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Giovedì, 25 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

Ospitiamo in questo Blog opinioni di alcuni cittadini Brindisini

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Ilva e dintorni, un caso concreto di conflitto tra magistratura e politica

Se un giudice, in un suo provvedimento dagli effetti sconvolgenti, scrive che una “… politica aziendale (è) ispirata esclusivamente dalla logica del profitto …” è sicuramente un “giudice ideologizzato” ovvero “politicizzato”. L’attacco concentrico politico sindacale – di sistema si potrebbe dire – sferrato, ignorando le questioni di merito della intera vicenda, al gip di Taranto che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare del 23 novembre scorso sul caso Ilva, è partito – subdolamente – da qui.

Se un giudice, in un suo provvedimento dagli effetti sconvolgenti, scrive che una “… politica aziendale (è) ispirata esclusivamente dalla logica del profitto …” è sicuramente un “giudice ideologizzato” ovvero “politicizzato”. L’attacco concentrico politico sindacale – di sistema si potrebbe dire – sferrato, ignorando le questioni di merito della intera vicenda, al gip di Taranto che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare del 23 novembre scorso sul caso Ilva, è partito – subdolamente – da qui.

L’espressione usata, a ben vedere, è forte; solo che per rendere un effetto diverso da quello suo naturale, la frase è stata estrapolata da un periodo di ben altra portata. In realtà il Giudice, nell’ambito di un ragionamento esclusivamente a carattere giuridico, segnala che alla udienza del 30 marzo 2012 è stato acquisito agli atti del processo il testo della “Decisione di Esecuzione della Commissione Europea del 28 febbraio 2012 sulle “ … migliori tecniche disponibili (Bat) per la produzione di ferro e acciaio ai sensi della direttiva 2010/75/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa alle emissioni industriali”.

Sottolinea ancora il Giudice, che al forum Twg (Technical Working Group) per la elaborazione del suddetto documento europeo sulle migliori tecniche disponibili per la produzione del ferro e dell’acciaio, hanno partecipato oltre che “ … vari rappresentanti degli Stati membri e delle organizzazioni che promuovono la protezione ambientale, rappresentanti delle industrie interessate, tra cui, in prima fila, trattandosi della acciaieria più grande d’Europa, i rappresentanti dell’Ilva di Taranto.”

Viene dunque contestato al colosso industriale nostrano di essere ben a conoscenza di quali siano le migliori tecniche disponibili per la prevenzione e riduzione dell’inquinamento da emissioni industriali; di non poter invocare quindi il beneficio della buona fede al fine di giustificare  le “ … persistenti, gravissime inerzie accertate nel corso delle indagini … - le quali inerzie – costituiscono il frutto di una pervicace politica aziendale ispirata esclusivamente alla logica del profitto a detrimento della tutela ambientale della salute dei lavoratori e dei cittadini.”

Ma come si permette questo Giudice di periferia, lontano dai riflettori del potere romano e similari, di pretendere di dare “ effettività” alla Costituzione? Come si permette questo Giudice di scrivere che “ … quando si tratta della salute dell’uomo si deve privilegiare qualsiasi tecnica disponibile che elimini il rischio sanitario dell’uomo, soprattutto quando, come in questo caso, essa (tecnica) appare chiaramente disponibile per ottenere accettabili prestazioni ambientali”?

Come osa questo Giudice di pretendere l’applicazione del principio costituzionale della utilità sociale nell’esercizio dell’impresa che si deve svolgere senza arrecare danno “alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”? Tutti presi da una lettura ideologica del provvedimento cautelare, nonché dalla pruriginosa, ancorché reale, lettura del sistema perverso di relazioni che ruotano intorno all’Ilva smascherato da pagine e pagine di intercettazioni telefoniche tra i vari soggetti in campo, si è tralasciato di parlare dei problemi di merito sollevati dalla ordinanza del giudice tarantino.

Con dovizia di particolari e con estremo rigore giuridico e scientifico, il Giudice descrive, contestandole agli indagati, “ .. le gravissime criticità ambientali accertate con riferimento all’Area Parchi Minerali, Area Cokerie, Area Agglomerato, Area Altiforni, Area Acciaierie e Area GRF ( Gestione Rottami Ferrosi)”. Si scopre così, mettendolo per iscritto, citando sentenze della Cassazione che si è già occupata più volte dell’Ilva di Taranto, ciò che in verità tutti sapevano, vedevano ma passavano oltre, che l’Ilva produce emissioni “non concentrate e non convogliate … ma diffuse e generate direttamente nell’ambiente esterno quali quelle delle polveri sprigionate dai parchi minerali a cielo aperto dello stabilimento siderurgico di Taranto”.

Secondo i dati dichiarati dallo stesso stabilimento (pag. 21)  “le emissioni di polveri in atmosfera di tipo non convogliato sono per le emissioni diffuse da erosione eolica dei cumuli di stoccaggio materiale inferiore a 51 tonnellate (proprio così tonnellate) per anno; per le emissioni diffuse da manipolazione dei materiali solidi (cadute) 668 tonnellate /anno; per le emissioni diffuse da movimentazione stradale all’interno 24 tonnellate / anno”.

Centinaia di tonnellate per anno di pulviscolo che da decenni impregna mare, terra e aria di Taranto; persone ed animali che respirano polveri le quali, a seconda del loro spessore, si insinuano nel sistema respiratorio, provocando patologie gravissime letali per l’uomo e l’ambiente circostante.

Una precedente sentenza del Giudice Rosati (408/2007) – citata nell’ordinanza in questione -  e sempre riferita al caso Ilva, riporta gli esiti di una consulenza disposta in quel processo dai pm procedenti, secondo cui si era determinata “… la dispersione di migliaia di tonnellate all’anno di sostanze nocive nei luoghi circostanti con la conseguenza di un grave impatto ambientale sul territorio interessato ed oggettive condizioni di pericolo di gravi danni alla salute per gli addetti; … negli escreti dei lavoratori si era rinvenuta, in materia significativa la presenza di metaboliti tipici degli Ipa ( idrocarburi policiclici aromatici) con relativo rischio di gravi conseguenze sanitarie”.

Ora quel Giudice ha tolto un cuneo, un appoggio, su cui sinora si era basata una situazione tollerata da un sistema composto da soggetti interessati, compartecipi e consapevoli di uno stato di fatto esplosivo dal punto di vista ambientale e di rischio mortale per l’uomo ed il suo habitat.

Su questi temi specifici, privilegiandone altri, è calato il silenzio; dopo le denigrazioni, è scattato l’isolamento; seguiranno, secondo uno schema più che consolidato ed ormai tragicamente noto tanto più grandi sono gli interessi in gioco, i tentativi di condizionamento: “ … se il 12 non pagheranno gli stipendi qualcuno forse in questa città si renderà conto che non è poi così facile chiudere l’Ilva “ ( da una dichiarazione di un dirigente sindacale riportata dal Corriere della Sera  del 5/1/2013 pag. 23).

Non lasciamo solo quel Giudice ! Intanto la politica è intervenuta, colpevolmente in modo tardivo, con la cosiddetta legge “salva Ilva”: questa volta con una clamorosa invasione di campo all’incontrario.

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