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Sabato, 20 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

Formazione degli insegnanti, futuro della scuola e progresso del paese

Riflessioni del professor Mario Carolla sulla qualità dell’insegnamento nella scuola pubblica italiana 

Mi rendo conto che può apparire una riflessione datata quella a cui sto per fare riferimento, ma essendo tale riflessione molto attuale faccio lo stesso un breve riferimento ad essa per far partire la mia. Mi riferisco alla riflessione sulla Scuola di Ernesto Galli della Loggia, pubblicata sul Corriere della Sera del 25/09/2020 con il titolo “La qualità (negata) a scuola”. L’autore esordisce chiedendosi e chiedendoci il senso della frase più abusata da tutti quando si parla di Scuola, cioè: “Bisogna investire nell’istruzione”. Poi, l’autore continua elencando i possibili ambiti di tale necessità d’investimento con alcuni interrogativi: “Nel diritto allo studio? Nell’edilizia? Nel Mezzogiorno? Nella riduzione dell’abbandono scolastico? Nelle retribuzioni degli insegnanti? Nel favorire corsi e sedi d’eccellenza? Nella digitalizzazione, nel promuovere all’università un settore disciplinare piuttosto che un altro?”. A tali ambiti se ne potrebbero aggiungere altri fondamentali per l’ottimale funzionamento del settore dell’istruzione. Ma… ciò che serve a noi tutti e che l’autore mette ben in evidenza è: porre al centro delle varie problematiche la qualità della Scuola. Quest’ultima passa soprattutto attraverso la centralità-qualità degli insegnanti e aggiungerei di tutto il personale della scuola, dal Dirigente scolastico all’ausiliario. 

Non è mia intenzione fare qui la critica al pensiero di Ernesto Galli della Loggia del quale ho riportato solo gli spunti che condivido, ancorché con qualche sottolineatura, ma il richiamo al suo articolo pubblicato solo pochi mesi dopo l’inizio della pandemia (e non due anni e mezzo dopo) mi serve per riflettere sul problema dei problemi della Scuola pubblica italiana fino alla maggiore età delle emergenti generazioni che è la sua qualità.

In primis, ritengo che si debba indagare su ciò che deve essere la finalità di questo servizio pubblico, perciò, parto dall’articolo 34 della nostra ineguagliata Costituzione. In esso i Costituenti hanno voluto sottolineare che la Scuola dev’essere aperta a tutti e deve essere anche inclusiva attraverso gli strumenti dell’obbligatorietà e dell’elargizione di provvidenze per i “capaci e meritevoli” che la frequentano. In tal modo, i Costituenti hanno inteso aiutare la Repubblica a svolgere il compito fondamentale che Essa ha, che è quello previsto dall’articolo 3, pilastro su cui si regge l’intera Costituzione, nella parte sostanziale dell’affermazione del principio di uguaglianza: “É compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli…che impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”.

Stando così le cose, è proprio da questo “pieno sviluppo della persona umana” che bisogna partire. La finalità generale della Scuola pubblica non può che essere la formazione di una persona umana libera, critica, attiva e colta, cioè di un cittadino consapevole dei suoi diritti, libero da ogni condizionamento e capace di rivendicarli, con una sviluppata capacità critica e d’interpretazione della realtà che lo circonda, frutto di un sicuro possesso di una conoscenza quanto più ampia possibile.
Mi rendo conto che non è una cosa semplice perseguire questa finalità ma l’autonomia scolastica, almeno in teoria, ha cercato di renderla più raggiungibile. Essa è entrata in vigore il primo settembre dell’a.s. 2000-2001 (io ero in servizio presso il Liceo socio-psico-pedagogico e linguistico “Palumbo” di Brindisi, prima, come preside e poi come dirigente scolastico), ma fu partorita da una conferenza sulla Scuola, tenutasi dieci anni prima per iniziativa del nostro attuale Presidente della Repubblica Mattarella, relatore Sabino Cassese, e resa praticabile attraverso i successivi provvedimenti legislativi dei governi Prodi 1 e D’Alema 1 e 2 dal ministro Luigi Berlinguer e del governo Amato 2 dal ministro Tullio De Mauro. Questo fondamentale pezzo della riforma della Scuola (la Legge n° 59 del 15 marzo 1997, il Regolamento di attuazione di tale Legge, il D.P.R n° 275 del 8 marzo 1999) è stato portato avanti fino alla fine della XIII legislatura. Con la XIV legislatura, tornato in sella il centrodestra con Berlusconi 2 e 3, la riforma subisce qualche battuta d’arresto, ma l’autonomia scolastica è ormai legge e a nessuno può venire in mente di abrogarla. In questi ultimi vent’anni essa ha resistito e, direi, è avanzata per le esperienze accumulate.   

Con questi provvedimenti la Scuola italiana, il cui profilo era stato tracciato dalla nostra Costituzione negli articoli 3, 33, 34, trova una sua chiara esplicitazione d’intenti. Nel D.P.R n° 275 del 8 marzo 1999 si legge, infatti, che l’autonomia: “è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti”. Trattasi di un compito che va inequivocabilmente nella direzione del raggiungimento di un prodotto di qualità, la cui costruzione richiede alla singola unità scolastica e in primo luogo ai docenti che vi operano: la precisa volontà di far crescere le proprie competenze e di assumere piena responsabilità nella  ricerca didattica, nella produzione della documentazione di materiali didattici, nell'elaborazione del curricolo locale e di nuovi modelli di organizzazione didattica, nel tutoraggio dei docenti neo-assunti, possedere capacità di analisi dell’esistente, dell’ambiente circostante, di programmazione, di definizione delle finalità, degli obiettivi di apprendimento, di lettura delle linee guida, di relazione con tutti i soggetti coinvolti e naturalmente d’introspezione nei loro confronti.

