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A cura di Blog Collettivo

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La crisi siriana: meglio ripassare la storia e la cronologia dei fatti

Leggo, sebbene, debba dire non con sorpresa, interventi sul Vicino oriente e sulla Siria – in particolare – che sembrano scritti di Fratelli Grimm, ricordate?? quelli di Cappuccetto Rosso e di Biancaneve … Sì perché si tratta di narrazioni completamente avulse dalla realtà

Leggo, sebbene, debba dire non con sorpresa, interventi sul Vicino oriente e sulla Siria – in particolare – che sembrano scritti di Fratelli Grimm, ricordate?? quelli di Cappuccetto Rosso e di Biancaneve … Sì perché si tratta di narrazioni completamente avulse dalla realtà e che si limitano ad echeggiare quello che viene riportato dai vari media di regime, media che diffondono le posizioni interessate dei loro Governi o dei Gruppi Finanziari che li sostengono.

In un recente intervento pubblicato su questo quotidiano, l’autore si chiede cosa facciano i Governi Occidentali per arginare l’attuale catastrofe siriana e si risponde affermando che non stanno facendo nulla. La realtà e che i Governi Occidentali hanno fatto tutto perché la tragedia si avverasse. Infatti, se analizziamo criticamente la storia recente degli avvenimenti che hanno interessato il Vicino Oriente ed il Maghreb, ci accorgeremmo che è dal termine della Prima Guerra Mondiale che l’Occidente inizia a fare danni in quelle due aree.

Tutto ha inizio con la sconfitta e lo smembramento dell’Impero Ottomano, alleato di Germania ed Impero Austro-Ungarico, che i vincitori – Francia e Regno Unito, in particolare – suddividono (con gli accordi Sykes-Picot del 1919) secondo le rispettive aree di influenza, spartendosi le attuali Siria, Iraq, Iran, Giordania, Libano, ecc.. senza tenere alcun conto delle esigenze socio-religioso-culturali dei popoli che là vivevano.

Venendo a tempi più recenti, se dobbiamo trovare la causa scatenante della situazione attuale - oltre alle citate cause “storiche” - essa é senz’altro da ricercare nella politica occidentale - in generale - e degli Stati Uniti - in particolare -  nel vicino oriente negli ultimi 15 anni. Soprattutto, nell’invasione dell’Iraq (e, successivamente, dell’Afghanistan) compiuta dall’ex presidente Americano  G.W. Bush nel 2003.  

La sconsiderata  invasione dell’Iraq - tra l’altro per cause che, a posteriori, si sono rivelate false - ha avuto due conseguenze nefaste: la prima é stata l’inevitabile  caduta di Saddam Hussein che - leader di una minoranza Sunnita - governava e controllava (forse, con metodi discutibili) un Paese a maggioranza Sciita; la seconda,  é stato l’insediamento del governatore Usa Paul Bremer nel 2003 che, come primi atti del suo mandato, sciolse il Partito Ba’th - il partito di Saddam Hussein - e, ancor più grave, sciolse l’esercito irakeno che aveva combattuto al fianco di Saddam.

Improvvisamente 400.000 soldati dello sconfitto esercito iracheno furono esclusi da incarichi militari e fu negato loro qualsiasi forma di retribuzione o trattamento pensionistico. Da questo evento, numerosi ex-militari, per motivi di necessità, per poter mantenere le loro famiglie, i loro figli,  cominciarono a imbracciare le armi e a combattere contro gli statunitensi e contro il nuovo governo sciita iracheno da essi voluto, cominciando a organizzarsi in gruppi di combattimento e a coordinarsi per riconquistare il potere in Iraq.

A Bremer seguirono governi - a maggioranza assoluta sciita - come il governo di al-Maliki, che hanno umiliato i Sunniti che prima erano al potere. La deposizione del Rais, infatti, insieme con la marginalizzazione dei suoi uomini di etnia sunnita, darà luogo a una sanguinosissima guerra civile tra gli sciiti al potere - sostenuti dagli americani - ed i sunniti irakeni. Su questo canovaccio si inserirà anche la guerra santa, di matrice terrorista, combattuta da Al Qaeda contro l’invasore americano e contro il governo sciita.

E’ in questo contesto che l’attuale califfo dello Stato Islamico Abu Bakr al-Baghdadi verrà imprigionato e detenuto, nelle prigioni militari americane di Camp Bucca e - secondo The Intercept, che cita fonti dell’esercito americano-, nel febbraio 2004, anche nel carcere di Abu Ghraib; carcere che, come ricorderete, diventò famoso di fronte all’opinione pubblica mondiale per le molteplici torture che i militari Usa compirono ai danni dei detenuti.

Il futuro comandante dell'Isis, viene rilasciato dal campo di detenzione americano di Camp  Bucca in seguito al parere di una commissione che ne raccomandava il "rilascio incondizionato". Un errore di valutazione della Cia? o, piuttosto, una strategia mirata? 

