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Venerdì, 29 Marzo 2024
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A cura di Blog Collettivo

Migrazioni: Restinco e le armi spuntate dell’Europa

Sulle spesse pareti dei capannoni di Restinco, riadattati nei decenni a vari usi, è incisa la storia di migliaia di profughi. Per alcuni è finito anche il cammino su questa terra, come nell’ultima rivolta

Sulle spesse pareti dei capannoni di Restinco, riadattati nei decenni a vari usi, è incisa la storia di migliaia di profughi: da quelli istriani del secondo dopoguerra, sradicati dalle proprie case, dalle proprie terre e dalle proprie vite dagli accordi post-bellici in cui l’Italia pagò alla Jugoslavia e agli Alleati il prezzo della folle avventura fascista, a quelli del terzo millennio, incalzati da altre guerre, da altre follie, dalla fame, dalla necessità di trovare un nuovo futuro. Per alcuni, a Restinco è finito anche il cammino su questa terra, come nell’ultima rivolta. Ma c’è sempre un peccato originale alla base di tutto ciò: l’insistenza nel considerare il problema storico dell’immigrazione e della fuga dalla povertà verso l’Occidente un affare da gestire non per strutturare politiche adeguate sia nei propri Paesi che in generale in Europa, ma soprattutto secondo le proprie convenienze elettorali. 

Bisogna sempre chiedersi: chi ha sostenuto i colpi di stato in tante nazioni sub-sahariane e centroafricane? Chi decide e orienta il mercato di materie preziosissime in queste regioni? Chi ignora la necessità di aiutare questi paesi ad affrontare le gravi conseguenze delle mutazioni climatiche, come le carestie, e le malattie che sterminano migliaia di bambini? Perché tante madri preferiscono affrontare con i propri figli in tenerissima età il rischio della morte in mare, o il gelo delle foreste balcaniche?

La storia dei centri come Restinco, avviati come aree di accoglienza e finite per diventare anche centri di detenzione, e in alcuni casi solo questo, sono il monumento all’ipocrisia occidentale, alla permanente precarietà delle scelte sin qui compiute, alle divisioni dell’Europa (vedi le ultime vicende delle relazioni tra Italia e Francia, o quelle tra Regno Unito e Francia), della debolezza di fronte al ricatto delle bande libiche o dei periodici e non velati messaggi sulla possibile caduta del blocco a Est da parte di autocrati come il presidente della Turchia. 

Caduti nel vuoto, negli anni, gli appelli delle associazioni umanitarie ma anche quelli dei sindacati del personale che li gestisce e di quelli delle forze di polizia. I rimpatri procedono con grande difficoltà, sono costosi, e richiedono un grosso impegno per le scorte. Perché non si rispedisce a casa (termine eufemistico) solo chi delinque, ma anche chi non supera il test della valutazione dei diritti ad ottenere l’asilo.

Ironia del destino, Restinco in passato è stato un punto cruciale per la ripartenza di migliaia di vite, da quella degli istriani del dopoguerra a quella degli albanesi del luglio 1990, coloro che che avevano dato la prima spallata alla dittatura e dopo essere stati accolti a centinaia nelle ambasciate occidentali di Tirana, furono prima trasferiti a Brindisi, e poi con i treni in altri Paesi europei. Si pensava forse che in Albania sarebbe stato sufficiente abbattere Enver Hoxha? No: dal 7 marzo 1991 e nei giorni successivi si presentarono a Brindisi in 27mila. E poi a Bari, e poi l’emigrazione di massa di cui tutti sappiamo.
Chi pensa che la Libia possa essere la diga per cambiare la storia dei drammi dell’Africa moderna alzi la mano. Chi pensa che l’Italia e l’Europa possano convivere con queste emergenze umanitarie ricorrendo ai blocchi navali, alla guerriglia contro le Ong, alle liti tra governi, ai soldi investiti in quei pozzi senza fondo che sono i governi o le dittature sub-sahariane o centroafricane, faccia pure. Così non finirà mai. 

Devono cambiare radicalmente le politiche occidentali, devono avere una solida base di unità in Europa, bisogna abbandonare gli interessi particolari – il postcolonialismo non è ancora morto del tutto - di alcuni Paesi in Africa, che le ostacolano. L’Africa, e in parte lo è già, rischia di diventare solo un gigantesco terreno di confronto tra Occidente, Cina e Russia, a caccia del controllo sulle risorse minerarie e dell’appoggio di governi disponibili in cambio di investimenti e denaro. E noi cosa facciamo? Giochiamo la partita con i Cpr e facciamo le analisi del sangue alle Ong. Una nazione che è in prima linea nel Mediterraneo dovrebbe fare molto di più.

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