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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

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Stato, società e Mezzogiorno: le idee che la sinistra deve ritrovare

Vitantonio Gioia e Francesco Fistetti hanno scritto, dopo il mio intervento della scorsa settimana, cose condivisibili sull’attuale crisi della sinistra. Vorrei proseguire la discussione. La difficoltà che incontra il governo Monti a far uscire il paese dalla crisi, malgrado una manovra pesantissima, rimanda a questioni di più lungo periodo. Appare chiaro a tutti che non siamo di fronte a un compito facile. Il ventennio berlusconiano ha la responsabilità storica di aver eluso i problemi di fondo trasformando la battaglia politica in uno scontro ideologico di nuovo tipo in cui è nata la contrapposizione fra un’idea liberista abbastanza approssimativa e cialtrona, incardinata nella destra, e il neo-liberismo della sinistra post-comunista. Quest’ultima ha la responsabilità di non aver capito il mutamento di fondo che si stava realizzando nel sistema di comando.

Vitantonio Gioia e Francesco Fistetti hanno scritto, dopo il mio intervento della scorsa settimana, cose condivisibili sull’attuale crisi della sinistra. Vorrei proseguire la discussione. La difficoltà che incontra il governo Monti a far uscire il paese dalla crisi, malgrado una manovra pesantissima, rimanda a questioni di più lungo periodo. Appare chiaro a tutti che non siamo di fronte a un compito facile. Il ventennio berlusconiano ha la responsabilità storica di aver eluso i problemi di fondo trasformando la battaglia politica in uno scontro ideologico di nuovo tipo in cui è nata la contrapposizione fra un’idea liberista abbastanza approssimativa e cialtrona, incardinata nella destra, e il neo-liberismo della sinistra post-comunista. Quest’ultima ha la responsabilità di non aver capito il mutamento di fondo che si stava realizzando nel sistema di comando.

Provo a descriverlo con le parole di Valerio  Castronovo, storico liberale, autore di un  recente saggio pubblicato da Laterza in cui analizza le diverse mutazione dei capitalismi in giro per il mondo. Scrive Castronovo che “le cose sono cambiate dall’inizio del nuovo secolo. La banca ha eroso il piedistallo della fabbrica; i listini di Borsa hanno concentrato su di sé le luci dei riflettori lasciando in ombra gli indici della produzione e della occupazione; il maneggio del denaro è apparso la fonte precipua dell’arricchimento al confronto del lavoro e della creatività; è comunque prevalsa l’idea che nell’economia globale quello che in fondo conta sono la finanza, i servizi e le tecnologie digitali”. La finanziarizzazione dell’economia ha prodotto la prima vera mutazione del capitalismo per come lo abbiamo conosciuto, cioè il suo distacco dall’economia reale, quindi dalla produzione di merci  e servizi.

In questo quadro anche il ruolo dello Stato è stato deformato. Non solo, giustamente, è stata abbandonata l’idea dello stato pianificatore e dello stato imprenditore ma si è rinunciato anche al ruolo dello stato come  soggetto che svolge un ruolo nell’indirizzare il processo sociale. La sinistra, quella italiana soprattutto, in questo tragitto ha perso due suoi concetti fondativi, il primo è l’assillo produttivistico che per decenni l’ha vista porre il tema dell’industrializzazione, della diffusione della fabbrica, della modernizzazione dei servizi alla produzione, la seconda riguarda invece l’idea che lo Stato che pur non soppiantando il mercato non può rinunciare a intervenire sul progetto di società. Sono i cardini di una moderna socialdemocrazia. Da questo defaillance promana tutto il resto, soprattutto la noiosa ricerca di  contenitori politici post-ideologici che sono stati invece costruzioni ideologiche della post-modernità.

Oggi siamo di fronte a un passaggio d’epoca. La sinistra deve porsi il problema non già dell’abbattimento del capitalismo ma del superamento delle sue colonne d’Ercole definite negli anni dell’orgia neo-liberista. Deve tornare a parlare di produzione, di merci, di servizi, di stato. Tutto il dibattito, anche quello sul mercato del lavoro, deve essere declinato in rapporto a queste esigenze che rappresentano la principale critica alla particolare arretratezza del capitalismo italiano. Non sono questioni ideologiche. Tradotte in politica vogliono dire che dobbiamo sapere che cosa fare del Mezzogiorno come produttore di beni e di servizi in grado di utilizzare al meglio il  capitale umano, vuol dire combattere le mafie  ma anche contrastare la vecchia politica clientelare e i partiti personali, vuol dire fare una battaglia di civiltà carica di valori simbolici. Non vedo la sinistra attuale indirizzata verso questa strada. La vedo tuttora impelagata in battaglie sulla leadership, in lamentevoli lagnanze sull’abbandono del Mezzogiorno, in acquiescenza verso notabilati vecchi e nuovi. Se tornasse fra noi Giorgio Amendola urlerebbe a gran voce contro tutto questo.

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