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Sabato, 20 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

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Partiti e Stato, la Rete può riportare il Pd al confronto con la società reale

Ho letto con attenzione critica l’appassionata analisi ferragostana di Carmine Dipietrangelo sul Partito Democratico, sulla sua evoluzione (o involuzione?) di questi anni e su ciò che potrebbe rappresentare in futuro. Preliminarmente, devo ammettere che sono sorpreso io stesso dal fatto di aver letto quell’intervento, avendo da anni abbandonato (e anche con un certo fastidio) tutti gli argomenti che a vario titolo hanno a che fare con il dibattito politico.

Ho letto con attenzione critica l’appassionata analisi ferragostana di Carmine Dipietrangelo sul Partito Democratico, sulla sua evoluzione (o involuzione?) di questi anni e su ciò che potrebbe rappresentare in futuro. Preliminarmente, devo ammettere che sono sorpreso io stesso dal fatto di aver letto quell’intervento, avendo da anni abbandonato (e anche con un certo fastidio) tutti gli argomenti che a vario titolo hanno a che fare con il dibattito politico.

Ma l’incipit di quel contributo ha rappresentato proprio un’irresistibile tentazione: «Se qualcuno è interessato al Pd, alla sua evoluzione riformista e ad una sinistra ampia e non vuole far parte di nessuna tribù, corrente o comitato elettorale […] può avere un luogo dove discutere di questioni […] per le cui soluzioni e visioni ha ancora un senso far parte di un partito e di essere di sinistra?».

Per Dipietrangelo, vecchio dirigente comunista che ha seguito tutta l’evoluzione del suo originario Partito, la risposta affermativa alla fine appare scontata, sia pure in modo piuttosto sofferto e contraddittorio, nonostante quello che egli stesso definisce « il correntismo senza idee, lo sfrenato carrierismo, gli esasperati personalismi che hanno fatto emergere gruppi dirigenti senza preparazione, mediocri, cinici». Perciò alla fine del suo intervento afferma che non intende rassegnarsi e che non abbandonerà il campo della sinistra, magari per scegliere la via della “scissione silenziosa” dal Pd.

Ora, io conosco da decenni Carmine Dipietrangelo come un uomo politico accorto ed intelligente, che in qualche maniera ha tenuto la barra dritta nel corso degli ultimi, difficili 25 anni, passati a traghettare la sua organizzazione politica da Pci a Pds, da Ds a Pd, sviluppando un percorso complicato e contraddittorio che ha avuto come unico filo ispiratore quello di rompere il recinto nel quale per 50 anni si era auto-confinato il più grande Partito Comunista dell’Occidente.

Toccare con mano la delusione e la sferzante critica di un protagonista di questo progetto rappresenta probabilmente un punto di svolta sul quale converrà riflettere. Già, perché il problema non sta soltanto nel Pd o nei suoi militanti e dirigenti. Il fatto è che non solo i partiti, ma tutte le organizzazioni di rappresentanza non godono più della fiducia della gente, com’è dimostrato dal crescente astensionismo elettorale, dalle difficoltà da parte delle organizzazioni ad intercettare le istanze e la fiducia di una popolazione delusa e scoraggiata, dalla caduta del numero complessivo dei tesserati, dalla deriva culturale del Paese e dal senso di disinteresse generalizzato.

Ci sarà pure una ragione dietro al fatto che mentre le sezioni e i circoli si svuotano, gli enti di volontariato e le associazioni senza scopo di lucro riscontrano un chiaro successo nelle adesioni. Il volontariato associativo si sta trasformando da ambiente in cui esprimere il proprio senso civico in vero e proprio rifugio dalla politica. Chi si impegna nel sociale lo fa perché vuole contribuire al soddisfacimento dei bisogni della società e lo vuol fare in maniera diretta e concreta, senza le intermediazioni e le interpretazioni di organismi terzi.

In questa situazione i partiti si trovano a dover ripensare i vecchi strumenti di partecipazione di militanti e simpatizzanti, per mettersi alla ricerca di nuove soluzioni che canalizzino una maggior attenzione del pubblico verso la propria attività. Nel fare questo, devono tenere in conto che l’esigenza tipica dell’uomo moderno è quella di veder appagati i propri bisogni personali, non trovando più risposte soddisfacenti alla propria condizione nei tradizionali sistemi di aggregazione e di motivazione collettivi (compresi quelli dell’impegno politico, cioè i partiti).

