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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

“Sandro pentito? Non ho rapporti con il mio consanguineo da almeno 12 anni”

Francesco Campana parla del fratello prima della condanna all'ergastolo: "Io non ho mai ucciso nessuno". In carcere a Voghera si è iscritto all'Università, corso di laurea in Filosofia. E si è sposato la scorsa estate. Diventa definitiva l'assoluzione di Massimo Pasimeni per l'omicidio di Antonio Molfetta: "Non ha commesso il fatto". Per il delitto Lippolis, Cincinnato imputato in appello

BRINDISI – “Signori giudici della Corte, se mi è possibile vorrei fare alcune dichiarazioni: prima di tutto io non ho mai ucciso nessuno, in secondo luogo non ho rapporti con il mio consaguineo da 12 anni ormai”.

Francesco Campana Mai, neppure una volta, l’imputato Francesco Campana (nella foto accanto), 42 anni, ha pronunciato ieri, in udienza, davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Brindisi, la parola fratello riferendosi al più piccolo della famiglia, quel Sandro, 40 anni, diventato collaboratore di giustizia a tutti gli effetti da quando è terminato il periodo dei 180 giorni previsti per le dichiarazioni.

E’ suo fratello, è pentito dalla fine del mese di luglio 2015 e come tale è stato condannato di recente, in abbreviato, a due anni di reclusione per appartenenza alla Sacra Corona Unita ed è uno dei suoi principali accusatori perché è anche sulla base dei verbali resi da Sandro Campana che l’altro, imputato, da ieri ha sulle spalle una pena (non definitiva) all’ergastolo in relazione agli omicidi confluiti nel fascicolo sotto la voce “Zero” nome dato all’inchiesta che il 14 dicembre 2014  sfociò nel blitz eseguito dagli agenti della Mobile di Brindisi. Ma quel legame, adesso, altro non è se non solo di sangue. Consaguineo è il termine usato da Francesco Campana per riferirsi a Sandro, detenuto in una località protetta.

“Fine pena mai”, ossia condanna a trascorrere il resto dalla vita in cella, stando alla sentenza di primo grado. In carcere, a Voghera, Francesco Campana si è iscritto all’università per conseguire la laurea di dottore in Filosofia: sta sostenendo gli esami del piano di studi, l’ultimo dei quali “passato” poco prima dell’udienza. E in carcere la scorsa estate si è sposato con rito civile, unendosi in matrimonio alla donna che gli è sempre stata accanto, anche nel periodo della latitanza, sino a quando gli agenti non riuscirono a stanarlo in un piccolo appartamento alle porte di Oria: c’era lei che, inconsapevolmente, fece da “satellitare” portando i poliziotti della Mobile di Brindisi nella tana di Campana che si stava sottraendo all’esecuzione di una condanna definitiva per associazione mafiosa. Lei è sempre stata presente in udienza.

Cosimo Lodeserto-2Il difensore di Francesco Campana, Cosimo Lodeserto del foro di Brindisi (in foto), intende appellare la sentenza una volta lette le motivazioni che saranno depositate non prima di 90 giorni, riprendendo gli elementi portati al vaglio dei giudici, togati e popolari, nel corso della sua arringa andata avanti per sei ore.

Oltre sei ore di camera di consiglio per la Corte, prima di arrivare alla sentenza sull’omicidio di Antonio D’Amico, fratello di Massimo, noto come Uomo tigre ai tempi della militanza nella Scu, per il quale è stata affermata la responsabilità di Francesco Campana e di Carlo Gagliardi, quest’ultimo condannato all’ergastolo anche per l’omicidio di Massimo Delle Grottaglie, oggetto di un altro processo (la sentenza d’appello è stata pronunciata nelle scorse settimane a Taranto).

Secondo l’accusa, Francesco Campana meditò vendetta, una punizione trasversale, per l’Uomo Tigre, e puntò al fratello Antonio, chiedendo aiuto a Carlo Gagliardi: i due lo raggiunsero sulla diga di Punta Riso il 9 settembre del 2001, dove stava pescando. Gagliardi guidava, Francesco Campana sparò, stando alla ricostruzione di Sandro Campana prima consegnata nei verbali, poi riferita in udienza in videoconferenza da una località protetta. Pallettoni calibro 12 raggiunsero D’Amico al torace e alla testa.

Ronzino De NittoCampana, invece, è stato assolto dall’accusa di aver tentato di uccidere Vincenzo Greco, mesagnese, il primo luglio 2010: per questo capo di imputazione, i pubblici ministeri Alberto Santacatterina della Dda di Lecce e Valeria Farina Valaori, aggiunto della Procura di Brindisi, lo avevano indicato come esecutore materiale assieme a Ronzino De Nitto (in foto), assolto anche lui, difeso dall'avvocato Pasquale Annicchiarico, ma sulla base della ricostruzione fatta da Sandro Campana nelle vesti di pentito, sono arrivati alla conclusione che i due imputati sarebbero stati mandanti. Ad agire, invece, stando al collaboratore di giustizia, sarebbero stati due uomini di San Donaci: Floriano e Benito, probabilmente mai arrestati e forse neppure indagati per fatti legati alla Sacra Corona Unita.

Massimo PasimeniE’ ormai definitiva l’assoluzione di Massimo Pasimeni (foto), alias Piccolo dente, dall’accusa di essere stato il mandante dell’omicidio di Antonio Molfetta: “non ha commesso il fatto” per il gup del Tribunale di Lecce, Antonia Martalò, davanti alla quale è stato incardinato il processo in abbreviato in cui l’imputato è stato difeso dagli avvocati Marcello Falcone e Rosanna Saracino. La pronuncia non è stata appellata.

Molfetta, detto Toni Cammello, venne ucciso tra la notte del 29 maggio 1998 giorno della sua sparizione e l’8ottobre successivo, giorno in cui venne ritrovato il cadavere nelle campagne di Ostuni.  Era stato affiliato alla Scu da Massimo Delle Grottaglie (clan dei mesagnesi) ed era considerato un confidente della polizia, dunque da condannare a morte. Come mandante è stato condannato Ercole Penna, pentitosi nel frattempo, e imputato nel processo ordinario in cui figura Francesco Campana. Stando all’accusa, come esecutore materiale venne scelto Delle Grottaglie che non agì personalmente ma facendo affidamento su Francesco Argentieri e Giovanni Colucci, i quali usarono un oggetto contundente per sfondargli la faccia e poi spararono un colpo di pistola alla testa.

Marcello Falcone resta presidente della Camera penale brindisinaOmicidio di stampo mafioso, per mano della Scu, anche quello di Nicolai Lippolis, avvenuto un anno dopo, per il quale pende l’abbreviato, in appello a Lecce: il movente indicato dalla Dda sarebbe da cercare nella gestione dell’attività di spaccio di droga perché diverse volte avrebbe agito senza il consenso dell’associazione. A scatenare la rabbia dei sodali fu il furto dell’Audi 80 di Marcello Cincinnato, addebitato a Lippolis. Esecutori materiali furono Antonio Epicoco ed Emanuele Guarini, su mandato dello stesso Cincinnato, di Eugenio Carbone e Giuseppe Leo. Lippolis venne raggiunto a Bar, in Montenegro e finito a colpi di piccone e d’arma da fuoco per poi essere seppellito in una fossa appositamente scavata. Il cadavere venne ritrovato il 7 ottobre 2009. Per Cincinnato la difesa, affidata agli avvocati Falcone (in foto) e Saracino, ha chiesto l’assoluzione.

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