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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

Ospitiamo in questo Blog opinioni di alcuni cittadini Brindisini

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Giornalisti per caso, caso-giornalisti

Il problema dell’informazione a Brindisi è uno dei temi centrali del cambiamento di questa città e di questo territorio. Prima di entrare nel merito di alcune questioni vorrei rappresentare, forse schematicamente, tre o quattro situazioni. Su cosa avviene la sfida tra i principali quotidiani locali? Sulla politica? No. Sulle strategie per lo sviluppo? No. Sulla questione del rigassificatore? Neppure. Pro e contro Mennitti o Ferrarese? Si trovano in pagina raramente duelli a fil di penna su questo tra commentatori, direttori e testate. Come è bene evidente, il confronto è solo commerciale e avviene sul terreno della cronaca nera e giudiziaria molto più neutro e dove non c’è bisogno di scoprire magagne o denudare re: ci hanno già pensato investigatori e giudici.

Il problema dell’informazione a Brindisi è uno dei temi centrali del cambiamento di questa città e di questo territorio. Prima di entrare nel merito di alcune questioni vorrei rappresentare, forse schematicamente, tre o quattro situazioni. Su cosa avviene la sfida tra i principali quotidiani locali? Sulla politica? No. Sulle strategie per lo sviluppo? No. Sulla questione del rigassificatore? Neppure. Pro e contro Mennitti o Ferrarese? Si trovano in pagina raramente duelli a fil di penna su questo tra commentatori, direttori e testate. Come è bene evidente, il confronto è solo commerciale e avviene sul terreno della cronaca nera e giudiziaria molto più neutro e dove non c’è bisogno di scoprire magagne o denudare re: ci hanno già pensato investigatori e giudici.

Altro scenario. Sono brindisine le più forti emittenti con redazioni nel territorio? No, con tutto il rispetto per il ruolo svolto da Puglia Tv e Tele Radio Città Bianca: la parte del leone la fanno Studio 100, Telerama e Telenorba. Terza questione: in che percentuale è quantificabile il pressing dell’informazione locale su politici, imprese, enti? Giovanni Antonino da solo continua ad assorbire dopo otto anni il maggior peso della severità inquisitoria di varie testate. Per carità, tutto basato sulle carte processuali perché, senza quelle, di inchieste (giornalistiche) se ne vedono assai poche.

Altro fattore non trascurabile né secondario. Molta gente non sa che l’editoria è stato il primo settore dell’economia italiana ad applicare a piene mani le nefaste norme sulla flessibilità del lavoro. Il precariato, nei giornali e nelle tv, è alle stelle. Per arrivare all’agognata meta dell’esame per diventare giornalisti professionisti le strade sono sempre più strette, e quando ci arrivi dopo non cambia nulla: ti davano 300 euro da pubblicista, continui a prenderne altrettanti anche con il passaggio all’Albo dei professionisti. E se non ti va sloggi, tanto dopo di te c’è la fila. La cosa riguarda chi scrive, chi fotografa, chi si porta in spalla una videocamera.

Ottenere il famoso articolo 1 del contratto nazionale di lavoro, quello dell’inquadramento a tempo indeterminato o anche determinato, ma con lo stipendio previsto dalla tabelle contrattuali, è più raro di un terno al lotto. Nelle tv locali non esiste neppure, il contratto nazionale di lavoro della categoria, ma un contratto di settore denominato Aeranti-Corallo (le sigle delle due associazioni che rappresentano un migliaio di imprese televisive e radiofoniche), nel 2003 firmato solo dalla Cisal.

Se si vuol sapere quanti sono i giornalisti inquadrati con l’articolo 1 a Brindisi non si farà fatica a metterli in fila: sono meno di 10 su tutte le firme, le voci e i volti che lettori, radioascoltatori e telespettatori vedono ogni giorno, leggono, ascoltano. Quella decina scarsa al lordo guadagna quanto tutti gli altri messi insieme, operatori inclusi, e per lo più organizza e impagina gli articoli scritti da quelli che guadagnano 300 euro (che trovano anche le notizie). Ma non è questo il livello sfruttatori-sfruttati: questo è il risultato della nuova organizzazione del lavoro voluta dagli editori. Ne pagano dieci con l’articolo 1, per organizzare il lavoro di quasi cento.

