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Venerdì, 19 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

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Gli scoraggiati spettatori europei e il teatro della politica italiana

Chissà perché alcuni si stupiscono del declassamento del rating dell' Italia da parte delle agenzie internazionali o dello smarrimento che i commentatori internazionali lasciano trasparire quando riferiscono della politica italiana. Eppure i motivi sono abbastanza semplici e riguardano sia la situazione economica che quella politica. Europa non significa solo euro.

Chissà perché alcuni si stupiscono del declassamento del rating dell' Italia da parte delle agenzie internazionali o dello smarrimento che i commentatori internazionali lasciano trasparire quando riferiscono della politica italiana. Eppure i motivi sono abbastanza semplici e riguardano sia la situazione economica che quella politica. Europa non significa solo euro. Quando si dice Europa si indica un continente abitato dal 7% della popolazione mondiale, che produce circa il 25% del PIL mondiale e beneficia per il suo Stato sociale del 50% della spesa pubblica mondiale.

Quindi è l'intero continente ad essere angustiato dal fatto che ogni calo della capacità produttiva incide inevitabilmente sulle entrate fiscali, e di conseguenza impone un ridimensionamento della spesa. In Italia la gestione di questo difficile equilibrio tra popolazione, produzione e spesa pubblica è notoriamente complicato dall'enorme indebitamento pregresso che ci portiamo sulle spalle.

Ad aggravare le cose purtroppo oggi l'Italia vive più di altre nazioni una condizione di contrazione del Pil molto prolungata e con incerte prospettive di risalita. E questo è il motivo principale delle preoccupazioni degli investitori interessati agli equilibri nel lungo periodo della finanza pubblica. Ma gli schemi di analisi di chi guarda dall'esterno al nostro Paese sono messi a dura prova anche dalla situazione politica, poco decifrabile con gli schemi usuali collaudati nel resto del continente europeo.

Secondo questi schemi vi sono generalmente due modi per affrontare i temi della politica economica al fine di aumentare la Ricchezza delle Nazioni. Uno è basato sul convincimento che l'incremento della pressione fiscale, anche quando motivato da intenti solidaristici, provoca nel medio periodo una contrazione più che proporzionale della produzione e dei consumi, per cui si ritiene preferibile un approccio basato sulla riduzione della spesa pubblica e della pressione fiscale associata.

Questo approccio è convenzionalmente definito di destra anche se, non essendo praticabili programmi di tagli massicci alle prestazioni del Welfare contemporaneo senza compromettere la coesione sociale, esso generalmente si presenta con ricette non radicali, che sono definite di centro- destra (Merkel, Cameron, Rajoy ad esempio). L'altro approccio si fonda invece sul convincimento, quotidianamente divulgato dal premio Nobel Paul Krugmann, che solo una crescita mirata della spesa pubblica può risollevare dalla spirale recessiva le economie occidentali, come in realtà avvenne dopo la grande crisi del 1929.

Questa posizione è poi generalmente associata ad una forte sensibilità verso i temi della lotta alle diseguaglianze sociali attraverso politiche pubbliche redistributive. Essa è conseguentemente definita di sinistra, o meglio di centro-sinistra, in seguito alla constatata impossibilità di politiche socialiste radicali senza provocare aumenti della pressione fiscale, e quindi rivolte fiscali per l'eccessivo prelievo da parte degli Stati ( Hollande, la Spd, le socialdemocrazie scandinave, il Pd in Italia, a titolo di esempio).

A fronte di questi schemi collaudati in Europa la politica italiana sembra attirata da altre tematiche vissute come prioritarie: l'età anagrafica e politica di chi  deve prendere le decisioni, se i sondaggi danno vincente alle prossime elezioni Berlusconi o Renzi, se e quando il Pd si spaccherà, etc. Per carità'. Niente ironie. In tutto il mondo le idee e i programmi camminano sulle gambe degli uomini. È nella società democratica post ideologica mettere d'accordo gli uomini è una impresa complicata, dal condominio al Parlamento.

Quello che forse scoraggia di più gli osservatori attenti è il copione che gli attori del teatro politico recitano. Per esempio abbiamo dei programmi del Pdl, del Pd e dei 5 Stelle accomunati dalle proposte di numerosi e significativi tagli alle entrate fiscali senza precise indicazioni di equivalenti tagli alla spesa pubblica (ricetta che, vista dall'Europa, farebbe ripiombare nella escalation del debito pubblico). Uno si aspetterebbe una vasta alleanza per convincere l' Europa a modificare i vincoli imposti all'Italia, almeno per una fase. L'hanno detto Bersani, Grillo, Berlusconi, persino Monti, seppur a bassissima voce. Eppure, malgrado le assonanze programmatiche nella materia economica, i protagonisti della scena politica sono  molto lontani dalla ricerca di punti programmatici in comune. Anzi sottolineano spesso le divergenze che allontanano.

Come realizzare in questa situazione una parziale amalgama politica per governare il Paese rischia di essere una equazione senza soluzione. Ha scritto di recente un mio amico, Carlo Donolo, che per capire quanto governo vi sia in un determinato contesto occorre fare la proporzione tra G, ovvero i programmi e gli effetti di governo, e P al quadrato, ovvero la politica che parla di se stessa. Quando gli ho chiesto se si era messo in testa di imitare le leggi delle scienze naturali mi ha risposto ridendo: no, soprattutto prendere in giro politologi e giornalisti.

Nel frattempo la nostra situazione sociale è molto grave. È lo sarebbe ancor più se non avessimo persone come Giorgio Napolitano e Mario Draghi, bravissimi anche a convincere gli osservatori stranieri interessati che il copione di politica economica per il 2013 è già scritto. Poco importa se per farlo hanno ridato vigore virtuale ad un governo estenuato come il Gabinetto Monti e ci hanno  raccontato la favola dei dieci saggi. Il fine, ovvero evitare una nuova tensione negativa dei mercati, giustifica i mezzi. Ma questo non può bastare a quel terzo degli italiani che soffre acutamente in vario modo il disagio sociale.

 

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