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Maldive, tensione India-Cina: Pechino protegge i propri interessi

L'ex presidente in esilio dell'arcipelago chiede aiuto a Delhi, ma i cinesi si schierano per la non ingerenza a tutela degli investimenti attuali e futuri

Pechino a un passo dallo scontro con l'India, dopo lo stato di emergenza indetto dal presidente delle Maldive, Yameen. Per molti, le Maldive sono solo una cartolina, un’idilliaca destinazione esotica per turisti danarosi. Per Cina e India, invece, rappresentano un’importante pedina nella complessa scacchiera geopolitica dell’Oceano Indiano. Senza contare l’Arabia Saudita, che ha contribuito alla crescente – e preoccupante – radicalizzazione islamica dell’arcipelago, cercando peraltro di comprarne uno degli atolli allo scopo di farne un resort per il vecchio re Salman. Ma sono i due giganti asiatici a giocare il ruolo principale nelle vicende delle scorse settimane, le cui ripercussioni potrebbero arrivare fino a noi.

Nell’arco di una settimana, la capitale Malè è stata investita da un ciclone di violenze. Tutto nasce quando l’attuale presidente Abdullah Yameen si rifiuta di accettare la decisione della Corte Suprema di liberare dal carcere svariati esponenti politici, avvocati e magistrati ostili all’attuale governo. Tra questi, 12 parlamentari dell’opposizione che avrebbero messo in minoranza Yameen e l’avrebbero costretto a indire nuove elezioni, alle quali si sarebbe presentato anche l’ex presidente Mohamed Nasheed, attualmente in esilio politico in Inghilterra.

In tutta risposta, il presidente Yameen ha fatto circondare il Parlamento dall’esercito, ha indetto lo stato d’emergenza per 15 giorni e ha sedato le rivolte nel sangue. Subito dopo, le forze speciali sono entrate nella sede della Corte Suprema arrestando due dei cinque membri. Non c’è voluto molto perché i tre membri restanti cambiassero idea, annullando la precedente decisione.

È qui che entrano in gioco i due giganti d’Asia. Le Maldive sono infatti storicamente nella sfera d’influenza indiana, il Paese geograficamente più vicino, ma da qualche anno la Cina è entrata nella politica dell’arcipelago grazie a una strategia di massicci investimenti infrastrutturali. Pechino considera le Maldive un tassello strategico del progetto della Nuova Via della Seta, e ha allacciato strettissimi rapporti con l’attuale presidente Yameen.

Così, quando l’ex presidente Nasheed ha rivolto a Nuova Delhi una richiesta di aiuto militare, il ministro degli Esteri indiano si è subito sbilanciato, intimando al presidente Yameen di “obbedire alla Corte Suprema”. Del resto, nel 1988, il governo indiano intervenne con i suoi parà per sventare un golpe nelle Maldive.

La risposta cinese non è tardata ad arrivare, sia tramite il ministro degli Esteri che tramite un editoriale apparso sul Global News, testata di proprietà del governo. E la posizione è chiara: secondo Pechino, quella delle Maldive è una “situazione interna”, e “bisogna lasciare che si risolva seguendo la politica della non-interferenza”. Una strategia che la Cina usa da sempre nei rapporti con gli Stati in cui ha interessi economici, in netto contrasto con la vecchia politica americana, e che le ha permesso di espandere la sua zona d’influenza a tal punto da poter dare atto al progetto della Nuova Via della Seta, con investimenti in oltre 60 Paesi.

Con le Maldive, ad esempio, la Cina ha da poco firmato un trattato di libero scambio che abbatterà i dazi per il 95%. È solo l’ultimo tassello di una lunghissima serie di investimenti che comprendono, tra le altre cose, la realizzazione di un tunnel sottomarino tra le isole di Malè ed Hulmalè, dal costo di 100 milioni di dollari. Pechino è ormai arrivata a detenere il 70% del debito pubblico dell’arcipelago, e questo è visto in molti ambienti indiani come un’inaccettabile ingerenza in un Paese da sempre sotto l’ala protettrice di Nuova Delhi.

La novità è che Pechino ha minacciato ritorsioni nei confronti dell’India, se questa dovesse realmente intervenire. I rapporti tra le due Nnazioni sono già complessi, come evidenziano ad esempio le tensioni nella zona di confine del Doklam, sull’Himalaya, in cui vengono ammassate armi e truppe da ambo le parti. Prevedibile immaginare che l’India non interverrà, per non scatenare una pericolosa reazione a catena con il potente vicino.

Il presidente indiano Modi ha chiesto consiglio e aiuto a Donald Trump, che però, coerentemente con la sua politica di non-interventismo, pare abbia risposto picche, lasciando Nuova Delhi a sbrogliarsi da sola i propri impicci. E così sembra che la strategia morbida di Pechino risulterà, ancora una volta, quella vincente. Una vicenda che ci fa comprendere quanto per la Cina sia importante il progetto della Nuova Via della Seta, e quanto quest’ultima stia già influendo sul destino di tutto il pianeta.

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