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A cura di Blog Collettivo

Rivivere il 2 giugno del 1946 oggi

Cosa unisce il tempo del 2 giugno 1946 con il tempo del 2 giugno 2022? Il ponte è costituito da 76 anni tormentati

Cosa unisce il tempo del 2 giugno 1946 con il tempo del 2 giugno 2022? Il ponte è costituito da 76 anni tormentati, durante i quali ne abbiamo visto di tutti i colori: la ricostruzione materiale e morale del Paese dopo le distruzioni portate da una guerra disastrosa durata cinque anni, la ricostruzione morale dopo 21 anni di becero fascismo, la ripresa pregna di speranze, prima lenta negli anni ’50, poi di una velocità impensata negli anni del bum economico, le nuove prospettive aperte dagli anni a cavallo del ’68 che animarono gli italiani impegnati a combattere l’autoritarismo presente ancora nel Dna di molti di loro, le lotte per l’affermazione dei diritti dei lavoratori, il terrorismo dai vari colori e le criminalità organizzate che alzano la testa e carpiscono la scena con attentati, uccisioni e stragi, ognuno con i propri metodi e per i propri obiettivi, i tentativi di golpe e la crisi della Repubblica, preannunziata dalla crisi dei partiti, e dunque la crisi della democrazia, le crisi economiche ricorrenti che aumentano le disuguaglianze e le povertà e negli ultimi anni la crisi sanitaria e la crisi della pace nel mondo che sembrava fosse acquisita per sempre nonostante i tanti focolai di guerra sparsi qua e là.

Il tempo che stiamo vivendo è quest’ultimo, caratterizzato dall’incertezza e allo stesso tempo dalla volontà e dalla speranza di venir fuori da una situazione che ha messo in discussione la nostra serenità, la pace del mondo e gli assetti internazionali che dovrebbero salvaguardarla. Il tempo del 2 e 3 giugno 1946, analogamente, fu caratterizzato dalla incertezza sul da farsi. Infatti, crollarono le certezze per effetto degli esiti di una guerra disastrosa nella quale si erano cacciati il fascismo e la monarchia inconcludente che lo aveva sostenuto; quelle certezze che il regime subdolamente aveva trasmesso a tantissimi italiani. C’era perciò da scegliere tra Monarchia e Repubblica, cioè, tra la conferma di quella forma di Stato che si era resa responsabile di tante colpe e la creazione di un nuovo Stato fondato sulla libertà, la democrazia, sul lavoro dignitoso, oltreché, su altri principi forti e condivisi. Anche allora si percepì tra i cittadini, come oggi, un forte bisogno di serenità e di ristabilire la pace nel mondo sulla base della creazione e dell’azione di consessi internazionali capaci di farlo in permanenza. 

Il 2 e 3 giugno del 1946 vinse la Repubblica e fu eletta l’Assemblea costituente che ha prodotto la carta delle regole dello Stato più bella del mondo. Essa ha dato pieno corpo alla Repubblica nascente. Dal loro confronto intendo far scaturire il senso di questa ricorrenza. È sotto gli occhi di tutti come oggi la Repubblica sia in crisi, lo è da tempo, perciò credo che torni di grande attualità (scusandomi per l’autocitazione) quanto scrissi il 18/12/2013 sul mio blog mettendo a confronto Repubblica e Costituzione. Abbreviandone il contenuto per rendere più agevole la lettura e indicando in rosso qualche aggiornamento lo ripropongo con l’augurio di buona festa a chi legge:

                            Ha fallito la Costituzione o la Repubblica?

Da quando ragiono avvedutamente (cioè da qualche anno dopo il primo gennaio 1948, anno di entrata in vigore della Costituzione Repubblicana italiana; allora avevo appena 8 anni, 5 mesi e 24 giorni) ho sempre visto la nostra Carta fondativa della Repubblica parlamentare d'Italia come un libro di regole dello Stato democratico assolutamente perfetta, ancorché molte di queste regole non risultassero (negli anni successivi) e tuttora non risultino attuate in maniera sostanziale. Per di più, questa visione è stata favorita dalla consapevolezza che tali regole furono scritte dai nostri Padri Costituenti, Calamandrei, Pertini, Di Vittorio, Lombardi, Terracini, Foa, Longo, Togliatti, Croce, Nenni, Einaudi, (ancorché giovanissimo non posso non citare anche Moro) solo per citare alcuni dei nomi, dopo esperienze, a dir poco totalizzanti per loro, quali la lotta al fascismo e per molti di essi la partecipazione a quel fulgido periodo della nostra storia, che fu la Resistenza.

