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Genitori con figli diversamente abili: tra rabbia e amore

Quando arriva la diagnosi di un disturbo cognitivo, neurologico, malformazione fisica è sempre uno stravolgimento doloroso per i genitori. Non tutti e non sempre sono pronti a fronteggiare un figlio diversamente abile

Quando arriva la diagnosi di un disturbo cognitivo, neurologico, malformazione fisica è sempre uno stravolgimento doloroso per i genitori. Non tutti e non sempre sono pronti a fronteggiare un figlio diversamente abile grave, cieco, epilettico, autistico ed anche quando essi acquisiscono forza ci sono inevitabilmente momenti di rifiuto, fatica, impotenza, frustrazione.

I loro sentimenti di rabbia e amore sono disperatamente in conflitto. Il disagio è quotidiano, coinvolge tutti i membri della famiglia, è reale che quel figlio non conferma le aspettative per questo i genitori cercano angosciosamente un momento di tregua, un modo per spegnere anche solo per attimo l’interruttore, a volte facendosi carico del senso di colpa per quell’ora di libertà.

C’è da chiarire che è assolutamente normale provare sentimenti contrastanti, spiacevoli che convivono nello stesso tempo, spazio, per la stessa persona, e può far stare più sereni perdonandosi e accettando ciò scansando il senso di colpa. La disperazione è reale: le urla, i pianti, le autolesione e gli atti di aggressività verso gli altri, gli abbracci non sempre ricevuti, il sorriso non compreso, i primi passi e le prime parole che non ci saranno o arriveranno con sofferenza.

Il non poter rimproverare e insegnare, poiché molti comportamenti inadeguati e inopportuni di persone diversamente abili non sono figli del vizio e del capriccio, ma di una patologia insormontabile.  È uno smarrirsi continuo, un legame che fa soffrire, che graffia. Potrebbe aiutare diventare consapevoli, accettare e gestire con onestà i sentimenti negativi e avvilenti, la rabbia e l’amore per un figlio che va accompagnato nel percorso di vita con sofferenza, un dolore che non abbandona, dalla scuola, ad un semplice prelievo del sangue, alle etichette della società, all’inserimento nella comunità.  

Se è reale che i ritmi fin da subito e per tutta la vita saranno scanditi e orientati a quelli del figlio diversamente abile, è altrettanto vero che ad certo punto non sempre un genitore riesce a sostenere quell’impotenza un po’ per la stanchezza, un po’ per l’età che avanza. E allora c’è il quesito del “dopo di noi?” che può arrivare in qualsiasi momento e non è condannabile, punibile o giudicabile.

Poiché la sofferenza è immane e quotidiana a volte fa cambiare rotta all’amore dirigendolo verso un istituzione che possa aiutare. È un passo difficile che potrebbe sapere di abbandono ed egoismo, ma c’è molto altro dietro. È un gesto d’amore razionale, che spinge ad allontanarsi dal figlio diversamente abile affinché professionisti e personale sanitario possano aiutarlo a migliorare o non peggiorare.

Anche il prendersi del tempo per sé, come uscire, svagarsi, fare un viaggio, dedicarsi un’ora dal parrucchiere o ad un hobby, inserire in gruppi di colonie estive il figlio diversamente abile sono gesti d’amore. Se non si ricarica ritagliandosi doverosamente un tempo ed uno spazio personali, si rischia di essere risucchiati vorticosamente nel tunnel della malattia, della rinuncia, in cui la rabbia farà da maestra, rendendo la vita impossibile a tutti.

Non sarà il senso di colpa, l’annullamento di sé per il figlio, la rinuncia alla propria vita, l’inaccettazione del conflitto rabbia – amore verso il proprio figlio diversamente abile a rendere genitori migliori e regalare un esistenza senza sofferenza al proprio figlio. (rita.verardi@libero.it)

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