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Sabato, 20 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

Ospitiamo in questo Blog opinioni di alcuni cittadini Brindisini

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Il risiko insensato delle nuove province, solo per rassicurare la Bce

Come era prevedibile il dibattito sulla attuazione delle norme emanate dal Governo per il riordino delle Province italiane ha imboccato la strada del richiamo alla storia e alle identità territoriali vere o presunte, con qualche flebile e confuso discorso sugli interessi di prospettiva delle comunità locali ad appartenere all’una o all’altra compagine territoriale. Ma l’obiettivo del Governo dei Tecnici non era quello di rivedere la spesa per ridurla e migliorare la sua qualità? Forse. Dico forse perché se era veramente questo, e non solo completare il dettato della lettera famosa della BCE, gli strumenti individuati hanno molto poco di “tecnico” e, soprattutto, di efficace.

Come era prevedibile il dibattito sulla attuazione delle norme emanate dal Governo per il riordino delle Province italiane ha imboccato la strada del richiamo alla storia e alle identità territoriali vere o presunte, con qualche flebile e confuso discorso sugli interessi di prospettiva delle comunità locali ad appartenere all’una o all’altra compagine territoriale. Ma l’obiettivo del Governo dei Tecnici non era quello di rivedere la spesa per ridurla e migliorare la sua qualità? Forse. Dico forse perché se era veramente questo, e non solo completare il dettato della lettera famosa della BCE, gli strumenti individuati hanno molto poco di “tecnico” e, soprattutto, di efficace.

Partiamo dai costi della politica: 113 milioni tra indennità e gettoni di presenza ai consiglieri su un totale di spesa delle Province che ammonta a circa 12 miliardi. Qui il risultato è positivamente conseguito attraverso la trasformazione delle Province da Enti elettivi ad Enti di secondo grado dei Comuni. Se si sottrae dal totale il costo del personale, del rimborso prestiti, della manutenzione di strade e scuole di secondo grado, e altre spese abbastanza rigide, si scopre che residua un totale teorico su cui operare di 2 miliardi al massimo. Cifra ragguardevole, ma non facilmente comprimibile senza comprimere le funzioni amministrative attuali, ma riducibile gradualmente ottimizzando le stesse funzioni mediante economie di scala.

Ma se questo è vero, perché il Decreto del Governo assegna prevalentemente le funzioni sottratte alle Province ai Comuni ( il cui numero va semmai ridotto!) e non alle Regioni, che possono svolgerle in termini di Area Vasta? In Puglia questa dimensione ci è familiare quando pensiamo all’Acquedotto Pugliese, ma ormai anche la pianificazione urbanistica e territoriale, la pianificazione del sistema dei trasporti e la stessa pianificazione scolastica hanno inevitabilmente una dimensione regionale. Tanto più se si crede alla opportunità di abolire del tutto le Province, come reclamava inascoltato Ugo La Malfa dopo la costituzione delle Regioni.

Impegnare quindi le comunità locali in questo risiko insensato per ridurre soltanto il numero delle Province, piuttosto che portare a termine l’iter della Legge Costituzionale per il loro superamento, sa molto poco di risparmio e molto di più di volontà di dare un ennesimo segnale alla cosiddetta Europa (meglio: la Banca Centrale Europea) di diligenza nell’attuare i compiti su cui Tremonti era recalcitrante: pensioni, mercato del lavoro, Province. Poco importa se la riforma delle pensioni ha dimenticato un piccolo esercito nella tundra siberiana, se la Legge Fornero sul mercato del lavoro ha scontentato tutti e sarà emendata dalla giurisprudenza del lavoro o se le Province rimarranno in vita per attuare compiti che potevano essere, con maggiore risparmio facendo le cose per bene, assegnate alle Regioni.

Ma una delusione ancora maggiore si prova leggendo le norme sulle cosiddette Città Metropolitane. Ma come, aspettavamo a braccia aperte i tecnici al governo pensando: almeno loro metteranno fine a questa farsa di considerare Bari o Catania come Città Metropolitane. Ci risparmieranno comizi demagogici, referendum, sprechi di risorse. Anzi, qualcuno si era persino chiesto come mai il banchiere centrale europeo avesse voluto interessarsi delle Province italiane e disinteressarsi delle aree metropolitane composte di grandi paesoni messi sullo stesso piano di Londra Berlino o Milano. Nella disattenzione europea il nostro governo tecnico, che disdegna la ricerca della originalità, ha pensato di confermare la Aree metropolitane con le stesse funzioni delle Province e con l’aggiunta niente di meno che della “promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale”.

Insomma, nelle intenzioni, una Regione nella Regione. Bitonto, che ha votato contro l’appartenenza alla Città metropolitana, forse non sa cosa si perde. Insomma nella lunga attesa della inevitabile bocciatura di questi articoli del Decreto governativo da parte della Corte Costituzionale il tempo abbiamo tutto il tempo di sognare l’avvento di un Governo che, al di là delle sue qualificazioni mediatiche (tecnico, politico, misto, etc.), sia capace di riformare le istituzioni partendo dalla valutazione delle funzioni, delle risorse umane e del loro dimensionamento, delle risorse finanziarie realisticamente disponibili, per poi risalire al disegno istituzionale. I soli effetti d’annuncio e le politiche simboliche hanno veramente fatto il loro tempo.

*direttore generale Innovapuglia

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