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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Salvemini nel Pantheon di Puglia, e tra i padri nobili d'Italia

Gaetano Salvemini è stato un “Padre nobile” dell’Italia, del Meridione, della Puglia. Questa sua indiscussa peculiarità si evince da una lettera datata 1944, allorquando scrivendo a Gaetano Arfè, che lo aveva aiutato nell’approntare alcuni scritti per la Casa Editrice Einaudi, Salvemini afferma. “Mi ha interessato sempre il socialismo meridionale e il socialismo italiano in funzione di quello meridionale e viceversa”. Da ciò, si intende bene quanto socialismo e meridionalismo, in Salvemini, costituissero un binomio inscindibile e come dallo studioso molfettese viene fuori il travaglio che investì il socialismo italiano nel primo, ma anche nel secondo dopoguerra.

Gaetano Salvemini è stato un “Padre nobile” dell’Italia, del Meridione, della Puglia. Questa sua indiscussa peculiarità si evince da una lettera datata 1944, allorquando scrivendo a Gaetano Arfè, che lo aveva aiutato nell’approntare alcuni scritti per la Casa Editrice Einaudi, Salvemini afferma. “Mi ha interessato sempre il socialismo meridionale e il socialismo italiano in funzione di quello meridionale e viceversa”.  Da ciò, si intende bene quanto socialismo e meridionalismo, in Salvemini, costituissero un binomio inscindibile e come dallo studioso molfettese viene fuori il travaglio che investì il socialismo italiano nel primo, ma anche nel secondo dopoguerra.

Salvemini, con stile pungente e vena sarcastica è capace di affrontare l’annoso tema tra settentrionali e meridionali: “Via via che la mia fiducia –egli scriveva- nelle forze indigene del mezzogiorno si è andata attenuando, ho dovuto convincermi  che l’aiuto dei settentrionali  è la sola via che si possa battere. Dopo tutto, economicamente è la sola colonia redditizia, su cui le industrie settentrionali possano fare assegnamento sicuro, per smaltire le loro cotonine ed i loro campanelli elettrici. Se i compratori sono poveri, i venditori non possono prosperare. E politicamente lo vogliano o non lo vogliano i settentrionali sono attaccati ai ‘terroni’ come il busto è attaccato alle gambe. Bisogna, dunque, ripetere nell’Italia settentrionale, anche a chi non vuol sentire, e sono sempre molti, sebbene mi pare siano meno di cinquant’anni fa, che i nordici debbano occuparsi non solo di se stessi ma anche dei sudici, se non vogliono trovarsi a mali passi”.

Lo storico molfettese ebbe chiara la sensazione che profondi cambiamenti si stavano verificando in Italia nei costumi, nella socialità, nella politica; si trattava in definitiva di temi scottanti come quello delle autonomie, ma anche dell’Unità nazionale.    A Gaetano Salvemini stava particolarmente a cuore la cultura, circa sessant’anni or sono egli, con sguardo avveniristico, considerava superato il metodo d’insegnamento nelle scuole italiane, come anche le esigenze di autonomia regionale e locale. Egli era consapevole di una situazione nuova che, per forza, doveva aprirsi sotto il profilo culturale e politico degli anni Cinquanta.

Il deputato locale, le clientele, i prefetti non dovevano avere alcuna prevalenza, né avere alcun dominio sulla vita in generale, dei meridionali in particolare. Nel suo scritto Molfetta 1954, Salvemini analizza sulle basi che gli furono fornite da eccellenti allievi, tra i quali spiccava Beniamino Finocchiaro, le profonde trasformazioni culturali e sociali che intervenivano ineluttabilmente nelle città. Scriveva: “Se chiudo gli occhi per rievocare le condizioni di sessant’anni or sono, e le confronto con quelle di oggi, mi sembra di sognare, vivendo in un mondo nuovo”.

Per quanto riguarda il punto più alto della riflessione meridionalistica di Gaetano Salvemini è bene rifarsi alla Questione Meridionale in questo suo libro, edito da Einaudi, lo storico molfettese ebbe la capacità di raccogliere i diversi interventi dedicati al Mezzogiorno, partendo da uno scritto del 1896, riguardante la sua città natale dal titolo: “Un Comune nell’Italia Meridionale”, dove affrontava il problema dell’emancipazione meridionale visto nella più ampia luce del socialismo. Tutto ciò (che assolutamente non è tutto) è sufficiente per collocare Gaetano Salvemini, come si conviene ad un uomo della sua portata, nel Pantheon dei più illustri uomini d’Italia.

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