Tali esperienze favorirono l'unione degli sforzi di tutti per il raggiungimento di un obiettivo che sembrava utopistico vuoi per la varietà delle posizioni in campo, in larga parte diametralmente opposte, vuoi per la statura dei partecipanti che, però, erano tutti animati dalla comune passione di costruire la nuova Italia senza minimamente essere distratti dalla voglia di protagonismo individuale o di gruppo. Tali forme di protagonismo, comunque, restano fine a sé stesse, rappresentando, peraltro, oggi lo scempio al quale assistiamo inermi: i politici contemporanei non riescono a produrre alcunché di veramente valido per il Paese, neppure una legge elettorale che rispetti i sacrosanti diritti democratici dei cittadini (sulla questione si potrebbe aprire un’ampia discussione, ma non è questa l’occasione).

Gli sforzi compiuti dai nostri Padri Costituenti portarono all'unità d'intenti per mettere a punto un libro di regole condivise capace di essere il faro per la Repubblica nascente. Essi, non senza fatica, ci sono riusciti, partendo dai principi di libertà, democrazia, uguaglianza, solidarietà, dignità (per citare solo quelli sui quali mi soffermerò) implementandoli in ogni ambito della vita del popolo italiano. Ma...il popolo, che negli anni che sono seguiti si è alternato a calpestare il suolo italico, ha iniziato a compiere quei guasti e quell'opera di smantellamento che oggi ci appaiono sempre più profondi e pressoché insanabili, tanto da seminare in molti qualche dubbio sulla validità, oltreché sull'attualità, in molte parti della intera Carta Costituzionale.
(omissis)

Sembra che l'attuazione dei principi fondanti la nostra Costituzione Repubblicana sia approdata ad un punto morto che ha la spettrale caratteristica di "non ritorno", ancorché tale annichilimento sia stato progressivo nel tempo.
Sembra che abbia preso forma una sorta di tetra rinuncia ad attuare in pieno quei principi che ne sono il fondamento, dopo 65 anni (oggi 74) dalla sua entrata in vigore, insieme ad una aberrante volontà di riscrivere un testo che solo per la poco lucida motivazione è destinata al fallimento. I principi fondanti della nostra Carta restano, però, travisati e non attuati oggi mentre scrivo.
Esaminandoli ad uno ad uno non c'è dubbio che il principio della libertà è il primo a farne le spese perché appare forse il più travisato rispetto a ciò che avevano in mente i nostri Padri Costituenti e, dunque, risulta anch'esso non attuato. Libertà significa nel senso che intendevano i nostri Padri: "stato di autonomia essenzialmente sentito come diritto, e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza di ordine morale, sociale, politico" (la definizione è presa non da testi filosofici che sono alle origini del liberalismo: le teorie giusnaturalistiche di John Locke, le teorie dei filosofi scozzesi David Hume e Adam Smith e dell'illuminismo francese, né da testi prodotti della complessa evoluzione concettuale seguita in tutta la modernità e la contemporaneità che ne analizzano gli aspetti, ma più semplicemente da un diffuso e preciso dizionario della lingua italiana: il Devoto-Oli).

Tale principio appare oggi travisato tanto che si è giunti ad una ridefinizione in senso negativo dello stesso. In tale sorta di ridefinizione si può certamente scorgere il segno indelebile che ha lasciato il "nostro (Berlusconi)" (io non lo nomino più con il suo nome e cognome ormai da qualche anno) in questi ultimi vent'anni (oggi quasi trent’anni): "atto o episodio che rivela mancanza di controllo o di ritegno, riconducibile nei rapporti sociali, o a eccessiva confidenza o a mancanza di rispetto" (questa diversa lettura nella quale si concretizza il principio di libertà è sempre tratta dal Devoto-Oli). Mi sento a questo punto anche di aggiungere per quanto attiene ai rapporti politici: "privo di qualsiasi riferimento al bene comune che è sostituito dalla spregiudicatezza del più bieco individualismo fondato sull'interesse personale" (n. d. a.).