E’ da questo punto in poi che voglio affrontare il ragionamento che faceva Vittorio Bruno Stamerra. Il “giovin cronista” è uno che sta tra i cento. Uno dei tanti giovin cronisti che non hanno certo l’autonomia di infilare il dito nel sedere di alcuno (non proditoriamente), ammesso che abbiano voglia di farlo. Conosco molti colleghi, ci parlo quando capita, e so come la pensano sui fatti della vita pubblica brindisina e su alcuni dei suoi protagonisti.

La loro è una posizione estremamente critica, ma non sono quelli i toni, le chiavi di lettura e metodi previsti dalle loro sovrastrutture editoriali. Ora, chi ha le spalle più forti si può permettere maggiore autonomia, chi è debole può anche immolarsi sull’altare della verità. Molto più spesso ci si adegua all’indicazione ricevuta: “Facciamo questa cosa così e così, e chiediamo questo e quello”. Eseguire alla lettera.

A questo punto se dicessi che tutti sono vittime del sistema farei sbellicare dalle risate chi conosce alcuni retroscena che rimarranno forse per sempre tra il materiale non utilizzabile in alcuna sede. Ma la maggior parte sì. Hanno conoscenze, agende, relazioni, intelligenza per fare informazione alla grande, però non in questa situazione. Si vuole una informazione veramente libera, si vogliono le schiene dritte? E allora si tiri fuori dal polveroso cassetto in cui giace da anni al Parlamento la legge sulla riforma dell’accesso alla professione giornalistica, invece di parlare di galera per i cronisti. Si faccia un falò delle norme che hanno fatto del precariato un sistema. Si introducano tutele economiche e previdenziali adeguate. Un volta ho scritto che un giornalista precario a Brindisi scambierebbe molto volentieri il proprio salario con quello di un dipendente Monteco. Non stavo scherzando.

In questo clima la cosa peggiore è dividersi. Per prima, la solidarietà tra colleghi (è un principio che non c’entra con la necessità della critica e con l’articolo sui “giornalisti per caso”, che non sono purtroppo una categoria inesistente). All’azienda si deve quanto si riceve, non certo l’anima e la testa. E bisogna parlare liberamente dei nostri problemi. Per questo da direttore di questa testata e di TB, che hanno pubblicato l’intervista a Giovanni Brigante del collega Fabio Mollica senza la domanda sul rigassificatore, che invece Vittorio Stamerra ritiene prioritaria, ho pubblicato anche la sua critica tutt’altro che tenera. Ed ora ne parlo senza alcun timore di confondere un ragionamento sulla nostra professione con la scenetta dei commilitoni che si sparano addosso o del fuoco amico, che magari qualcuno ha già pregustato. Come Stamerra, non seguo le regole della politica, ma quelle dell’informazione. Parliamo tra noi e contemporaneamente con tutti.

Secondo il mio punto di vista, che è soggetto ad errori come quello di altri, la domanda non era necessaria perché Brigante è stato eletto al consiglio regionale con una lista che ha nel proprio programma il no al rigassificatore nel porto di Brindisi (non credo che Nichi Vendola abbia cambiato idea), e appartiene ad una maggioranza alla Regione Puglia che ha votato questa posizione. Un giornalista non deve mai dare nulla per scontato? E’ vero. Ma allora dovremmo rifare la domanda a tutti quelli che sono formalmente per il no: al gruppo dirigente del Pd, a quello di Sel, a quello di Italia dei Valori, ai socialisti, a Rifondazione, a Ferrarese e Noi Centro, a Salvatore Tomaselli, Giuseppe Romano, Toni Matarrelli, e all’Udc. Perché solo a Giovanni Brigante?

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