Il dubbio è legittimo, infatti, secondo la testimonianza di alcuni ex-internati, il campo era un vero e proprio centro di indottrinamento e addestramento per terroristi, con classi dedicate all'apprendimento delle tecniche per costruire autobombe o perpetrare attacchi suicidi. Di questo non vi sono prove certe tuttavia, le relazioni Usa-Isis paiono confermate da una serie di documenti e rivelazioni.

Secondo quanto rivelato dai documenti resi pubblici dall’ex agente della National Security Agency Edward Snowden, sono stati la Cia ed il Mossad ad addestrare e ad armare l’Isis. L’operazione segreta ha preso il nome di “Nido dei calabroni”. Secondo un documento CIA lo scopo di tale operazione  era “L’unica soluzione per proteggere lo Stato ebraico creando un nemico alle sue frontiere, indirizzato contro gli Stati islamici che si oppongono alla sua presenza- soprattutto, anti Iran ed anti Siria”.

Ancora, la segretaria di stato Hillary Clinton scrive in una mail del 31 dicembre 2012: “È la relazione strategica tra l'Iran e il regime di Bashar Assad che permette all'Iran di minare la sicurezza di Israele, non attraverso un attacco diretto ma attraverso i suoi alleati in Libano, come gli Hezbollah”. Sottolinea quindi che “il miglior modo di aiutare Israele è aiutare la ribellione in Siria che ormai dura da oltre un anno”, ossia dal 2011, sostenendo che per piegare Bashar al Assad, occorre “l'uso della forza” così da “mettere a rischio la sua vita e quella della sua famiglia”.  Conclude la Clinton: “Il rovesciamento di Assad costituirebbe non solo un immenso beneficio per la sicurezza di Israele, ma farebbe anche diminuire il comprensibile timore israeliano di perdere il monopolio nucleare”. 

Infine, a corroborare queste rivelazioni, sono le dichiarazioni di Hillary Clinton riferite all’Isis: “L’Isis è roba nostra ma ci è sfuggita di mano“, e ancora: “È stato un fallimento. Abbiamo fallito nel voler creare una guerriglia anti Assad credibile. Il fallimento di questo progetto ha portato all’orrore a cui stiamo assistendo oggi in Iraq”.

Ma facciamo un passetto indietro, nel 2011, avvengono due fondamentali eventi per il futuro califfo. Il primo è che gli americani, sull’onda della volontà di Obama di diminuire la presenza militare americana nel Vicino Oriente, lasciano l’Iraq.  Il secondo è che in Siria, sulla scia delle primavere arabe - con il supporto dell’occidente - e per i fatti che vedremo più in dettaglio più avanti, scoppia la rivoluzione.

Si tratta di ulteriori colpevoli errori dell’Occidente (a meno che non si tratti - come abbiamo visto, possibile - di una strategia mirata…). In Iraq gli americani lasciano una situazione bollente, con uno stato di matrice sciita ancora impreparato nella lotta alla ribellione sunnita.               

In Siria, invece, nella speranza di far saltare l’ultimo dittatore scomodo, Bashar al Assad, l’Occidente appoggia senza riserve i ribelli. Infatti, quando scoppiano le primavere arabe, esse sono viste come un’appetitosa occasione da molte nazioni, in particolare: dagli Usa, che volevano abbattere il regime di al Assad, per proteggere lo Stato di Israele; dalla Francia di Sarkozy che ha parecchie questioni in sospeso con al Assad; dalle petromonarchie del Golfo e dalla Turchia che vedono la possibilità di liberarsi di un leader scomodo.

Particolarmente attivo è il Qatar che attraverso la sua emittente Al Jazeera, riempie l’etere di filmati sanguinosi volti a dimostrare la crudeltà del regime di  al Assad ed il suo disprezzo per i diritti umani; inoltre Doha incoraggia la militarizzazione della rivolta inviando grossi quantitativi di armi ai ribelli. A loro si oppone inizialmente solo l’Iran - da sempre amico della Siria - e la rivolta in Siria diventa il campo di battaglia per la conquista dell’egemonia sul mondo islamico.

Il tutto senza accorgersi delle inquietanti venature islamiste che la rivolta va via via assumendo. E così, a beneficiare dei cospicui aiuti, non saranno più tanto i ribelli per la libertà e la democrazia, ma le milizie islamiche…. ammesso che, anche questo, non facesse parte del piano israelo-statunitense anti Assad.

Abu Bakr al Baghdadi fiuta l’occasione e, nell'agosto del 2011, comincia ad inviare in Siria membri iracheni e siriani dell'Isis con esperienza nella guerriglia, per formare un'organizzazione all'interno del Paese. Il gruppo cominciò a reclutare combattenti e a costituire celle terroristiche in tutto il Paese. Lo Stato Islamico occupa sempre più territori a cavallo tra Iraq e Siria (una superfice di territorio più grande dell’Inghilterra) e, nel febbraio 2014, arriverà a disporre di ricchezze senza precedenti per una organizzazione terroristica.

