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Sabato, 20 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

Ospitiamo in questo Blog opinioni di alcuni cittadini Brindisini

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"Verdi": la storia, e le scelte della politica dell'era Fanuzzi

Scusatemi se torno a parlare di teatro “Verdi” e della Fondazione che sovrintende alla sua gestione, ma credo che l’argomento meriti la massima attenzione anche perché nei prossimi mesi potrebbe diventare l’ennesimo argomento sul quale la nostra città si dividerà. L’occasione mi viene offerta dalla mostra sulla storia del teatro che la Fondazione ha voluto organizzare in occasione della settimana della cultura, testé conclusasi. Una buona iniziativa, che forse è giunta in ritardo e che, nonostante il lodevole impegno degli organizzatori, reca buchi di significativa ampiezza alla effettiva conoscenza della storia del teatro, manca di un catalogo che ne tramandi i contenuti e di una firma che legittimi il rigore scientifico della ricerca.

Scusatemi se torno a parlare di teatro “Verdi” e della Fondazione che sovrintende alla sua gestione, ma credo che l’argomento meriti la massima attenzione anche perché nei prossimi mesi potrebbe diventare l’ennesimo argomento sul quale la nostra città si dividerà. L’occasione mi viene offerta dalla mostra sulla storia del teatro che la Fondazione ha voluto organizzare in occasione della settimana della cultura, testé conclusasi. Una buona iniziativa, che forse è giunta in ritardo e che, nonostante il lodevole impegno degli organizzatori, reca buchi di significativa ampiezza alla effettiva conoscenza della storia del teatro, manca di un catalogo che ne tramandi i contenuti e di una firma che legittimi il rigore scientifico della ricerca.

Ciò, voglio dirlo con chiarezza e a scanso di equivoci, non toglie nulla al valore dell’iniziativa, ma che l’occasione poteva essere meglio sfruttata. Tra i pannelli della mostra erano esposti anche due miei articoli. Il primo della seconda metà degli anni Settanta, quando ancora ero redattore de “La Gazzetta del Mezzogiorno”, il secondo forse della metà degli anni Ottanta, quando dirigevo il “Quotidiano di Lecce, Brindisi e Taranto”, ma da brindisino non disdegnavo qualche incursione sui fatti della mia città. Il primo articolo fu la  puntata di esordio di una inchiesta sul “teatro sospeso”, di nome e di fatto, che a dieci anni e passa dall’inizio dei lavori, era ancora in costruzione e in stato di abbandono per le traversie dell’impresa costruttrice dopo la morte del titolare, il geometra Franco Fanuzzi.

Raccontavo come si era giunti alla scelta di costruire il teatro dove originariamente invece doveva sorgere il nuovo tribunale, e come su quella decisione, che di fatto cambiò l’immagine urbanistica della città, pesarono in maniera determinante gli interessi “pallonari” (Fanuzzi portò la squadra di calcio dalla quarta serie alla serie B) ed anche qualche “favorino” alla politica e al suo sottobosco).

Dispiace che i curatori della mostra non abbiamo pubblicato tutte le puntate dell’inchiesta, soprattutto l’ultima nella quale riportavo gli interventi in consiglio comunale dei principali leader politici della città quando si trattò di approvare la convenzione con la Ciset di Franco Fanuzzi. Dai loro discorsi emerge un clima surreale, in cui brilla un mix di incultura, di superficialità, di retorica, di provincialismo. Nell’epoca in cui la Tv stava già spazzando via il vecchio modello di fare spettacolo, con i cinema che già chiudevano e i teatri che non quadravano più i bilanci e calavano le saracinesche, a Brindisi –per favorire la più illogica  speculazione- si costruiva un megateatro da oltre mille posti a sedere, senza spazi adeguati a cominciare dai parcheggi e, come si direbbe oggi, senza un piano finanziario che ne garantisse il funzionamento.

Tanto più che, come era noto a tutti, il declino del vecchio “Verdi” era strettamente legato alle carenze della sua gestione. Un teatro più piccolo – era la conclusione dell’inchiesta- magari collocato in una zona più decentrata e con spazi più adeguati, forse avrebbe reso meno problematico il suo futuro. Che in città all’epoca si discuteva anche di queste cose, forse era il caso di renderlo evidente nel momento in cui si fa la storia. Peraltro storia dei giorni nostri.

E passiamo al secondo articolo che, anche se scritto una decina di anni dopo e su un altro giornale, era perfettamente coerente con lo spirito dell’inchiesta che scrissi per la “Gazzetta”. Il titolo, un po’ sparato e provocatorio (riconosco), invitava ad abbattere l’inutile ferraglia del “teatro sospeso”, perché ancora sospeso era in tutti i sensi. Erano già trascorsi una ventina d’anni da quando era iniziata la costruzione, le ingarbugliate vicende giudiziarie tra Comune e soggetti vari (costruttore, imprese, curatele fallimentari etc. etc.) non accennavano a concludersi, la città, dopo il disastro del P2T del Petrolchimico cominciava a sentire i primi morsi di una crisi economica che sarebbe poi diventata irreversibile, e l’ipotesi che le casse comunali potessero garantire la gestione del teatro, era una pia illusione.

Se la memoria non m’inganna, una soluzione che ci venne suggerita da un grande uomo di spettacolo durante un incontro privato, fu quella di tentare di “regalare” quel contenitore a Mediaset che in quel periodo non disponeva ancora, fuori da Milano 2, di un grande centro di produzione. Sarebbe stata un’occasione d’oro per la città, per l’occupazione, per la creazione di nuove professionalità. Provammo a girare l’ipotesi ai rappresentanti istituzionali all’epoca più rappresentativi, ma ormai il periodo dei politici brindisini che potevano “battere le carte” anche fuori dai confini della nostra provincia era finito da un pezzo e quel suggerimento, ne siamo sicuri, non arrivò mai a destinazione.

L’avere esposto senza il giusto contorno l’articolo in cui proponevo che il teatro fosse abbattuto, potrebbe portare qualcuno, a digiuno della storia della città (e con qualche malevolo retropensiero), a pensare che il successo avuto, vent’anni dopo, dal “Verdi” sia la  risposta più severa che la storia abbia mai potuto darmi. A parte che come cittadino di questa città ne sarei particolarmente felice, invece proprio i problemi emersi in questi mesi dentro la Fondazione, e l’allarme sul futuro del teatro lanciato persino dallo stesso ex sindaco Mennitti, stanno a dimostrare che non eravamo (e come me la pensavano anche tanti altri brindisini) pessimisti di mestiere.

Per fare in modo che la primavera del “Verdi” continui anche negli anni a venire, occorre l’impegno (e che impegno!) di tutti, istituzioni, aziende pubbliche e private, cittadini. E con i tempi amari che sovrastano il Paese – e Brindisi non è in Papuasia- c’è poco da stare allegri.

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