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Giovedì, 25 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

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Nuova Primavera pugliese e controllo democratico dell'economia

La discussione che si sta svolgendo sulla Primavera pugliese e' di grande rilevanza. Essa richiama un fenomeno che ha avuto un duplice positivo carattere: essere una risposta alla crisi della vecchia forma partito e accompagnare con una forte spinta dal basso il ricambio della classe dirigente e del la funzione di governo ai vertici delle istituzioni pugliesi. Non da ora Franco Cassano ci avverte sui limiti di una interpretazione leaderistica della forma di governo, sui rischi del "riformismo dall'alto" come su quelli rappresentati dal ritorno, peraltro improbabile, alla vecchia macchina burocratica dei partiti.

La discussione che si sta svolgendo sulla Primavera pugliese e' di grande rilevanza. Essa richiama un fenomeno che ha avuto un duplice positivo carattere: essere una risposta alla crisi della vecchia forma partito e accompagnare con una forte spinta dal basso il ricambio della classe dirigente e del la funzione di governo ai vertici delle istituzioni pugliesi. Non da ora Franco Cassano ci avverte sui limiti di una interpretazione leaderistica della forma di governo, sui rischi del "riformismo dall'alto" come su quelli rappresentati dal ritorno, peraltro improbabile, alla vecchia macchina burocratica dei partiti.

E percio' e' un dovere raccogliere il suo contributo, soprattutto per il suo inquadramento geopolitico. La Primavera incubò in Puglia  nel capovolgimento del paradigma periferia-mondo (confermato dalla Primavera araba), nacque dalla ricchezza dei fermenti culturali e civili che ne analizzarono la natura, dalla straordinaria soggettività di personalità "irregolari" come Vendola ed Emiliano (pur nelle loro differenze), dalla permeabilità delle nuove idee nei partiti "tradizionali" e dalla evoluzione che dentro di essi si realizzo'.

Ora che si discute sulla divaricazione fra la Primavera  e la concreta esperienza di governo ci basta dire che sono stati i leader  a disattendere le promesse su cui avevano fondato la loro affermazione?A mio parere la crisi di questa originale esperienza come della legittimazione dei partiti risiede nella inefficacia della democrazia, nell'esautoramento  della sua funzione regolatrice conseguente al ciclo neoliberista.  E da questo vuoto che nasce la risposta leaderistica, imperfetta e illusoria. Allora è alla radice del deficit democratico che dobbiamo richiamarci ovvero alla necessità  che la democrazia si riprenda il suo ruolo di regolazione dell'economia al  livello a cui questo e ' divenuto necessario: il livello sovranazionale.

Se le decisioni sono nelle mani invisibili e incontrollabili delle oligarchie finanziarie è a livello perlomeno europeo che la democrazia deve esercitare controllo, bilanciamento, orientamento di risorse pubbliche, promozione di nuovi diritti. E se in Puglia si sono affermate leadership di caratura nazionale e' su questo terreno che sono chiamate  ulteriormente far evolvere  la loro funzione. Ed e' a questo livello che i partiti devono rilanciare la loro missione, non coltivando nostalgicamente primati del passato.

Ed è dentro questo nuovo orizzonte, a mio avviso, che deve dunque  reinventarsi la forma della politica democratica. Ovvero la presenza di partiti rinnovati (limite ai mandati, parità di genere, primarie), di luoghi permanenti della cittadinanza attiva, di nuove infrastrutture  immateriali della partecipazione come il web. Elezione diretta e potenza dei media hanno prodotto in modo irreversibile un mutamento del rapporto fra cittadini ed eletti, fra elettori e governanti.

Indietro non si torna e tuttavia ridurre l' elemento democratico alla delega del momento elettorale e la mediazione fra cittadini e istituzione solo alla funzione degli eletti comporta il rischio della passivizzazione rispetto alla coscienza della polis e soprattutto rispetto al nuovo cosmopolitismo politico che deve formare una nuova generazione di cittadini e di cittadine. Qui dove la Primavera è nata ora occorre che tutti i suoi protagonisti tornino a ripensarla come paradigma della nuova stagione della politica, prima che dal plebiscitarismo berlusconiano si approdi alla interpretazione tecnocratica della rappresentanza.

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