Forte dei pozzi petroliferi conquistati, delle banche svaligiate, del contrabbando di armi e droga, del “pizzo” interno alle aree sotto il suo controllo e degli aiuti internazionali, le risorse dell’Isis sono ingenti. Inoltre, nella primavera 2015 il califfato arriva nell'antica città siriana di Palmira, dove distrugge diversi antichissimi monumenti, templi e beni storici patrimonio dell'umanità, senza, peraltro, tralasciare di incrementale le sue entrate, vendendo questi reperti a ricchi collezionisti occidentali.  

Nel settembre del 2014, per arginare l’espansione dell’Isis, é nata una coalizione di cui facevano parte, inizialmente, Regno Unito, Australia, Canada, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Polonia e Turchia, oltre che a Stati Sunniti come la Giordania e l’Arabia Saudita (sebbene gran parte dei finanziamenti all’Isis vengano proprio dall’Arabia Saudita e dai Paesi del Golfo - Qatar, in particolare).

Un discorso a parte deve, poi essere fatto per la Turchia, al fine di comprendere le mosse fatte dal “neo Califfo” Herdogan. Anche in questo caso paghiamo la miopia europea,  infatti, l'errore più grande lo ha fatto l’Europa dieci anni fa circa, quando, obbedendo agli egoismi greci ed agli interessi tedeschi, si è opposta all’ingresso della Turchia nella Ue.

Forse, se la Turchia allora fosse entrata in Europa, non avremmo avuto una radicalizzazione del Paese e nemmeno il Sultano Erdogan - ma essendo, questa, un’affermazione speculativa, potrei anche sbagliare. L’impegno (più annunciato che reale) della Turchia nella guerra contro l’Isis si è rivelato, in realtà, una serie di attacchi contro le milizie curde.

Questo per due motivi: primo, Erdogan intrattiene proficui e remunerativi scambi commerciali con l’Isis; scambi che vanno  dal petrolio, al traffico  di armi, di droga e di foreign fighters; secondo, perché, se c’è una cosa che teme Erdogan più di ogni altra è la creazione di uno Stato Curdo (ricordiamo che i curdi sono una popolazione indo-europea che, si stima conti 20/30 milioni di appartenenti; il cui territorio fu spartito dagli accordi Sykes-Picot del ‘19, tra gli attuali Turchia, Siria, Iran ed Iraq).

Anche la Russia – da sempre amica e sostenitrice del Governo Siriano di Bashar Al Assad – entra nel conflitto attaccando con bombardamenti aerei, non solo le forze dell’Isis, ma tutte le forze che si oppongono ad al Assad. Le motivazioni della Russia sono, direi, storiche; infatti la Russia è alleata della Siria praticamente da sempre, inoltre, la permanenza della Marina russa nel Mediterraneo è garantita dall’utilizzo dei porti siriani di Tartus e Latakia.

Pertanto, l’Occidente che oggi piange lacrime di coccodrillo per la tragedia degli abitanti di Aleppo, per quello che abbiamo visto, farebbe meglio a recitare un mea culpa. Inoltre, se al Assad non è caduto e se la Siria non è diventata un guazzabuglio incontrollabile qual è la Libia, lo dobbiamo solo all’intervento armato della Russia che – sola – ha attaccato l’Isis e le formazioni ribelli al regime di al Assad (ricordiamolo, finanziate ed armate dall’Occidente e dalle petromonarchie del Golfo).

Anche la riconquista di Palmira da parte di 4.000 miliziani dell’Isis provenienti da Mosul e da Raqqa (che l’autore del citato recente intervento attribuisce erroneamente a colpe della Russia) è potuta avvenire solo con il sostegno dell’Occidente ed approfittando di una tregua fortemente voluta dagli Usa per alleggerire la pressione delle forze governative nei confronti delle milizie armate ribelli.

Un discorso a parte andrebbe fatto sulle Nazioni Unite, un inutile organismo ostaggio delle cinque Nazioni “con diritto di veto” che siedono nel Consiglio di Sicurezza e che, troppo spesso, per ragioni di egoistica convenienza, impongono il loro volere al resto del mondo. Tutto questo, non per minimizzare l’immensa tragedia umana che ha colpito Iraq e Siria, ma per evidenziare come, troppo spesso, si leggano giudizi “benpensanti”, non sostenuti dalla realtà dei fatti.

Un filosofo del passato  – Frederich Hegel – vissuto tra la fine del 1700 ed i primi anni dell’800, ha detto che “la storia è la  versione dei fatti raccontata dai vincitori”. Come dargli torto; si tratta di una grande verità, ancora attualissima e che, spesso, tendiamo ad ignorare. Anche se, purtroppo, non si può non constatare che, ai giorni nostri, troppo spesso la storia  la fanno i media.

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