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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

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Non solo bonifiche, da Taranto la sfida di un nuovo modello

Negli anni 70 Taranto, per tutti noi pugliesi e soprattutto per la sinistra e il movimento sindacale, rappresentava un punto di riferimento. Con la vertenza Taranto e con le lotte che la sostennero si ottennero importanti risultati per il raddoppio del centro siderurgico, per il molo polisettoriale, per l'estensione dei progetti irrigui, per lo sviluppo industriale. L'ambiente, le possibili ricadute di quel tipo di sviluppo sulla salute non erano per niente presenti e prese in considerazioni da alcuno.

Negli anni 70 Taranto, per tutti noi pugliesi e soprattutto per la sinistra e il movimento sindacale, rappresentava un punto di riferimento. Con la vertenza Taranto e con le lotte che la sostennero si ottennero importanti risultati per il raddoppio del centro siderurgico, per il molo polisettoriale, per l'estensione dei progetti irrigui, per lo sviluppo industriale. L'ambiente, le possibili ricadute di quel tipo di sviluppo sulla salute non erano per niente presenti e prese in considerazioni da alcuno.

Si delegava alla autonomia e alla conoscenza industriale delle aziende la "certezza" ambientale e la salubrità dei processi produttivi. Non esistevano tra l ' altro alcun limite o indirizzo europeo o nazionale. Quello che contava erano gli occupati in più che si riuscì ad ottenere e la quantità' dei finanziamenti strappati. In termini quantitativi fu certamente un successo e si dimostrò che lotte operaie, impegno istituzionale, solidarieta' sociale erano capaci di indirizzare politiche industriali e politiche di sviluppo. Non più solo decisioni dall'alto ma rivendicazioni e contrattazioni dal basso.

Le partecipazioni statati, gli interventi per il Mezzogiorno furono condizionati e indirizzati anche dallle iniziative sindacali attorno alle quali si sviluppo' tanta solidarietà istituzionale, sociale, condivisione e partecipazione civile. Chi non ricorda le tantissime iniziative in tutti i comuni del Tarantino e del Brindisino a sostegno di quegli obiettivi? Il centro siderurgico della Italsider era il fulcro di quella vertenza. Il suo raddoppio fu ottenuto attraverso quella lotta e quella partecipazione che si incontravano con le scelte di politica industriale e siderurgica della allora Finsider.

Nessuno immaginava che quelle lotte avrebbero determinato nel corso degli anni il disastro ambientale che è di fronte ai nostri occhi. Il dramma ambientale, il default industriale e produttivo che Taranto e la Puglia stanno vivendo in questi giorni  sono figli di quegli anni così come della cultura della ineluttabilità del prezzo da pagare allo sviluppo e alla industria. Per molto tempo si è stati condizionati da questa cultura e da cui è poi nata la contrapposizione tra ambiente e lavoro, tra salute e processo produttivo, tra cittadini e operai.

Quella unita' e solidarietà  che negli anni '70 fece diventare un modello la vertenza Taranto si e' spezzata di fronte alla evidenza dei fatti e dei dati di un inquinamento prodotto da quel tipo di industrializzazione basata su grandi quantita' di produzioni di base, conosciuto ma rimosso, tenuto coperto da rassegnati e irresponsabili comportamenti, degenerati anche in connivenze. Per uno come me che ha partecipato da giovane sindacalista a quelle elaborazioni e a quelle lotte è' un dovere contribuire ad una riflessione critica e offrire qualche suggerimento per non ricadere negli errori del passato.

L'intervento della Regione Puglia di questi ultimi anni ha innovato il rapporto tra istituzioni e centro siderurgico ha cercato di aiutare Taranto a non rassegnarsi dotandola di strumenti e di norme per abbattere la massa asfissiante di inquinanti prodotti da un ciclo produttivo alquanto datato, troppo rigido per dimensioni e poco controllabile, come si dice, in continuo. Ma non e' stato sufficiente ad evitare l'intervento della magistratura. I danni accumulati nel corso dei decenni difficilmente possono essere sanati se non si interviene non solo con opere di bonifica ma anche nella dimensione dell'organizzazione del processo produttivo.

La politica industriale degli anni '60 e ulteriormente sostenuta negli anni '70 va certamente contestualizzata e storicizzata per quelli che erano quegli anni nel Mezzogiorno il cui sviluppo e la cui modernizzazione furono realizzati anche grazie a quella politica.  Dimenticare o rimuovere tutto questo sarebbe un errore storico e la negazione della evidenza dei fatti. Ma sarebbe un'ulteriore tragico errore pensare di mantenere quel tipo e quella dimensione di industria di base quale e' la siderurgia tarantina. Aggiustamenti, interventi di parziale modifica aiuteranno certamente a bonificare e a rendere più sopportabile l'attuale processo produttivo ma non risolveranno la questione di fondo: la sostenibilità ambientale di un centro siderurgico di quella dimensione.

Allora immediatezza degli interventi necessari e prescritti e gradualità nel superamento della attuale dimensione e del relativo processo produttivo vanno di pari passo pensati e progettati come cardini di una nuova politica industriale. E non importa se a farlo debba essere il privato o il pubblico. Importante è che ci sia da parte di tutti gli attori pubblici, privati,sociali, la consapevolezza che di questo si tratta. La mobilitazione capillare e di massa, che negli anni '70 la vertenza Taranto riuscì a sviluppare, dovrebbe oggi ricostruirsi su queste basi che devono avere al centro una nuova politica industriale compresa quella siderurgica che parte dal territorio, dall'ambiente, dalla salute e non dal profitto o dalla competizione, nel caso della siderurgia, con quella indiana o cinese.

Il sostegno dello Stato, diretto o indiretto, è fondamentale per questa nuova politica industriale. E non bisogna dimenticare che altre aree siderurgiche in Europa e in America sono state chiuse, ridimensionate o superate con interventi pubblici e privati di riconversione senza rinunciare a quella cultura industriale e professionale accumulatasi negli anni. Ma chi sta pensando a questo in Italia? Qual e' la collocazione del nostro Paese nella attuale divisione internazionale del lavoro e delle produzioni?

Sono domande a cui la politica deve iniziare a dare risposte dopo anni di liberismo distruttivo di lavoro e di produzioni. La vicenda Taranto è' l'occasione non solo per riparare ai danni prodotti dalle vecchie politiche industriali pubbliche ma anche per costruire le basi di nuove politiche industriali competitive e sostenibili. E come negli '70 Taranto diventò' riferimento per la sinistra e per il movimento sindacale, può , oggi, diventare la punta avanzata di una mobilitazione, di una tensione positiva per dare senso e sostanza ad una politica industriale che non viene delegata alla magistratura, ma che recuperando il valore della salute e dell'ambiente, diventa, soprattutto per il Mezzogiorno, la nuova piattaforma per il lavoro e per lo sviluppo.

Se la sinistra non fa questo a che serve chiamarsi di sinistra o progressisti? A che servono le leggi elettorali o le alleanze per vincere le prossime elezioni se non si comincia avere qualche idea in questa direzione? Il futuro non può essere per il Sud la vecchia industrializzazione di base nè' solo il suo controllo o il suo aggiustamento. Ci vogliono anche per questo idee forti e coraggiose se non si vuole soccombere al predominio cinese e indiano anche in questo settore strategico quale è la siderurgia.

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