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Sabato, 20 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

Ospitiamo in questo Blog opinioni di alcuni cittadini Brindisini

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Le storie opache di Brindisi: il caso Fondazione Giannelli

Ci sono storie, tra le tante vicende opache di questa città, che varrebbe la pena raccontare. Per quanto possibile, ovviamente. Perché di atti ufficiali disponibili per i cronisti non ce ne sono mai stati, ed a richiederli significa sbattere la testa contro un muro di gomma

Ci sono storie, tra le tante vicende opache di questa città, che varrebbe la pena raccontare. Per quanto possibile, ovviamente. Perché di atti ufficiali disponibili per i cronisti non ce ne sono mai stati, ed a richiederli significa sbattere la testa contro un muro di gomma. Omertà? E una parola grossa, ma forse siamo vicini. Si tratta di storie che forse avrebbero meritato un più ampio approfondimento non solo da parte dell’opinione pubblica, delle istituzioni, della stessa magistratura, talvolta vigile verso marginalità e distratta invece per storie che cadono nell’immenso dimenticatoio che sovrasta la città nell’indifferenza generale.

serafino giannelli-2Il podestà benefattore - Ma questa è Brindisi, e questi sono i brindisini, la vera malattia di questa città. Il primo racconto con cui apriamo la serie delle Storie Opache è quello della Fondazione “Maria Rosaria Giannelli”. Serafino Giannelli, brindisino classe 1874, grande proprietario terriero e produttore di vini, era tra i più ricchi della città (secondo, per reddito dichiarato nel 1900, solo al sindaco dell’epoca e conte milionario Federico Balsamo), fu il primo podestà di Brindisi all’avvento del fascismo. Non è che fosse proprio uno di quei comici gerarchi che in fez e camicia nera si pavoneggiavano ridicoli nelle parate ufficiali, però i suoi affari li sapeva fare.

Giannelli era a pieno titolo nel gotha dell’attivissima imprenditoria brindisina dell’epoca. L’unico neo? Se tale può definirsi, stando ai racconti di terza o quarta mano, dato il trascorrere degli anni, si dice che fosse affetto da priapismo. Molto più semplicemente forse era un semplice “tombeur de femme”. Anche in tarda età. Nonostante la super carica di testosterone, Serafino Giannelli però non risulta avere avuto figli legittimi, ed alla sua morte non lasciò eredi diretti. Quando cessò di vivere, nel 1963, lasciò una eredità immensa: denaro, titoli, gioielli, terreni e masserie, numerosi immobili ad uso civile ed industriale in città.

Il testamento Giannelli - Il patrimonio – oltre alle “legittime” per i parenti stretti - era destinato in quote al Comune di Brindisi (75%) e all’Ospedale “Di Summa” (25%) perché fosse utilizzato per una istituzione, la Fondazione “Maria Rosaria Giannelli”, una “figliastra” di don Serafino, anch’essa deceduta, che soccorresse anziani e indigenti, magari anche con la realizzazione di un’apposita struttura. Curatore di questa immensa fortuna, che rapportare al valore di oggi non è impresa facile, ma di sicuro ammontava a parecchi milioni di euro (all’epoca miliardi di lire), fu il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Brindisi, Armando Attolini, socialista, il primo assessore all’urbanistica del dopo Caiati nella metà degli anni Sessanta, con il primo governo di centro-sinistra al Comune.

La prima verifica patrimoniale - Passarono molti anni, era morto anche Attolini, di questa Fondazione Giannelli nessuno sapeva niente, ma se ne raccontavano tante, sino a quando nel 1985 diventato sindaco di Brindisi il socialista Errico Ortese, questi pensò bene di tirare fuori il dossier Giannelli per fare chiarezza sulla situazione. Furono interpellati due professionisti brindisini, il commercialista dott. Alberto Leoci e l’agronomo dott. Marco Mitrotta. Il primo venne incaricato di censire tutto il patrimonio immobiliare e fare il punto su eventuali altre disponibilità finanziarie; il secondo avrebbe dovuto mettere in chiaro lo stato dei possedimenti agricoli. Dei titoli e dei gioielli dopo vent’anni ormai si erano perse le tracce.

I due professionisti trovarono una situazione che definire disastrosa è un eufemismo. Decine di immobili (qualcuno anche di pregio) e opifici industriali occupati senza alcun titolo o affittati a poche lire al mese, terreni coltivati e portati a reddito senza alcun contratto e beneficio per la proprietà. E c’era pure la stupenda masseria di Pignicedda, una costruzione del Seicento, dimora di rappresentanza di don Serafino, che dicono avesse ospitato anche i reali d’Italia quando scapparono a Brindisi nel settembre 1943.

