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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

"No al Carbone diffamati": condannati tre delegati dell’Edipower

Multa di mille euro a testa, pena sospesa. Il processo partito dalla denuncia degli ambientalisti.La sentenza del Tribunale di Brindisi. Il pm aveva chiesto l'assoluzione. Il comitato, parte civile, rinuncia alla quantificazione del danno: "Questione di principio"

BRINDISI – Tre (ex) rappresentanti sindacali della centrale Edipower di Brindisi, ormai chiusa, sono stati condannati per aver diffamato il comitato No al Carbone, scrivendo un comunicato stampa, all’indomani della proiezione di un docu-film su tematiche ambientali e industriali, in una scuola media di Mesagne. Gli imputati Vincenzo Dimonte di Mesagne, Angelo Liuzzi originario di Fasano ma residente a Martina Franca, e Francesco Semeraro di Ostuni, sono stati riconosciuti colpevoli del reato di diffamazione ai danni del movimento ambientalista, il cui legale rappresentante è il brindisino Vincenzo Giorgino, rappresentanto in giudizio dal penalista Albino Quarta.

Sono stati condannati al pagamento di una multa pari a mille euro a testa. Il Tribunale, in composizione monocratica, ha riconosciuto la “sospensione della pena e la non menzione” per ciascuno degli imputati, giungendo a conclusioni differenti rispetto a quanto sostenuto dal pubblico ministero, onorario, a conclusione del dibattimento perché il rappresentante della pubblica accusa aveva chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto.

Lo striscione dei No al carboneLa sentenza è stata pronunciata nel pomeriggio di oggi, 4 febbraio, e porta la firma del giudice Simone Orazio. Per le motivazioni bisognerà aspettare i novanta giorni, indicati nel dispositivo. Quel che si conosce già da oggi è che se da un lato, il Tribunale ha condannato i tre imputati al “risarcimento del danno sofferto dalla parte civile”, dall’altro lo stesso Comitato No al Carbone ha fatto sapere che non intende procedere oltre.

“C’è rinuncia all’azione civile che avrebbe permesso la quantificazione della lesione della reputazione affermata  in sede penale”, ha detto l’avvocato Albino Quarta che ha rappresentato in giudizio il movimento, dopo la lettura del dispositivo.

“La denuncia è stata presentata solo per una questione di principio”, ha spiegato. “Del resto già in sede di costituzione di parte civile il No al Carbone chiese un danno simbolico pari a diecimila euro, precisando che la somma sarebbe stata devoluta in beneficienza”.

Alla base del processo c’è la denuncia sporta dal legale rappresentante del comitato No al Carbone dopo aver letto la nota stampa, pubblicata su un sito internet, il 25 febbraio 2014. Il testo era firmato dai rappresentanti sindacali unitari della centrale Edipower che, come è noto, nel frattempo è stata depennata dagli insediamenti industriali, in un momento che potrebbe diventare critico anche per altre situazioni di crisi e per le incertezze sul futuro del Petrolchimico, e i lavoratori sono stati messi in parte in cassa integrazione e in parte sono stati trasferiti.

I tre volevano replicare alla proiezione del film-documentario proiettato in una scuola media di Mesagne e mostrato agli studenti delle terze classi, ritenendo che non fosse quella una rappresentazione veritiera delle tematiche industriali e ambientali. La necessità di scrivere derivava, stando a quanto è emerso dall’istruttoria dibattimentale, dai turbamenti mostrati da alcuni alunni dopo la visione del filmato a cui aveva fatto seguito un dibattito al quale erano stati invitati alcuni componenti del No al Carbone. Alcuni ragazzi confessarono le loro paure  ai genitori i quali, poi, si misero in contatto con altri genitori, tra i quali ci sarebbero stati dipendenti della centrale Edipower di Brindisi.

I rappresentanti sindacali unitari scrissero al preside dell’istituto per chiedere spiegazioni sostenendo che c’erano ragazzi in età delicata spaventati da quanto avevano appreso dal filmato. E successivamente si rivolsero alla stampa, partendo da quella on line. Nella nota scrissero che il No al Carbone era formato da “attivisti che divulgano disinformazione” e che ancora “sono state utilizzate forme di violenza verbale nei confronti degli alunni interlocutori” e che si trattava di “movimenti e associazioni di tipo estremo e settario”. Per il Tribunale c’è stata diffamazione, c’è stata denigrazione dell’attività del movimento e dello stesso Comitato No al Cabone, per il quale la questione si chiude oggi. Non ci saranno appendici del processo in sede civile. Per principio.

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