Turchia e Curdi ai ferri corti: errore Usa, e Siria sempre più in fiamme
Se c’è una cosa di cui il leader turco Tayyip Erdogan teme più di ogni altra, è il rafforzamento politico-militare dei Curdi
Come stavo raccontando un paio di giorni fa, nel corso della presentazione del mio libro, se c’è una cosa di cui il leader turco Tayyip Erdogan teme più di ogni altra, è il rafforzamento politico-militare dei Curdi; un popolo che, dallo smembramento dell’Impero Ottomano occorso nel 1919, vive separato in quattro diversi stati: Turchia, Siria, Iran ed Irak.
Purtroppo, nel volgere di poche ore, queste mie parole, sono state confermate dai fatti. Il presidente Erdogan, infatti, in risposta alle dichiarazioni USA, che tra breve esamineremo nel dettaglio, minaccia di invadere le regioni di etnia curda al nord della Siria ed attaccare le SDF-YPG (Sirian Dem0cratic Forces-Unità di Protezione Popolare).
Nelle more di una decisione in tal senso, la Turchia sta ammassando truppe lungo il confine turco-siriano ed ha iniziato a bombardare postazioni delle SDF curde nelle zone di Afrin e Hierapolis, a nord di Aleppo. Va da sé che, un eventuale intervento turco in Siria, riaprirebbe una crisi internazionale che si riteneva, in larga parte, se non superata, almeno, sotto controllo.
La causa scatenante di questa potenziale crisi va, ancora una volta, ricercata nella cosiddetta “difesa degli interessi occidentali”, o dovrei dire USA? La coalizione internazionale a guida Usa, infatti, ha appena annunciato di voler creare una forza di controllo delle frontiere della Siria (Border Security Force, BSF) con la Turchia e l’Iraq. Forza che dovrebbe contare circa 30.000 elementi e che verrebbe comandata direttamente dai leader dei combattenti curdi delle SDF-YPG.
La decisione è stata subito condannata sia da Afez al Assad sia da Tayyip Erdogan. Da Assad perché la vede come un’inaccettabile prevaricazione nei confronti della sovranità nazionale della Siria e da Erdogan perché la considera un rafforzamento delle SDF-YPG, che la Turchia considera nemiche.
La decisione è stata criticata anche da Mosca, che vi vede la conferma che il governo di Washington non vuole mantenere l’integrità territoriale della Siria. Ovviamente sottacendo che la zona interessata ai fatti, attualmente sotto controllo curdo, è ricca di pozzi petroliferi che la Siria non vuole lasciare sotto controllo curdo e gli USA non vogliono che ritornino sotto la sovranità di Assad. Le decisioni di Erdogan non dovrebbero tardare ad arrivare in quanto, se veramente si dovesse concretizzare l’ipotesi della creazione della BSF, la Turchia non avrebbe mai più altre possibilità di intervenire militarmente contro i curdi.
Nel frattempo, chi si sta avvantaggiando della situazione sono le forze residuali dell’ISIS poiché, le minacce turche contro i curdi hanno allentato la pressione delle SDF-YPG nei loro confronti. La cosa, dal punto di vista della stabilità dell’area e delle relazioni internazionali, come si stava dicendo poc’anzi, è molto delicata per almeno tre ragioni.
Primo, con le SDF-YPG vi sono centinaia di forze speciali e di consiglieri militari USA che, in caso di attacco turco, rischierebbero di rimanere vittime dei conflitti e, pertanto, esacerbando l’attuale crisi tra USA e Turchia; secondo, si tratterebbe comunque di un invasione – da parte della Turchia – di uno stato sovrano, senza che vi sia stata una dichiarazione di guerra o una risoluzione delle NU a supporto e, ciò, costituirebbe una gravissima violazione del diritto internazionale, specie se perpetrata da un Paese membro della NATO, qual è la Turchia.
Infine, vi è la concreta possibilità che la Russia intervenga militarmente – a supporto di Assad e contro le forze turche – cosa pregna di preoccupanti interrogativi in quanto, come accennato, la Turchia è parte dell’Alleanza Atlantica (NATO) e un’aggressione alle Forze turche – quindi alla Turchia – potrebbe comportare una violazione dell’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico dell’aprile del 1949, che prevede che un’aggressione portata contro uno dei Membri dell’Alleanza, debba considerarsi un attacco contro tutte le Nazioni che hanno sottoscritto il Trattato.
Ed è inutile sottolineare come questo, dato il numero e l’importanza delle nazioni coinvolte, ci potrebbe portare ad un nuovo conflitto mondiale . Un’ipotesi che nessuno sano di mente si dovrebbe augurare . Credo che un po’ di moderazione non guasterebbe; se alcuni leader si parlassero di più e twittassero di meno, non dico che vivremmo in un mondo migliore ma, almeno, verrebbe stimolato il dialogo interpersonale, cosa che, come recentemente è stato dimostrato dagli incontri tra i rappresentanti delle due Coree, non può che portare a dei migliori rapporti internazionali ed ad una migliore qualità della vita per tutti.