Leoci mise ordine nei contratti di fitto, adeguandone il canone al tempo; Mitrotta normalizzò per quanto possibile il rapporto con i contadini cedendo loro in pratica tutti i terreni, quasi tutti vigneti, che ammontavano ad oltre cento ettari. Quanto valesse tutto questo ben di Dio, che era “solo” quello che restava dell’eredità originaria, non fu mai ufficialmente stabilito: si parla di oltre i dieci/dodici miliardi di lire (moneta dell’epoca). Finito il loro lavoro, Leoci e Mitrotta sottoscrissero un apposito rapporto all’Amministrazione, della cui copia non siamo riusciti a venire in possesso.

La gestione Saccomanno - Nel frattempo il  Comune e il “Di Summa” avevano ritenuto che fosse meglio unire nella Fondazione i due ceppi ereditari, visto che entrambe le quote erano destinate allo stesso scopo. Nel frattempo, siamo negli anni Novanta, il potere di sorveglianza sulla Fondazione è passato alla Regione, e l’assessore regionale alla Sanità all’epoca è il dott. Michele Saccomanno, provenienza Msi, neofita del potere, ma abbastanza ferrato per capirne metodi e funzionamento. Insomma non proprio un dilettante allo sbaraglio. Ma questo non c’entra con la storia che stiamo tentando di raccontare.

Il decisionista Saccomanno nomina commissario straordinario per la gestione della “Giannelli” Francesco Frioli, un insegnante elementare di Torre Santa Susanna, suo sodale di partito (Alleanza Nazionale) e sindaco di quel Comune, il quale per perseguire gli scopi della Fondazione dà incarico all’architetto Cosimo Coppola, anch’esso di Torre Santa Susanna, e cognato di Saccomanno, di redigere il progetto di costruzione di una casa di riposo. Coppola (anche questo non c’entra niente con la nostra storia, ma si sa i contorni rendono più interessanti i racconti) recentemente è passato alle cronache per essere uno dei professionisti coinvolti nello scandalo del Villaggio Punta Grossa di Porto Cesareo finito nell’occhio del ciclone della magistratura salentina.

La statua di Cesare Ottaviano Augusto e piazza Anime

Le alienazioni degli immobili - Tornando alla “Giannelli”, con quali soldi realizzare l’opera e tutto l’apparato che vi gira intorno? Ovviamente con la vendita dell’immenso patrimonio immobiliare oltre che dei terreni non incappati in usucapioni varie o altri vincoli. A quali prezzi? I più remunerativi per il mercato dell’epoca e certificati nelle forme di legge? Silenzio assoluto. Fu venduta anche la bellissima masseria Pignicedda, ed a comprarla fu l’astro nascente dell’industria della mondezza, quel Luca Screti da San Pietro Vernotico, molto attivo nelle frequentazioni politiche, quello che si è inguaiato con Mimmo Consales per i soldi che l’ex sindaco doveva ad Equitalia.

Pignicedda si trova proprio di fronte all’area prescelta per la costruzione della casa di riposo, e l’imprenditore pensò di trasformare la prestigiosa masseria in un albergo extralusso, e per la qualcosa chiese di accedere anche ai benefici previsti dalle leggi a sostegno dell’imprenditoria. Riceve un finanziamento di tre milioni e mezzo di euro, ma l’iter amministrativo, tra visti e autorizzazioni, risultò talmente accidentato anche dal punto di vista politico, oltre che urbanistico, che Screti addirittura rinunciò al finanziamento e di fatto abbandonò la masseria, lasciandola nell’incuria più totale in cui versa oggi.

Nell’ambito del procedimento penale Consales-Screti la vicenda di Pignicedda è stata solo sfiorata dai magistrati. E d’altra parte non poteva che essere così perché Screti comprò la masseria e progettò il suo albergo, almeno dieci anni prima che Consales diventasse sindaco. Ma la storia, anche sotto il profilo urbanistico, meriterebbe un approfondimento.  