Il principio di libertà presente in Costituzione, peraltro, non risulta oggi attuato nella benché minima parte. Bastono le semplici osservazioni che seguono per rendersene pienamente conto. Esso dovrebbe essere "garantito da una precisa volontà e coscienza di ordine morale, sociale, politico", ma ancorché sia particolarmente abusato sul versante della libertà di parola, di pensiero e di stampa (in nome di questi aspetti del principio si dicono e si scrivano le più strampalate baggianate che a volte non sono solo tali, ma sono anche devastanti perché possono creare guasti insanabili nelle menti dei cittadini, in particolare dei più indifesi), non lo è altrettanto sul versante della libertà di ogni cittadino di poter contare nelle scelte. Ogni cittadino dovrebbe poter affermare la propria personalità mentre, invece, quelli comuni, che costituiscono la stragrande maggioranza del popolo, sono sopraffatti dai potenti che sul piano economico e della furbizia, senza ritegno, riescono a dettare legge e a schiavizzare i primi. Ne discende che il principio di libertà non è affatto garantito dalla succitata "volontà e coscienza di ordine morale, sociale, politico".
Faccio un solo esempio: la concussione (art. 317 c.p.) e la corruzione (art. 318 c.p.) sono reati, oggi spaventosamente diffusi e in continua e sempre più allarmante espansione, che tolgono libertà ai cittadini onesti, la libertà di poter competere facendo prevalere solo il proprio merito, spesso senza alcun rimedio. Si dovrebbe, proprio per restituire libertà a tali cittadini onesti, mettere in campo ogni azione per stroncare questi spregevoli reati anche ricorrendo ad un provvedimento eccezionale, come fu il 416 bis, che costò la vita al suo ideatore Pio La Torre. Nella fattispecie il reato è riconosciuto dal nostro Codice penale mentre il reato di associazione mafiosa non lo era, ma le misure per contrastare i reati di concussione e corruzione fanno acqua dappertutto e, dunque, potrebbero essere stroncati con il sequestro prima e con la confisca poi dei beni acquisiti dai malavitosi che compiono questi reati. Non si fa questo, ma anche nulla in concreto per contrastare tali reati che tolgono libertà ai cittadini.

Gli esempi si potrebbero moltiplicare; ahimè, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Sul principio di democrazia, ( democrazia dal greco δῆμος (démos): popolo e κράτος (cràtos): potere), che "etimologicamente significa "governo del popolo", ovvero sistema di governo in cui la sovranità è esercitata, direttamente o indirettamente, dall'insieme dei cittadini" (definizione tratta da Wikipedia), mi sono espresso molte altre volte ma anche qui c'è da sottolineare che siamo ancora molto lontani da ciò che avevano in mente i nostri Padri Costituenti che è molto vicino alla definizione sopra riportata. Mi preme ripetere che la democrazia non è affatto un sistema di governo statico, ma è un sistema in continuo movimento e, dunque, è un processo con alti e bassi. 
(omissis)

Matematicamente possiamo pensare “che la democrazia sia una curva che tende asintoticamente ad assumere un determinato status della società nella quale opera e che questo status sia la tendenza sempre più prossima al raggiungimento della perfezione delle sue parti che nell'immaginario epilogo del processo si concretizza in una società giusta che ha al centro la libertà di ogni cittadino e l'eguaglianza di ognuno di essi con l'altro."Fermo restando questo concetto, che dà qualche alibi a chi in questi 65 (74) anni del dopo-costituzione non ha contribuito a realizzare la piena democrazia, va ribadito che quest'ultima tende, però, soprattutto al governo del popolo, ma in questa fase della nostra Storia il popolo non governa proprio nulla né direttamente né indirettamente e non governa neppure sé stesso dal momento che non ha la piena libertà di farlo come si osservava in precedenza.

