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A cura di Blog Collettivo

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"Kater I Rades", un debito con la storia e la civiltà del Mediterraneo

Dopo 15 anni dalla tragedia della Kater i Rades (letteralmente: battello in rada) siamo a cercare ancora risposte su quanto accaduto. Nel recente e commovente “Il naufragio, morte nel Mediterraneo” Alessandro Leogrande ricorda la leggenda legata a Pirro, re dell’Epiro. Come attraversare quel braccio di mare di 70 miglia che in seguito sarebbe stato chiamato Canale d’Otranto? I vecchi ripetevano che Pirro era calmo. Sapeva come raggiungere le basse sponde a ovest: bastava seguire la corrente del fiume Vjosa, poco sopra Valona, che i greci chiamavano Aòos e che gli italiani nell’ultima guerra chiamavano Vojussa. Bastava posizionare le navi alla foce del fiume e sospinte dal soffio degli dei sarebbero giunte, come accadde, in Puglia con il carico d’elefanti.

Dopo 15 anni dalla tragedia della Kater i Rades (letteralmente: battello in rada) siamo a cercare ancora risposte su quanto accaduto. Nel recente e commovente “Il naufragio, morte nel Mediterraneo” Alessandro Leogrande ricorda la leggenda legata a Pirro, re dell’Epiro. Come attraversare quel braccio di mare di 70 miglia che in seguito sarebbe stato chiamato Canale d’Otranto? I vecchi ripetevano che Pirro era calmo. Sapeva come raggiungere le basse sponde a ovest: bastava seguire la corrente del fiume Vjosa, poco sopra Valona, che i greci chiamavano Aòos e che gli italiani nell’ultima guerra chiamavano Vojussa. Bastava posizionare le navi alla foce del fiume e sospinte dal soffio degli dei sarebbero giunte, come accadde, in Puglia con il carico d’elefanti.

A Durazzo è diffusa un’altra storiella: se il mare diventa di ghiaccio (titolo di un libro edito  a Brindisi dall’Editrice Alfeo nel ’93 e scritto da Mimmo Thurra arrivato con la nave Lirya il 9 marzo del 1991, primo grande esodo) basta sedersi in fila indiana e spingersi l’un l’altro, e il mare è bello che attraversato. Ma questo “semplice” avventurarsi verso altre terre non fu possibile per i 130 a bordo della Kater. Anzi per 81 di loro, tra loro tante donne e bambini, quel “battello” si trasformò in una bara ferruginosa. Per noi quel 28 marzo 1997  era Venerdì santo.

Ritornano i perché: è possibile ricordare? E perché farlo? Si deve ricordare? Si deve far sapere a tanti che ignorano o considerano tutto ciò come fatale? Dopo 6 mesi la Kater è stata recuperata su un fondale di  800 metri. Ancora a bordo 57 corpi saponificati. Nel giugno scorso, dopo 14 anni, il processo arriva alla sentenza d’appello. Quale verità è stata cercata nel processo? Quale verità si poteva cercare? Quella dei fatti, ma non quella dei perché? Quella dei singoli e non quella delle comunità? Quale verità ancora oggi può servire, può esserci utile per meglio capire e governare le cose (che sono le vite) degli uomini, dei popoli, degli Stati?

L’alba dell’ultimo decennio del secolo scorso era stata salutata dalle campane a morte della “fine della storia”. Difficile capire ed “elaborare questo lutto”. Ancora risuonano lamenti e banalità di una veglia che non sembra voler terminare. Così ci troviamo tutti sulla zattera della storia, naufraghi in interminabile deriva tra preoccupanti marosi e consolatorie bonacce, tra comandanti distratti o folli, mentre in tanti  arraffano e nascondono coperte, gallette e acqua.

E questo mercoledì 28 marzo 2012, al crepuscolo, sulle banchine di Brindisi ripetiamo quel gesto pietoso della memoria lanciando fiori nel mare perché possa profumarsi d’accoglienza. Compiere questo gesto per dare asilo e diritto ai sentimenti, perché troppo diamo all’egoismo e all’indifferenza. Avere qualche dubbio piuttosto che certezze dettate da meccanismi di difesa. La paura contagia e induce anche barbarie. E invece ricomporre uno sguardo ampio, meno dogmatico, meno chiuso. Sguardo al di là dei pregiudizi, del fatalismo, del far scorrere tutto nella indifferenza e nella irresponsabilità.

Cerchiamo d’essere responsabili di fronte agli altri, responsabili di fronte alla Storia. Passare dall’estetica all’etica del ravvedimento (Tabucchi, che lieve gli sia la terra) ha tracce d’umano. Diceva un vecchio marinaio: al tramonto è triste vedere il sole, gioia del mondo e padre della vita, offuscarsi, sprofondare nei flutti come fosse il lutto quotidiano del mondo. Il Mediterraneo arriva fin dove cresce l’ulivo e come un grande collezionista non ha solo conservato tragedie ma speranze, avventure e civiltà.

A questa civiltà dobbiamo il nostro impegno per non dimenticare, dobbiamo la nostra attenzione ai destini d’ognuno. Solo così forse non avremo sprecato quel battesimo nelle acque dove viveva Europa, provando a scongiurare la “fatalità del male”. Forse così non tradiremo chi, passeggero della Kater, aveva scritto: “…da Brindisi a Bari ci sono treni ogni due ore. Vanno anche a Milano….da Milano si può andare in Svizzera col pullman. I documenti bisogna averli a posto….” (Leogrande, pag.125).

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