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Venerdì, 29 Marzo 2024
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A cura di Blog Collettivo

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Sarah: quanti "orchi" esistono nelle famiglie?

Tutti i delitti, normalmente, scuotono le coscienze e molti di essi colpiscono perché sembrano possibili all’esperienza di ognuno. L’uccisione di un uomo è già di per sé un atto sconvolgente, ma quando tra l’autore e la vittima dell’omicidio esiste un legame familiare, il senso di orrore e i sentimenti di riprovazione aumentano sino a determinare una parziale negazione sociale del fenomeno: se ne prende atto e, allo stesso tempo, si tende ad attribuire un nesso causale tra disturbi psicopatologici ed atto omicida; l’autore di un simile reato non può che essere un “pazzo”, uno “squilibrato”, un “mostro”.

Tutti i delitti, normalmente, scuotono le coscienze e molti di essi colpiscono perché sembrano possibili all’esperienza di ognuno. L’uccisione di un uomo è già di per sé un atto sconvolgente, ma quando tra l’autore e la vittima dell’omicidio esiste un legame familiare, il senso di orrore e i sentimenti di riprovazione aumentano sino a determinare una parziale negazione sociale del fenomeno: se ne prende atto e, allo stesso tempo, si tende ad attribuire un nesso causale tra disturbi psicopatologici ed atto omicida; l’autore di un simile reato non può che essere un “pazzo”, uno “squilibrato”, un “mostro”.

In questi ultimi giorni, alla luce di quanto è accaduto a Sarah Scazzi, qualcuno ha etichettato Michele Misseri, zio e assassino della ragazza, proprio come “il mostro di Avetrana”. Sarebbe forse più corretto affermare che quest’uomo, descritto da tutti come agricoltore tranquillo, serio e ben educato, non è un “mostro” in partenza, ma ha messo in atto “comportamenti mostruosi”. Probabilmente Misseri aveva un’ossessione per la nipote, una serie di fantasticherie che ha deciso poi di tramutare in esplicite proposte e il delitto è stata la reazione al rifiuto della ragazza, o meglio, alla minaccia di rivelare tutto all’esterno.  L’assassino non ha dato segnali premonitori della sua pericolosità, la situazione è precipitata a causa di una concatenazione di eventi. Si tratta quindi di una vicenda che è nata come un caso di pedofilia ed è poi degenerata in delitto.

Ma quanti “orchi” esistono nelle famiglie? La risposta a questa domanda non può essere esaustiva. I dati tratti dalle statistiche giudiziarie mostrano che l’abuso intrafamiliare, sebbene in parte “tenuto nascosto”, e quello commesso da soggetti definiti “parafamiliari”, ossia parenti e persone vicine alla famiglia, prevalgono sull’abuso commesso da soggetti totalmente sconosciuti al minore.

All’interno della cosiddetta famiglia allargata (nonni, zii, cugini, amici stretti della famiglia), infatti, i casi di abuso nei confronti di minori sono molto frequenti e l’”orco” sfrutta proprio il rapporto di parentela preesistente per condizionare la vittima senza usare la forza. La possibile mancata resistenza viene infatti strumentalizzata per intimidirla al fine di mantenere il segreto. In tale situazione viene utilizzata una posizione di superiorità per dominare il minore che viene ricattato con il fatto che tutti verranno a sapere che è stato lui a creare quella situazione oppure che sarà severamente punito se rivelerà l’accaduto.

In questo contesto il minore potrà anche arrivare a percepire se stesso come cattivo, quindi meritevole della violenza subita che resterà segreta. È proprio questa dinamica, insieme al “silenzio” di chi sospetta, ma non ha il coraggio di esporsi, che determina la presenza di un elevato numero oscuro, ovvero del numero di fatti delittuosi che rimangono del tutto sconosciuti perché non denunciati. Nasce da qui la difficoltà di quantificare con esattezza l’entità del fenomeno.

Se poi si fa riferimento al sesso di colui che abusa in famiglia forse non sarebbe neanche corretto parlare di “orchi” perché secondo le stime, in cinque casi su cento, ad abusare sono madri incestuose e ambigue zie. Non se ne parla, ma questo fenomeno esiste.

La stessa osservazione va fatta per quanto concerne gli omicidi. Nel caso di Avetrana in molti sottolineano come ancora una volta ad uccidere sia stato un uomo. Statisticamente è così e si discute se sia un fatto biologico e quindi legato al ruolo “attivo” dell’uomo, o culturale, cioè legato alla percezione sociale, in alcune zone del mondo ancora esistente, della posizione di “inferiorità” della donna. In realtà non mancano casi di efferate assassine, ma il sadismo resta prevalentemente maschile.

Ad Avetrana il modo in cui è stato occultato il cadavere di Sarah lascia supporre che l’assassino non abbia agito da solo, ma le indagini chiariranno gli aspetti ancora oscuri di questa vicenda.

Alla luce dei fatti l’indignazione è scontata, ma la società dovrebbe porsi in modo critico di fronte ai rapporti interpersonali e parentali a partire da quegli spot pubblicitari che propongono l’immagine della famiglia quale isola felice e sicura del tutto estranea ad una società di orrori e violenze.

*criminologa

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