Un solo esempio anche qui tratto dalla cronaca attuale. La vicenda della legge elettorale. Da ben otto anni (erano gli anni fino al 2013) il nostro Paese ha vissuto utilizzando una legge elettorale incostituzionale, quindi, il nostro popolo è stato chiamato a partecipare alle scelte elettorali (fondamentali strumenti della democrazia) non in condizioni di esercitare i suoi diritti democratici, ma in condizioni di non rispetto di quei diritti, situazione che, ovviamente, rappresenta non uno stato di avanzamento della curva democratica, ma uno stato di arretramento rispetto agli obiettivi di perfezione delle sue parti che essa lascia intendere. Stallo dunque del processo democratico e privazione della democrazia agli inermi cittadini di questo Paese.

Anche qui gli esempi si potrebbero moltiplicare; ahimè, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Sul principio di uguaglianza, intesa come uguaglianza sociale e antropologica, non ho molto altro da aggiungere se non quello che ho pensato e scritto sull'argomento sempre nel 2013. 

(Omissis) 

"La filosofia dell'antichità ha toccato per la prima volta il concetto di uguaglianza tra gli uomini con l'avvento dello stoicismo attorno all'inizio del III secolo a.c. ad opera di Zenone di Cizio, dopo che nel IV secolo a.c. Platone, il suo discepolo Aristotele e la filosofia dominante della Grecia antica avessero posto l'accento invece sulla natura diversa dell'uomo. Lo stoicismo che nelle sue tre fasi si estende fino al III secolo d.C. si incrocia con l'avvento del Cristianesimo che, affermando la comune discendenza dell'uomo dall'unico Padre, quindi uomo dotato della stessa dignità, rafforza il concetto di uguaglianza che deve unire tutti gli uomini.

Naturalmente, nel corso dei secoli tale principio non è stato tanto facilmente accolto e la storia dell'intero Medioevo dimostra che l'idea della disuguaglianza tra gli uomini ha dominato per secoli. Nel XVII e XVIII secolo l'idea dell'uguaglianza tra gli uomini ha cominciato a giocare un ruolo decisivo anche riguardo alle questioni sociali e politiche ad opera di filosofi dello spessore di Hobbes, Locke, Rousseau, Kant, prendendo poi sistematicamente corpo nel XIX secolo ad opera di Marx ed Engels e nei secoli successivi della modernità con altri illustri pensatori. Ciò nonostante, senza voler togliere nulla alla positiva evoluzione del principio di uguaglianza che si è determinata in ogni campo della filosofia, del sociale, del diritto, della politica, è amaro registrare ancora oggi che tutto non è ancora compiuto. Il nostro Paese poi è un esempio di incompiutezza su tale questione; basti solo riflettere, infatti, sullo stato di attuazione dell'art. 3 della nostra Carta costituzionale. Se poi questo riferimento appare inadeguato, mi rendo conto infatti che la materia dell'art. 3 è piuttosto complessa in quanto il suo contenuto è un autentico campo minato per l'uguaglianza, si può fare riferimento a cose molto più concrete, cioè, a cittadini in carne ed ossa che dimostrano senza alcun dubbio come si può essere più disuguali degli altri. Alcuni di questi cittadini di questi tempi sono su tutti i giornali e tutte le emittenti ne parlano; essi sembrano segnati, non saprei definire bene da che cosa, ma certamente sono segnati da uno spirito maligno che li rende diversi dagli altri cittadini.
(omissis)”

