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Giovedì, 25 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

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Tra autonomia e responsabilità dei magistrati: un equilibrio difficile

Ora si spera nel Senato. Chi ha votato contro la legge approvata alla Camera (in realtà si tratta di un emendamento) sulla responsabilità civile dei magistrati, ora rinvia alla prova del passaggio al Senato gli esiti finali sulla legge, restituendo così alta dignità politica ad un ramo del Parlamento

Ora si spera nel Senato. Chi ha votato contro la legge approvata alla Camera (in realtà si tratta di un emendamento) sulla responsabilità civile dei magistrati, ora rinvia alla prova del passaggio al Senato gli esiti finali sulla legge, restituendo così alta dignità politica ad un ramo del Parlamento che si vorrebbe abolire, ovvero, come si dice con un termine infingardo quanto oscuro, “superare”.

La tentazione è forte. Tutte le volte che il potere legislativo mostra segni di autorevolezza, spesso trascesi in autoritarismo, si interviene per cercare di ridimensionare il potere giudiziario. Una sorta di vendetta consumata a freddo e quasi in risposta a Papa Francesco che in udienza pubblica fustigava la classe politica. Quasi a dire: per curare il male aboliamo i medici. Viene da chiedersi, dunque, dopo l’approvazione alla Camera della proposta di legge sulla responsabilità civile dei magistrati: si tratta forse di un nuovo tentativo di modificare il rapporto tra i poteri dello Stato?

Siamo di fronte ad una ulteriore prova della approssimazione con la quale si è affrontata la discussione sulle riforme istituzionali, sulla necessità delle quali invero non ci sono dubbi come ci ricorda Il Presidente Napolitano, dimenticando che il bicameralismo è collocato alla fonte del principio del bilanciamento dei poteri dello Stato e che esso è il risultato della primaria scelta tra Repubblica Presidenziale e Repubblica Parlamentare.

Ad ogni modo la storia è antica e la discussione sulla responsabilità civile di giudici e pubblici ministeri è presente finanche durante il periodo liberare e in quello successivo del periodo fascista. Allora gli ambiti erano molto ristretti e i casi di responsabilità dei magistrati erano limitati a quelli di “dolo, frode, concussione e denegata giustizia” ovvero “negli altri casi previsti dalla legge” (art. 783 cpc del 1865). Erano previsti una serie di sbarramenti processuali di procedibilità ed anche una multa per il ricorrente in caso di rigetto della domanda di risarcimento (art. 792)

Oggi la materia è regolata, dopo il referendum abrogativo, e vigendo la X legislatura, dalla L. 117/1988 recante: “Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati”. Chi si dovesse ritenere danneggiato in conseguenza di una atto emesso da un giudice con dolo o colpa grave o per diniego di giustizia (art. 2) può agire contro lo Stato per chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali o non patrimoniali in seguito ad ingiusta privazione della libertà personale.

Si tralasciano gli aspetti strettamente tecnici ricordando che è esclusa una azione di responsabilità civile in conseguenza della attività interpretativa di norme di diritto o di valutazione del fatto o delle prove, per il semplice motivo che in questi casi il sistema processuale prevede appositi meccanismi di tutela. A livello sovranazionale hanno fatto scuola due sentenze della Corte di Giustizia Europea; la sentenza Kobler resa nel 2003 e la sentenza Traghetti del Mediterraneo resa nel 2006. Entrambe le sentenze stabiliscono che la legge 117/88 non è rispondente ai canoni del diritto comunitario.

Non lo è in primo luogo proprio in riferimento alla esclusione generalizzata di responsabilità riveniente dalla interpretazione di norme di diritto o di valutazione del fatto o delle prove essendo proprio questo il nucleo del contendere. Restringere, peraltro, la responsabilità esclusivamente ai soli casi di colpa grave o dolo, rendendone, dunque più difficile la prova, significherebbe, secondo le richiamate sentenze, incorrere in una manifesta violazione del diritto comunitario.

Contrariamente, dunque, a quanto statuito con la cosiddetta “norma di salvaguardia”, contenuta nella L.117/88, la domanda di risarcimento danni nei confronti dello Stato che si ritiene essere stati causati dalla interpretazione di norme di diritto o di valutazione del fatto o delle prove è dichiarata ammissibile dalla Corte di Giustizia Europea.

Il vero “busillis”, per il legislatore italiano, sta nel fatto che egli deve garantire l’equilibrio tra la garanzia della autonomia e indipendenza della magistratura e la responsabilità che ne deriva dallo svolgimento delle funzioni giurisdizionali. Finora tra i due principi di diritto si è preferito far pendere la bilancia a favore del principio della tutela della autonomia e della indipendenza della magistratura.

Che è il rovescio della medaglia del principio secondo il quale i parlamentari non possono essere giudicati per le opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni di parlamentare. Non so quale tra i due eventuali abusi, produce più danni.

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