Le lotte sindacali nel Brindisino: riflessioni sul libro di Cosimo Zullo
Intervento di Michele Miraglia sull'opera del sindacalista mesagnese su un periodo fra i più rilevanti e travagliati della storia repubblicana
La spinta a rievocare eventi significativi del passato, dando il giusto rilievo alle principali figure che lo hanno animato, nasce tanto dalla naturale nostalgia per il tempo che fu, con la tendenza ad idealizzare i protagonisti di quel tempo, quanto dal bisogno di trarre dal confronto con quella realtà qualche insegnamento utile per l’attuale, così povera di slanci ideali. E’ questo in sintesi il significato che si può trarre dalla lettura del libro di Cosimo Zullo, “Le lotte sindacali nel Brindisino (1971-1981)", Locorotondo Editore, riferito ad un periodo tra i più rilevanti e travagliati della storia repubblicana italiana.
All’epoca, ‘la pietra nello stagno’ per superare la democrazia bloccata, che escludeva dal governo del paese milioni di cittadini, rappresentati dal Pci, il maggior partito d’opposizione e principale protagonista della guerra partigiana di liberazione dal nazifascismo, fu lanciata da Berlinguer con la proposta del ‘compromesso storico’ (1973), nel tentativo di replicare a livello politico parlamentare quanto avvenuto in campo sindacale, l’unità delle forze democratiche antifasciste con la convergenza dei due principali partiti, Dc e Pci, al fine di attuare nel paese una incisiva politica di riforme e di progresso sociale e civile. Sappiamo come naufragò quel disegno, per l’ostilità delle forze conservatrici , per la recrudescenza di quelle reazionarie e fasciste, che ammazzarono con successive stragi tante vittime inconsapevoli ed inermi e per l’attacco convergente e spietato compiuto alle istituzioni dal terrorismo, dalle ‘brigate rosse’, con le uccisioni di molte personalità di rilievo, principalmente in campo politico e sindacale, culminate con il drammatico rapimento e l’uccisione dell’on. Moro (1978), principale fautore insieme a Berlinguer della ineludibilità dell’incontro e collaborazione tra le due principali forze politiche per dare al paese un governo all’altezza dei tempi.
Purtuttavia, sull’onda della strepitosa avanzata del Pci alle elezioni politiche del 1976, delle imponenti manifestazioni di popolo in difesa della democrazia contro il terrorismo ed il fascismo ed a favore di una politica di riforme, si svolsero in quel periodo in sede parlamentare memorabili battaglie per dotare il paese di una legislazione più adeguata, conseguendo importanti risultati, in campo soprattutto sociale: la legge sul divorzio e la regolamentazione dell’aborto, i decreti delegati sulla scuola, le conquiste sindacali dello Statuto dei lavoratori e della legge n.83 sul collocamento agricolo, la Riforma Sanitaria.
Nel quadro generale delineato, nel contesto agitato e tormentato vissuto a livello nazionale, un interesse particolare riserva la narrazione di Cosimo Zullo nel suo libro sulle lotte sindacali di quegli anni in provincia di Brindisi. Partendo da un’analisi ‘dal basso’, quando inizia e si sviluppa l’azione sindacale, egli si sofferma sulle figure di spicco, che hanno dato impulso alla crescita del movimento sindacale per l’attuazione di una politica di riforme. Organizzando scioperi, manifestazioni nelle singole realtà dove operavano, quei protagonisti, animati da passione ed abnegazione, erano punto di riferimento insostituibile per i lavoratori bisognosi di protezione ed assistenza e per la promozione di ogni altra iniziativa positiva. Menzionarli tutti è difficile, sia perché la lista di quei promotori è molto lunga, sia perché si rischia di escluderne qualcuno, degno di essere citato. L’autore li ricorda con affetto e riconoscenza, in quanto ex dirigente sindacale della Cgil e compagno di lotte con molti di loro, soffermandosi su ciascuno per evidenziarne il laborioso operato e le benemerenze acquisite.