Anche qui, ripeto, gli esempi si potrebbero moltiplicare; ahimè, c'è solo l'imbarazzo della scelta. Ma, voglio chiudere questa riflessione sull'uguaglianza con una domanda semplice che  s'impone perché è dirimente : come si può essere uguali se alcuni cittadini sguazzano nel benessere e nell'agio e spesso starnazzano nel superfluo (decine di migliaia di euro di stipendi, pensioni d'oro, buonuscite di milioni di euro, lauree comprate senza ritegno, ecc., tra questi ecc. metto anche gli stipendi, le pensioni e i privilegi dei politici dei vari livelli) e altri cittadini sono tentati dal suicidio e si suicidano perché non riescono più a mettere il piatto a tavola per la propria famiglia oppure, mettendo in secondo piano questi gesti estremi, non riescono semplicemente a racimolare i soldi per l'iscrizione all'Università dei propri figli dove le tasse da pagare sono tali da essere accessibili solo ai ricchi e ad altri capaci di compiere sacrifici enormi e che, comunque, sono in condizioni di farli? E gli altri che non sono neppure in condizioni di compiere quei sacrifici? Dove è il connesso principio delle pari opportunità iniziali? Ciò inficia a monte il concetto del "merito" di cui tanto si parla a sproposito e non nella sostanza che esige preliminarmente le pari opportunità iniziali. Da questo punto di vista l'art. 3 della nostra Carta, soprattutto per quanto riguarda l'aspetto sostanziale, costituisce un fallimento completo.

Sul principio di solidarietà, la cui definizione generale, che non scomoda affatto i suoi aspetti sociali e antropologici, tratta dal Sabatini Coletti recita: " Rapporto di comunanza tra i membri di una collettività pronti a collaborare tra loro e ad assistersi a vicenda", ho qualche ritrosia ad affrontarne la riflessione perché temo di evidenziare l'aspetto animalesco più becero dell'umanità: l'egoismo monocolo e spietato condito negli ultimi tempi dall'egolatria di molti personaggi più o meno noti, esempi fulgidi di imbecillità congenita, come quella del "nostro" (anche qui non posso fare a meno di citarlo, ma a sua parziale discolpa devo dire che in questi 65 (74) anni gli esempi sono molti).

L'art. 2 della Carta oltre ad affermare che "la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo..." afferma anche che "richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.".  Rileggendo la definizione di solidarietà riportata sopra ci si può facilmente rendere conto come questo dovere che tutti i cittadini e le organizzazioni del Paese dovrebbero sentire non viene per nulla praticato o lo è solo a parole e spesso maldestramente e con sfrontatezza. Analizzando il fenomeno possiamo dire che in politica siamo passati da una fase in cui il rapporto di comunanza tra i membri di una comunità pronti a collaborare tra loro, ancorché raggruppati in partiti, e ad assistersi a vicenda è stato improntato a regole non scritte di convivenza civile e rispetto reciproco, almeno per gli aspetti formali, ad una fase in cui è del tutto cancellato il rispetto per gli altri e per le opinioni che essi esprimono, ma tale rapporto appare profondamente inquinato dall'annichilimento di ogni forma di convivenza civile. Abbiamo sostituito a questo doveroso rapporto di solidarietà la denigrazione dell'altro, le ingiurie, i "vaffa" e tutti i turpiloqui atti a smontare l'opinione altrui e far prevalere la propria.

In economia assistiamo ad un'azione di governo (non solo dell'ultimo governo) che ha progressivamente confinato in un miserabile ghetto la stragrande maggioranza della popolazione. Essa è stata confinata nel limbo della povertà e, invece, tale azione ha fatto sì che diventassero sempre più ricchi coloro che erano partiti da condizioni iniziali di preminente agiatezza e che diventassero ricchi anche coloro i quali avendo acquisito condizioni favorevoli alla scalata le hanno sfruttate sempre meglio, spesso sgomitando con furbizia, per arrivare in vetta. Per ciò che attiene all'aspetto sociale possiamo registrare la prova del nove del fallimento del principio di solidarietà. Devo premettere una condivisa definizione di solidarietà sociale tratta da The blackwell enciclopedia of sociology – volume IX – G. Ritzer – Blackwell Publishing – 2007:

