diritto, far parte. Morì prima che accadesse.

Due anni fa, docente di storia e metodi della comunicazione, mi è capitato di tornare al “Marconi” per tenere una lezione ad una quinta classe. L’emozione che ho provato nel rimetterci piede (vi ero uscito nel 1962) era stata enorme. Davanti a me comparvero i volti del mitico professore Mario Assennato, di Aldo Vonghia che insegnava matematica, della Ida Scioscioli, di Silvana Salvemini. Tra tutti mi vidi davanti anche il preside storico del “Marconi”, quel professore Angelo Amato, socialista all’antica, che proprio a mio danno inventò la formula: “l’alunno Stamerra viene sospeso per quindici giorni, ma da trascorrere in classe”.

Aveva capito che ogni sospensione per me era un premio. L’emozione si trasformò in un nodo alla gola, quando entrai nell’aula dove dovevo tenere la lezione, che era il vecchio laboratorio di chimica. Un’aula particolare, con i banchi a semicerchio sui gradoni e la cattedra costituita ancora da un bancone con le mattonelle bianche. Non so se ancora oggi negli istituti per ragionieri si studi la chimica, ma quell’aula è rimasta identica a quella di cinquant’anni fa. Ed è stato in quella occasione, osservando, durante le due ore di lezione, attentamente i ragazzi che erano seduti ai banchi, che mi sono reso conto di quanto fossimo stupidi noi ragazzi di allora, ritenendo che le nostre contorsioni, specialmente quando eravamo in classe mista, potessero passare inosservate ai professori. Lasciamo perdere.

Ora quella scuola la vogliono chiudere. Così ha deciso l’Amministrazione Provinciale, forse sentito il parere dell’Opus Dei, nell’ambito del piano di riordino dell’edilizia scolastica. Bravi. Ma lo sapete che state distruggendo un pezzo di storia della città? Sapete che il “Marconi” è stata la prima scuola superiore istituita a Brindisi? Sapete che alla fine degli anni Venti del secolo scorso, quando si decise che anche Brindisi (che ne era del tutto sprovvisto) aveva il diritto di avere una scuola superiore, si fece un referendum ed i brindisini preferirono l’istituto tecnico al liceo classico (che venne infatti istituito solo un quarto di secolo dopo)? Quando amministrava Errico si diceva che uno dei limiti di quella giunta, oltre all’integralismo ambientale, fosse anche l’assenza di assessori di Brindisi. Ebbene ora –se ricordo bene- ce ne sono tre. Possibile che nessuno abbia sentito un brivido nella schiena votando a favore della cancellazione di un pezzo di storia della sua città?

Certo, capisco che le attuali esigenze didattiche e la diminuzione della popolazione scolastica impongano scelte adeguate, ma non sferrando cazzotti nello stomaco della storia. Andateci piano.  Immaginate, ad esempio, cosa accadrebbe a Lecce se decidessero di chiudere il “Palmieri” o, senza andare fuori provincia, a Francavilla Fontana il “Lilla”, o a Ostuni il “Calamo”? Scuole alle quali, come per il “Marconi”, si sono formate intere generazioni, e che rappresentano un simbolo per le loro città?

Soluzioni alternative esistono, anche in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo. Ad esempio, l’anno scorso, in previsione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, per celebrarlo degnamente anche in provincia di Brindisi, mi venne richiesto dall’Amministrazione Provinciale un contributo di idee, un progetto di iniziative. Del progetto –richiestomi, lo sottolineo- non ho mai avuto notizie (figuriamoci un grazie), ma nelle conversazioni preliminari proposi che la Provincia acquistasse la casa natale di Cesare Braico, il medico dei Mille, e ne facesse un museo del contributo che la Terra di Brindisi dette all’Unità d’Italia, oppure una pinacoteca, istituzione che ancora manca a Brindisi. Mi si obiettò che non c’erano i soldi, ed io suggerii di inserire questa eventualità nel pacchetto delle richieste che l’Amministrazione Provinciale si accingeva a presentare all’Enel per sottoscrivere la famosa convenzione, diventata ormai come la tela di Penelope. Niente di rivoluzionario, dal “Verdi” all’eliminazione dell’amianto alla Cittadella della Ricerca, l’Enel quando viene adeguatamente sollecitata non volta mai le spalle.

Ho fatto un esempio concreto di come si potrebbe valorizzare il nostro patrimonio, se ne potrebbero fare mille altri. Provateci anche voi. Evitiamo però, almeno in questa circostanza, di scadere nell’abitudine (maledizione?) brindisina di dare calci alla propria storia, al proprio orgoglio.

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