L’insediamento negli anni ’60 di grossi complessi industriali a Brindisi (Montedison) e Taranto (Italsider) ed il ‘miracolo economico’ di quegli anni, con l’assorbimento nelle fabbriche del Nord di manodopera disoccupata, emigrata dalle regioni meridionali, aveva allentato la forte pressione occupazionale in agricoltura, fino ad allora la maggiore risorsa economica delle nostre realtà. In precedenza, la concentrazione della proprietà fondiaria in mano di pochi e la grande disponibilità di manodopera disoccupata, aveva consentito al padronato agrario di sfruttare quella situazione, concedendo con contratti molto favorevoli, in particolare di colonia parziaria, piccole quote di terreni a coltivatori bisognosi per impiantare ed allevare vigneti. Nonostante le minori disponibilità di manodopera agricola dovuta alle ragioni sopraesposte, che privavano del ricambio generazionale (turn-over) le quote coloniche, l’istituto della colonia parziaria sopravvisse a lungo nelle campagne salentine, come ci ricorda nell’excursus storico a partire dagli inizi del ‘900, Zullo nel suo libro.
Memorabili lotte furono ingaggiate all’epoca dalla Federbraccianti, in prima linea, coadiuvata dalla Alleanza dei Contadini, per migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei coloni e dei braccianti, mentre a livello parlamentare, per merito della sinistra e soprattutto del Pci, alcune significative brecce venivano aperte nel fronte padronale con l’approvazione della legge n.11 del 1971, che introduceva l’equo canone nell’affitto dei fondi rustici. Da allora, l’azione sindacale nella campagne si svolse principalmente all’insegna della trasformazione dei diffusi contratti di colonia parziaria in affitto fino a quando, dopo tenaci resistenze del padronato agrario, sostenuto dai partiti della destra e con molti tentennamenti dalla Dc, si giunse al varo della legge n.282 del 1982, che consentiva tale trasformazione, a determinate condizioni.
Ormai era troppo tardi, la crisi del mercato vinicolo, che si stava accentuando con la mancata tradizionale richiesta di vini da taglio da parte dei paesi importatori, mise in crisi tutta la viticoltura delle nostre campagne, orientata alla produzione di quei vini, con il risultato della estirpazione massiccia dei vigneti ad alberello, incentivata dai consistenti premi Ue alla estirpazione e del conseguente abbandono delle ultime quote da parte dei coloni rimasti. Si determinò in tal modo la fine ingloriosa della colonia parziaria nel mezzogiorno, dopo secoli di ricorso a quel contratto vantaggioso da parte dei concedenti assenteisti. E’ vero quanto afferma C. Zullo , che “dopo circa 75 anni oggi si può notare come i vecchi terreni della colonia salentina siano tornati nelle mani dei precedenti proprietari e dei loro eredi e si siano in qualche modo ‘persi’ quei sacrifici di tanti coloni che ne permisero il miglioramento”, ma è altrettanto vero che dopo la fuoriuscita dei coloni, quei terreni, non più in grado di procurare rendite sostanziose alla proprietà, come avveniva da secoli, subirono una forte svalutazione con il risultato di rimanere abbandonati oppure destinati dai proprietari, con minori profitti, a colture estensive fino ad ospitare pannelli fotovoltaici.
Altri fronti di lotta, aperti dalla diffusione delle colture irrigue ortofrutticole, impegnavano il sindacato in quel periodo contro la piaga del caporalato e dello sfruttamento della manodopera femminile, costretta a lunghe percorrenze per raggiungere i luoghi di lavoro con mezzi di fortuna ed a rischio della vita. Di tutti questi aspetti si occupa con partecipazione e dovizia di particolari l’autore nel suo libro, così come ricorda le grandi manifestazioni di popolo con l’intervento, a Brindisi e provincia, dei più autorevoli esponenti politici del Pci e sindacali della Cgil a sostegno delle lotte dei lavoratori e per un futuro migliore.
Nell’esprimere un giudizio sui tempi correnti, l’autore conclude la premessa al testo con tono sfiduciato e dimesso, affermando che “ Volendo sfuggire alla retorica della memoria , siamo precipitati nell’indifferenza e nel cinismo.”!