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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Lo smarrimento del genitori con figli disabili: dalla diagnosi alla maggiore età

Le aspettative sui propri figli riempiono di gioia i genitori dalla prima ecografia fino all’età adulta. Si pensa a come sarà bello stare con lui, giocarci, vestirlo, cambiarlo, allattarlo

Le aspettative sui propri figli riempiono di gioia i genitori dalla prima ecografia fino all’età adulta. Si pensa a come sarà bello stare con lui, giocarci, vestirlo, cambiarlo, allattarlo. Nei casi in cui il bambino ha una qualche disabilità cognitiva e/o fisica, tutte le attese si sgretolano dolorosamente facendo sprofondare nel baratro della confusione e frustrazione. Dal momento della diagnosi i genitori con figli disabili sono risucchiati nel vortice della disperazione, senso di colpa, disorientamento. Spesso, increduli al primo responso, i genitori diventano peregrini di specialisti ed esperti, incrementando anche false speranze ed illusioni che, scontrandosi con realtà più dolorose, gettano maggiore sgomento.

Avere una diagnosi significa farsi una ragione del perché il proprio figlio presenti una determinata patologia, in molti casi significa anche fare delle previsioni sul decorso, riuscire a stabilire i percorsi d’aiuto più funzionali e identificare con maggiore precisione limiti e risorse del proprio figlio. In tale momento, delicatissimo, è tutto il sistema famigliare ad essere sotto pressione e in preda a possibili tempestivi cambiamenti; sarebbe importante gestire la comunicazione della diagnosi come processo in cui un team di professionisti sappiano elargire informazioni precise, chiare e semplici. Inoltre, questi genitori hanno necessità di essere accompagnati in un percorso di sostegno e conforto continuo, condividendo il loro dolore, dando ad esso un tempo e uno spazio in cui poter essere elaborato, in quanto lo stile di vita subirà indubbiamente un cambio di rotta.

La comunicazione tempestiva della diagnosi, se da una parte getta nello sconforto la famiglia, dall’altra crea la possibilità di intervenire celermente per far sì che le strategie adottate possano agire adeguatamente nello sviluppo di crescita del bambino. Spesso in questa fase i genitori sono chiamati ad accelerare il processo di accettazione e comprensione della disabilità come non guaribile, ma migliorabile, qualcosa di molto irrisorio rispetto alle aspettative sui figli, pertanto con fatica essi devono ricostruire un’immagine realistica del proprio bambino, delle sue risorse e dei suoi limiti.

Crescendo, poi, sembra che i bambini con disabilità abbiano impressa l’etichetta dell’eterno fanciullo. E sarà soprattutto la famiglia a farne le spese: incombenze, carte da compilare, domande da presentare sono solo alcune delle preoccupazioni che affliggono quando i figli raggiungono la maggiore età. Molte cose cambiano, ancora una volta angosciosamente, pesando sui genitori che diventano tutori o amministratori di sostegno rendendo conto del proprio operato al giudice. E poi ad esempio per prendere allo sportello le analisi, ritirare una raccomandata indirizzata al figlio, prenotare un autoambulanza, iscriverlo da qualsiasi parte occorre dimostrare un’autorizzazione, portarsi dietro la sua carta d’identità con su scritto che è impossibilitato alla firma. Lo sconforto, la solitudine, la pressione del sentirsi sotto esame, la stanchezza di doversi giustificare, farsi largo sgomitando sono profondamente intensi e incrementano un senso di disperazione ed etichettamento. In più c’è un problema di continuità assistenziale, perché gli esperti che si sono occupati del bambino per diciotto anni passano il timone al servizio handicap adulti con lunghe liste d’attesa. A questa difficoltà emotiva e psicologica, si aggiungono quelle burocratiche e pratiche: infatti, spesso, diventando maggiorenni, questi ragazzi vengono esclusi dalla riabilitazione motoria e logopedica e dalla scuola ritenendoli non più riabilitabili.

L’alternativa può essere il Centro diurno, a volte con il rischio di lasciare a se stessi i giovani adulti con disabilità. Si rischia così di aumentare il senso di solitudine e scoraggiamento nelle famiglie, che hanno necessità non solo di informazioni, ma anche di formazione e incoraggiamento continuo sul fatto che la disabilità del proprio figlio può essere sempre migliorabile, nessun limite alle risorse.

La rete sociale che può e deve spostarsi insieme alla famiglia dovrebbe garantire un futuro possibile all’adulto disabile alleviando nei genitori le profonde angosce e il senso di oppressione del “dopo di noi”. 

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