"La solidarietà sociale è uno stato di unione o coesione che esiste quando le persone sono integrate attraverso forti legami sociali e credenze condivise e, anche, regolate da linee guida ben sviluppate per l’azione (valori e norme)." Sfido chiunque ad intravedere nella nostra società di oggi questo "stato di unione e coesione". Si palpa con mano e si sente sulla nostra pelle una divaricazione sociale che è di gruppo ma anche individuale. Ognuno si sente portatore della verità e combatte con ogni mezzo, alle volte anche illeciti, per prevaricare gli altri con le proprie abitudini, idee e stili di vita fondati sull'apparire. Chi è più visibile nel nostro mondo di oggi è migliore degli altri e ciascuno, pur di apparire migliore degli altri, è disposto anche a prostituirsi eticamente o fisicamente. A parziale attenuazione di questo stato di cose devo dire che la solidarietà sociale non la abbiamo mai conosciuta anche nella fase iniziale del percorso costituzionale della nostra Repubblica. La contrapposizione tra fascisti e antifascisti ha a lungo occupato la nostra vita e continua ad occuparla. In tempi recenti si è sovrapposta visibilmente la contrapposizione tra i “berluscones” e gli “anti-berluscones” 

(omissis)

Per quanto riguarda il principio di dignità devo dire che esso pervade in molti punti la nostra Carta. Ciò è anche spiegabile con il fatto che al momento del suo concepimento il nostro Paese era appena uscito da una fase drammatica della sua storia conclusasi con una guerra mondiale devastante. Voglio aggiungere che la nostra è stata la prima Costituzione del dopoguerra a porre in primo piano il principio della dignità della persona umana in ogni sua sfaccettatura che ha informato di sé tutte le Costituzioni europee e mondiali venute dopo. Dignità della persona umana, dei comportamenti, dei gruppi, delle scelte.
Dignità significa: "Condizione di nobiltà morale in cui l'uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, ed insieme dal rispetto che per tale condizione gli è dovuto e ch'egli deve a sé stesso" (tratto dal Dizionario enciclopedico italiano - Istituto della Enciclopedia Italiana - Treccani). Se questo era il significato che i nostri Padri hanno dato al principio di dignità, a ben leggere la situazione che oggi in ogni settore della vita del Paese viviamo, c'è solo da rabbrividire nel constatare come anche qui ci troviamo lontani mille e più miglia dal significato originario.
Un solo esempio anche per la dignità.

Il "nostro", principale ma non il solo responsabile del degrado politico, economico e sociale da quando è sulla scena politica, non disdegna di sfruttare le sue disavventure giudiziarie, politiche e private per incolpare gli altri delle sue disgrazie e dei suoi reati senza un minimo cenno ad una autocritica e senza alcun pudore ad accusare magistratura, avversari politici e i suoi stessi poveri accoliti con i quali in passato ha avuto rapporti anche criminosi. Tali comportamenti sono giudicati, non solo dai suoi più stretti collaboratori, ma da milioni di elettori comportamenti giusti. Mi sembra proprio che ciò denoti una totale assenza di dignità personale e di gruppo. Le persone che perdono dignità non si possono giustificare in nessun caso neppure nel caso di necessità impellenti e vitali, tanto meno nelle persone che la perdono per miseri interessi personali o per ignoranza perché hanno l'indolenza di non saper leggere la realtà che ruota loro attorno. L'uomo degno è colui che nel bene vive consapevolmente e scrive la sua storia. Anche qui, ripeto ancora una volta, gli esempi si potrebbero moltiplicare; ahimè, c'è solo l'imbarazzo della scelta.

E allora! "La domanda sorge spontanea": Ha fallito la nostra Carta o ha fallito la nostra Repubblica? Sono fermamente convinto che la nostra Carta non abbia fallito e che tali principi fondamentali debbano restare a suo fondamento, ma sono altrettanto convinto che è necessario procedere ad una seria rifondazione della Repubblica nella sua parte più concreta che è il popolo, suo corpo vivente e pulsante. Ce la possiamo fare se decidiamo, tutti insieme attraverso la partecipazione costruttiva alle scelte, di mettere al centro la Cultura, che non può essere riservata solo a pochi fortunati che la incontrano, ma che deve, in primis, essere considerata da tutti il bene comune. Solo mettendo a coltura la cultura nel nostro amato Paese potremo salvarlo.””.
 

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