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A cura di Blog Collettivo

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Donne nella morsa di un uomo violento: le spie da non sottovalutare

Maltrattate, stuprate, picchiate, uccise. Donne. Questi scenari inondano i giornali e le nostre notizie quotidiane. Ritenute forse ancora culturalmente inferiori, deboli, le donne restano moltissime volte vittime di violenza

Maltrattate, stuprate, picchiate, uccise. Donne. Questi scenari inondano i giornali e le nostre notizie quotidiane. Ritenute forse ancora culturalmente inferiori, deboli, le donne restano moltissime volte vittime di violenza psicologica, fisica, verbale, sessuale, domestica. Sono mogli, ex mogli, sorelle, figlie, fidanzate, ex fidanzate che non stanno ai patti, che sono uscite dal confine delle regole assegnate dalla società, e che hanno pagato con la vita questa “disubbidienza”, questa “libertà”. 

In Italia è presente una triste posizione nella classifica dei femminicidi con una paurosa cadenza matematica, il massacro conta una vittima ogni due, tre giorni. 

Il persecutore può essere marito, compagno, fidanzato, conoscente, padre, nonno, zio, sconosciuto, famigliare. Accade perché quell’uomo si impone ad un “no”, un rifiuto o una scelta di vita non condivisa. Altre volte capita che il molestatore agisca in balia dell’affetto di sostanze o alcool, in ogni caso mostra un temperamento impulsivo, facilmente irritabile, comunica con atteggiamenti e comportamenti caratterizzati da violenza, aggressività. 

Quando la tensione sale in preda all’ira è più facile accendere la discussione anche per una banalità. Se la donna non cede e prova a rimarcare la sua idea, opinione, scelta, l’uomo sente di perdere il controllo, irritandosi agisce superando la linea di confine del rispetto, del pudore, della dignità e dell’umanità. Vinta la discussione l’uomo potrebbe provare vergogna o senso di colpa e ritornare ad essere affettuoso, in una scena di false riappacificazioni, con l’obiettivo di confondere la donna e indebolirla ulteriormente. In altre occasioni nell’attimo in cui il molestatore non sopporta la percezione della perdita di controllo, zittisce la vittima per sempre.

A volte capita anche che l’omicida colpisca se stesso, in preda al terrore della strage compiuta. La rabbia, la paura dominano il persecutore che vuole possedere, controllare la situazione, la relazione e la sua donna, come se fosse proprietà personale perché nella sua prospettiva la donna resta domabile, fragile, da sottomettere. E le donne, che deboli non sono, mostrano anzi troppa resistenza e forza a mantenere ancora in vita una relazione malata, unidirezionale, basata solo sulla prepotenza.  Nel visionario dei massacratori le donne sono solo corpi da possedere ad uso e abuso libero e personale, sono oggetti del loro perverso desiderio di dominio, di un bisogno tanto fisiologico quanto materiale, di soddisfare un qualcosa di frivolo e immediato. Nulla di più. Non sempre si tratta di disturbi psicopatologici, esiste anche la cattiveria pura che spinge a compiere gesti atroci. 

Ci sono spie d’allarme che possono far dubitare della stabilità emotiva dell’uomo. Questi persecutori di fatto avendo un temperamento irritabile, come si diceva prima, non sopportano mai la discussione, il confronto come motivo di crescita. Conoscono solo la prevaricazione e sanno comunicare solo attraverso la rabbia. Ancor prima del primo atto di violenza fisica, si presentano occasioni ambivalenti: gesti impulsivi verso di sé ed oggetti, punizioni verbali, minacce, insulti sono alcuni esempi di avvisaglie di instabilità comportamentale ed emotiva, di scarsa empatia.

Le donne che per paura, senso di colpa, non denunciano il loro aguzzino, credono ad un certo punto di meritarlo quel trattamento, convinte che non ci sia un modo diverso di essere coppia. Esse sono affettivamente dipendenti, temendo di rimanere in una tremenda solitudine, non riescono a sciogliere la catena dell’abuso. Restano in quel circolo vizioso piuttosto che cercare un altro destino, forse migliore.

Ritengono che sia più “giusto” rimanere in quella situazione di sottomissione che decidere altrimenti, perché non sopporterebbero il peso della colpa di aver disgregato una famiglia, un matrimonio, di aver incentivato la rabbia nel loro aguzzino. Si sentono colpevoli di aver innescato una bomba, a loro discapito: in realtà essa è scatenata dalla rabbia e dalla paura dell’uomo e mantenuto in vita dal terrore delle donne di essere uccise. 

In questa costrizione le donne sono risucchiate dolorosamente nel vortice della paura, del terrore, nell’incubo di conseguenze peggiori. Sciogliere questa tortura che fa morire dentro giorno per giorno, non è facile, ma può essere un passo per la vera libertà basato sull’amor proprio. Anche rimanendo in un tipo di relazione patologica si sta già morendo piano piano. Ogni donna in quanto tale merita di ritrovare stima per se, di essere amata e stimata in una relazione sana, desiderata da entrambi e fondata sul rispetto reciproco.

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