Casa di riposo Giannelli-3

Casa di riposo all'ombra dei tralicci - Mentre il patrimonio del fu Serafino Giannelli veniva venduto, qualche volta anche a prezzi da realizzo e ad acquirenti impegnati in primo piano in politica e dintorni, la casa di riposo cominciò a prendere corpo, sia pure sotto i cavi dell’altra tensione che dalla Centrale Enel di Cerano porta l’energia a tutta Italia. Scelta assurda, considerata la vastità di terreni di proprietà della Fondazione. Nel frattempo ad interessarsene – impressionante è la girandola di professionisti che da mezzo secolo a questa parte incassano fatture dalla Fondazione - è un ingegnere brindisino, Ferdinando Dell’Anna, l’unico che ci ha lavorato con impegno e competenza ed è oggi l’unica memoria storica per non perdersi negli incredibili meandri dell’intrigata storia dell’eredità Giannelli.

L’appalto per la realizzazione dell’opera fu assegnato ad una impresa brindisina, la Favia, con una complessa transazione che includeva anche la realizzazione di due palazzi sui capannoni industriali dismessi in via Appia, uno dei quali occupato da un deposito di rottami ferrosi dell’impresa Cannone, si dice parente di Favia, e su cui gravava una vecchia pendenza giudiziaria. Progettista delle due nuove palazzine fu l’ing. Rizziello, allora consigliere comunale e autorevole esponente di Forza Italia.   

La gestione Brigante - Nel 2005 alla regione Puglia arriva Nichi Vendola ed al posto di Frioli viene nominato commissario il dem Salvatore Brigante. Il medico brindisino, candidato alle elezioni regionali del 2005, aveva riportato un significativo successo, ed anche per questo forse venne gratificato con l’incarico di commissario della Fondazione. Brigante trovò poco patrimonio da vendere, e fu costretto a misurarsi con le difficoltà della costruzione della casa di riposo che non erano solo di carattere economico, ma anche urbanistico. Il progetto originario, ad esempio, prevedeva una copertura di 6.500 metri quadrati (poi ridotti a 4.500) che passavano sotto i cavi dell’alta tensione che trasferisce l’energia prodotta a Cerano. Anche Brigante scelse il suo architetto di fiducia, Sergio Attolini, ex architetto capo del Comune, che affiancò il sempre presente ingegnere Dell’Anna.

Salvatore Brigante

Anche con il progetto ridimensionato, i soldi per la sua realizzazione non bastarono e si fu costretti a vendere l’ultimo scampolo di immobili, tra cui lo stabile di piazza Anime, sotto il quale generazioni di brindisini si sono intrattenuti ai biliardi della Grotta Azzurra. A supportare Brigante nel suo impegno di commissario, il suo compagno del Pd Luciano Loiacono, presidente del collegio dei sindaci della Fondazione che nel frattempo aveva adeguato la sua veste sociale alla nuove normative.

Chi c'è in quella casa di riposo? - E qui spunta l’ennesima opacità. Salvatore Brigante, qualche tempo fa si è dimesso e la sua sostituzione è diventata una mezza patata bollente nelle mani di Michele Emiliano, oltre che l’oggetto dei desideri dei consiglieri regionali del Pd che intendono affidarla a qualcuno dei loro “clientes”. Nel frattempo, giura l’ing. Dell’Anna, non solo l’opera – che sembra una specie di “carcere speciale” in un contesto urbanistico da intristire anche un becchino di mestiere!-  è stata completata, ma funzionerebbe anche. E qui l’opacità diventa buio pesto.

La porta della Fondazione, trasferita a Palazzo Guerrieri dopo la vendita della sede storica di Piazza Anime, è sbarrata. Al Comune nessuno ne sa niente, non si è in grado di sapere se sia stato certificato un fine lavori o una abitabilità. Neanche alla Asl ne sanno niente, gli ultimi atti di archivio che riguardano la “Giannelli” sono datati 2008. Non c’è traccia di permessi per attività specifiche nel settore dell’assistenza ad anziani o malati non autosufficienti, né per i normali controlli di igienicità che si effettuano alle comunità.

Fatto sta che alla “Giannelli” sono presenti persone e si sarebbe già insediata una onlus, la “Mitag don Tonino Bello”, che, secondo i documenti ufficiali della Asl, gestisce altre strutture assistenziali a Brindisi, Francavilla Fontana e San Pietro Vernotico. Ma della “Maria Rosaria Giannelli” nell’elenco ufficiale delle case autorizzate  non c’è traccia. Chi sono gli ospiti della onlus, e con quali soldi funziona visto che nessuna convenzione risulta sottoscritta né con la Asl nè con altro ente?   

Le foto di Masseria Pignicedda, del cantiere di via Fulvia e della casa di risposo Giannelli sono di Salvatore Barbarossa    

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