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Sabato, 20 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

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Obbligazioni, un affare solo per le banche

I rendimenti delle obbligazioni bancarie collocate allo sportello ai piccoli risparmiatori sono risultati in media inferiori ai titoli di Stato italiani nel biennio 2007-2009. Lo rivela un recente studio della Consob (Commissione nazionale per le Società e la Borsa), l’autorità di vigilanza che si occupa di tutelare gli investitori, l’efficienza, la trasparenza e lo sviluppo del mercato mobiliare. Il peso delle obbligazioni bancarie nei portafogli delle famiglie italiane è passato dal 2,1% nel 1995 al 10,8% a settembre 2009.

I rendimenti delle obbligazioni bancarie collocate allo sportello ai piccoli risparmiatori sono risultati in media inferiori ai titoli di Stato italiani nel biennio 2007-2009. Lo rivela un recente studio della Consob (Commissione nazionale per le Società e la Borsa), l’autorità di vigilanza che si occupa di tutelare gli investitori, l’efficienza, la trasparenza e lo sviluppo del mercato mobiliare. Il peso delle obbligazioni bancarie nei portafogli delle famiglie italiane è passato dal 2,1% nel 1995 al 10,8% a settembre 2009.

A giudicare da un successo del genere, ci si aspetterebbe che le decisioni di investimento dei risparmiatori siano state effettuate sulla base della convenienza economica rispetto alle alternative di investimento disponibili. L’interessante, quanto sconvolgente, paper* della Consob dimostra esattamente l’opposto. In pratica, non solo le obbligazioni collocate ai risparmiatori dalle banche con un rischio di default superiore allo Stato italiano non hanno offerto un premio al rischio in termini di maggiore rendimento; esse hanno addirittura offerto un rendimento minore dei titoli di Stato.

Le famiglie risparmiatrici sono state quindi gabbate due volte. Da un lato, perché pensavano di fare un buon affare seguendo i consigli, non del tutto disinteressati, dello sportellista bancario o del promotore finanziario; dall’altro perché si ritrovano in portafoglio strumenti finanziari molto meno liquidi dei titoli di Stato. Le differenze di performance hanno interessato sia i titoli a tasso fisso sia quelli a tasso variabile. Secondo i risultati dell’analisi della Consob, espressi al lordo della tassazione, le obbligazioni bancarie a tasso fisso hanno reso il 3,4% su base annua tra il 2007 e il 2009, mentre i BTP hanno reso il 4,9% nello stesso periodo, con una differenza annua superiore all’1%. Per quanto riguarda il tasso variabile, il rendimento delle obbligazioni bancarie è risultato pari al 3%, contro il 3,5% dei CCT.

Oltre al rischio di fallimento della banca che emette le obbligazioni, è da considerare la liquidità dei titoli, intesa come la disponibilità di ottenere un prezzo di mercato a cui scambiare l’obbligazione. I titoli quotati sui mercati regolamentati e sui sistemi multilaterali di scambio (MTF) sono generalmente liquidi. MOT ed EuroTLX sono esempi rispettivamente di mercato regolamentato per le obbligazioni italiane e di sistema multilaterale di scambi per le obbligazioni europee. Su queste “piazze” la liquidità delle obbligazioni è garantita da operatori specializzati nel quotare proposte di acquisto e vendita per ciascun titolo. Purtroppo per i piccoli risparmiatori, solo il 9 per cento delle obbligazioni bancarie sono quotate su questi mercati. Nella maggior parte dei casi, le obbligazioni bancarie sono altamente illiquide, con assenza totale di scambi. Il prezzo è pertanto deciso dalla banca emittente su richiesta del risparmiatore, con tutti i rischi di conflitto di interesse che questa assenza di mercato comporta.

Per le banche si tratta di un’operazione commerciale vincente per tre ordini di motivi: in primo luogo perché le obbligazioni bancarie rappresentano una forma di raccolta di capitale ad un costo inferiore a quello che un mercato finanziario efficiente richiederebbe in ipotesi di aspettative razionali. In secondo luogo, le obbligazioni bancarie di tipo strutturato sono collocate con l’applicazione di commissioni di collocamento che rappresentano una fonte di ricavo per la banca. Infine, con la crisi di liquidità sperimentata durante il crollo dei mercati finanziari nel 2008, le banche hanno usufruito dei collocamenti obbligazionari quale canale di raccolta di capitali per migliorare i propri indicatori patrimoniali messi a dura prova dalle turbolenze finanziarie. In buona sostanza, il vero affare delle obbligazioni bancarie lo hanno fatto solo le banche e i loro promotori remunerati sulla base del collocato.

Nonostante tutte queste cattive notizie, i risparmiatori non devono disperare. Le soluzioni per difendersi dalle offerte apparentemente allettanti delle banche esistono. Innanzitutto, occorre acquisire alcune nozioni di base per valutare la convenienza di un’obbligazione bancaria rispetto ad un titolo di Stato, che deve sempre rappresentare un metro di paragone per il piccolo risparmiatore. Un errore da evitare assolutamente è quello di guardare solo al tasso cedolare dell’obbligazione. Spesso dietro un tasso cedolare molto alto rispetto al mercato si nascondono clausole comprensibili solo al risparmiatore dotato dell’attenzione e della pazienza necessarie per leggere l’intero prospetto dell’offerta. In molti casi, si tratta di mere operazioni di marketing, dato che le cedole più alte sono garantite solo i primi 1-2 anni, per poi diminuire negli anni successivi. In generale, nel valutare le obbligazioni occorre distinguere tra quelle a tasso fisso e quelle a tasso variabile.

L’indicatore utile a valutare ex ante un’obbligazione a tasso fisso è il tasso di rendimento effettivo a scadenza (TRES). Tale parametro esprime il rendimento medio annuo che ci si aspetta dall’obbligazione nell’ipotesi di detenerla sino alla scadenza. Esso permette di confrontare il rendimento di un’obbligazione bancaria con quello di un titolo di Stato con scadenza simile, verificando pertanto se l’obbligazione bancaria offre un premio rispetto al titolo di Stato.

Per le obbligazioni a tasso variabile è, invece, utilizzato lo spread rispetto all’indice Euribor. Una tipica obbligazione a tasso variabile (c.d. floater) offre di solito un rendimento indicizzato all’Euribor (3, 6 o 12 mesi) a cui si aggiunge un ulteriore elemento di remunerazione, detto spread. Il concetto è il medesimo che si applica nel caso dei mutui a tasso variabile. Con la differenza che quando si acquista un’obbligazione bancaria a tasso variabile sono i risparmiatori che prestano denaro alla banca. Infine, un elemento da considerare per tutte le obbligazioni è la liquidità: è sempre preferibile che un piccolo risparmiatore acquisti obbligazioni quotate sul MOT o sull’EuroTLX per evitare che, in caso di disinvestimento, si subiscano le condizioni di prezzo imposte unilateralmente dalla banca.

*Consulente finanziario indipendente

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