La Scuola della Repubblica non era preparata a questo, ma dopo più di vent’anni, certamente, qualche passo in avanti lo ha mosso. Dobbiamo però amaramente notare che ancora non abbiamo neppure sfiorato la qualità se non in qualche isola sperduta nel nostro territorio nazionale. A ciò si aggiunge il fatto che questi anni della pandemia hanno ancora di più scavato il solco interrompendo anche quei processi virtuosi che si erano messi in moto. Ce lo dicono, per esempio, i dati dell’Invalsi contenuti nel suo Rapporto Nazionale 2021, ma non solo. I dati Invalsi, che certificano le competenze in italiano e matematica degli alunni frequentanti le scuole medie e superiori, ancorché non siano esaustivi per un’analisi completa del problema, sono allarmanti. Essi rispetto al 2019 sono nettamente peggiori e lo sono anche rispetto agli anni precedenti. Come dire che il peggioramento non è solo da attribuire al fenomeno del learning loss, per il quale peraltro la Puglia è in maggior sofferenza, cioè, alla perdita di livelli di competenze e anche di conoscenze e abilità nei discenti a seguito dell’interruzione prolungata dei percorsi di apprendimento, ad esempio quella dovuta alla pandemia, ma sono certamente dovuti anche ad altro. I dati negativi che da anni L’ Invalsi ci fornisce fanno dedurre che la perdita di tali capacità nei discenti sia strutturale e sia dovuta allo stesso impianto dell’intero sistema scolastico italiano e al suo mal funzionamento 

Trattasi, dunque, dell’annoso problema di fondo, cioè, dell’incapacità nostra di mettere in campo la riforma complessiva del sistema i cui tentativi, dico brevemente, sono falliti a far data dagli anni ’70 del secolo scorso. La strada da perseguire è sicuramente quella intrapresa dal ministro Luigi Berlinguer richiamata sopra, cioè, di una riforma complessiva della Scuola da portare avanti a pezzi avendo chiaro in mente il progetto e le strategie da mettere in campo.  Anche questa strada, però, richiede l’indispensabile supporto della continuità dell’azione politica, che continua a mancare.
Una cosa, però, è prioritaria ad ogni altro intervento, si può cominciare e si deve fare per evitare il tracollo del sistema. Ho sottolineato sopra come la qualità della Scuola passa attraverso la centralità-qualità degli insegnanti. Non è la sola cosa, considerato anche il fatto che la Scuola dell’autonomia è una realtà ormai acquisita, ancorché da riempire di contenuti efficaci in orizzontale rispetto all’intero territorio nazionale e in verticale nelle singole unità scolastiche.
Centralità-qualità degli insegnanti significa indubbiamente avere come obiettivo da perseguire una loro formazione iniziale a tutto campo riguardo alle loro conoscenze, competenze e abilità, ma anche una loro formazione in itinere che vuol dire formazione obbligatoria in servizio con ogni apertura al mondo esterno: Università, Associazionismo. Enti di ricerca, ecc.                                 

Non devo spendermi molto su questo argomento perché credo che abbiano detto molto di ciò che c’è da dire le Associazioni professionali di categoria: Aimc – Cidi – Mce – Proteo fare sapere, naturalmente, supportate in primis da Flc Cgil, con il comunicato rivolto al Parlamento italiano: “Una scelta decisiva: dalla legge sulla formazione iniziale ed in servizio degli insegnanti dipende il futuro della nostra scuola e lo sviluppo culturale, economico e democratico del nostro Paese”. L’encomiabile iniziativa è stata messa in campo perché il 15 giugno è iniziato in Senato alla Commissione Affari Costituzionali e Istruzione pubblica l’esame degli emendamenti al ddl n. 2598 di conversione del decreto-legge 30 aprile 2022 n. 36, recante ulteriori misure urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).  La discussione si è avviata ed è previsto l’arrivo in aula per lunedì 20 giugno. Spero che il risultato dia un esito positivo corrispondendo ad un’idea di professionalità degli insegnanti elevata.

Essa si costruisce attraverso i saperi disciplinari e “i saperi professionali in campo psico-pedagogico, didattico, organizzativo e gestionale, professionalità consapevoli, capaci di lavorare in una dinamica collaborativa e di assumere responsabilità istituzionali, collettive, civili.”. I piani di studi all’Università per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento, i tirocini, l’acquisizione di crediti formativi dovranno riempire la formazione iniziale mirata alla qualità del prodotto. La formazione continua in continuità con quella iniziale, attraverso i centri per l’insegnamento, con la indispensabile collaborazione tra Università, Associazionismo e Scuole e il supporto della Scuola di Alta Formazione dovrà accompagnare e sostenere la professionalità del docente durante l’intera sua vita lavorativa. L’arduo cammino si può aprire e si deve iniziare a percorrerlo, il raggiungimento dell’obiettivo non è scontato, ma è doveroso tentare perché è in ballo il futuro della Scuola e il progresso del Paese.

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