Citando il sociologo tedesco Ulrich Beck «l’uomo moderno diventa più esigente rispetto al passato, meno ancorato ai dettami di un pensiero precostituito, preferisce selezionare di volta in volta i contenuti che ritiene più opportuni piuttosto che legarsi con cieca fiducia ad una già predefinita filosofia di vita».

In questo contesto, l’unica proposta che sembra apprezzare le mutate condizioni del “fare politica” è quella lanciata da Fabrizio Barca. Una proposta inedita e per certi versi coraggiosa che parte dalle denuncia impietosa del “seme cancerogeno” della democrazia italiana: il rapporto patologico tra partiti e Stato, rapporto nel quale due entità dipendono l'una dall'altra per la propria sopravvivenza.

Partendo da questa denuncia, Barca auspica che i partiti, e tra questi il Pd, una volta separati nettamente dallo Stato, si radichino sul territorio per essere mobilitatori di conoscenze, suscitando quella che Barca chiama la “mobilitazione cognitiva”, fatta di dibattiti accesi, di confronti faccia a faccia che abbiano il compito di resuscitare non solo la passione politica, ma quella concretezza di obiettivi vicini alla gente che la casta ha finito per ignorare.

Apprezzo sicuramente lo sforzo di assegnare a questo “sperimentalismo democratico” (così lo definisce lo stesso autore) il compito di superare l’ipotesi che pochi individui (gli esperti, i tecnocrati) dispongano della conoscenza per prendere le decisioni necessarie al pubblico interesse, delineando invece i contorni di un “partito-palestra”, animato dalla partecipazione e da un volontariato capace di promuovere la ricerca continua e faticosa di soluzioni per l’uso efficace e giusto del pubblico denaro.

Ma i cittadini a cui pensa Barca, quelli che dovrebbero affollare il “partito-palestra”, non esistono più, appartengono al passato, giacché di fronte alla concorrenza spietata di una comodità tecnologica che si porta in tasca e consente di dialogare in tempo reale con il mondo, è quanto meno improbabile trovare persone disposte a rinchiudersi tra le quattro mura di una sede politica.

Ed eccoci giunti al nervo scoperto di tutto questo ragionamento: in che modo la Rete può aiutare i partiti, soprattutto quelli di sinistra, a ritrovare empatia con il proprio elettorato? Barca assegna ad essa il ruolo di strumento propedeutico, anche se sussidiario, di un confronto che deve essere comunque riportato in luoghi fisici territoriali, in sezioni e circoli, per l’approfondita disamina dei problemi (“La Rete è strumento decisivo per avviare, rendere fattibile, alimentare di nuovi apporti questa apertura, che troverà nell’incontro fisico la sua realizzazione”).

Penso onestamente che percorrere questa opzione significhi rassegnarsi a farsi superare quotidianamente dalla realtà. La Rete non può essere solo lo strumento decisivo per avviare, rendere fattibile ed alimentare di nuovi apporti questa apertura. Essa è già in realtà lo strumento principale, inscindibile dalla nuova democrazia diretta che la tecnologia ha reso possibile. Per questo bisogna lavorare quotidianamente per verificare la fattibilità di un suo uso ai fini di una partecipazione - verificabile, certificata e non manipolata - alla costruzione di una democrazia collegata giorno per giorno con i cittadini.

Ecco perché penso che la realizzazione di un luogo virtuale (il che non impedisce che poi possa diventare anche fisico), nel quale Il Pd renda possibile lo scambio di conoscenze sul che fare, sulle soluzioni disponibili, sulla loro rispondenza alle preferenze dei cittadini, sulla loro appropriatezza al contesto, rappresenterebbe certamente un passo importante per avvicinarsi alle nuove modalità di interlocuzione con ampi e significativi strati di cittadini.

Credo che solo in questo modo l’impegno alla “mobilitazione cognitiva” e allo “sperimentalismo democratico” possa diventare interessante e, perché no, intrigante anche agli occhi di chi assiste dall’esterno al dibattito che si sta sviluppando nel Partito Democratico.

 

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