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Cronaca

"Se non paghi chiamo un mio amico di Mesagne". L'incubo dell'imprenditore nella morsa degli usurai

Uno degli indagati minacciava di rivolgersi a un suo amico di Mesagne, se non avesse estinto il debito nei tempi stabiliti. Sono stati due anni segnati da violenze e intimidazioni quelli vissuti dal commerciante brindisino finito nella morsa dell'usura

BRINDISI – Uno degli indagati minacciava di rivolgersi a un suo amico di Mesagne, se non avesse estinto il debito nei tempi stabiliti. Sono stati due anni segnati da violenze e intimidazioni quelli vissuti dal commerciante brindisino finito nella morsa dell’usura che con la sua denuncia ha fatto arrestare quattro persone, tutte di Brindisi, raggiunte stamani da un’ordinanza di custodia cautelare in regime di domiciliari firmata dal Gip del tribunale di Lecce, Giovanni Gallo, su richiesta del pm della Dda di Lecce, Alberto Santacatterina.

Si tratta di: Carlo Zuccaro, 53 anni, dipendente della società partecipata Multiservizi; Vincenzo Madaghiele, 74 anni, vigile sanitario del Comune di Brindisi in pensione; Tommaso De Milo, 73 anni, titolare di un’officina specializzata nella riparazione delle marmitte; Giovanni Mauramati, 55 anni, responsabile di un’impresa attiva nel ramo dell’elettronica. L’operazione odierna, denominata “Sanguisuga”, costituisce l’atto finale di un’attività investigativa avviata sotto la regia del pm della procura di Brindisi Marco D’Agostino. Gli atti sono poi passati alla Dda di Lecce, diretta dal procuratore capo Cataldo Motta, poiché nei confronti degli indagati si configurava l’aggravante del metodo mafioso, rispetto al reato contestato di usura collegata ad attività di estorsione. 

Ma il giudice non ha ritenuto che sussistessero i presupposti per la contestazione di tale aggravante, disponendo quindi i domiciliari per tutti e quattro gli indagati: una decisione, come affermato da Cataldo Motta nel corso di una conferenza stampa svoltasi stamani in questura, che verrà impugnata dalla Dda presso il tribunale del riesame ed eventualmente anche in Cassazione. I poliziotti della Squadra mobile guidati dal vicequestore Alberto Somma hanno raccolto lo scorso gennaio la denuncia dell’imprenditore.  L’uomo era  sprofondato in una spirale di minacce e aggressioni a partire dal novembre del 2011, quando per la prima volta si rivolse a Zuccaro per chiedergli un prestito.

La sua attività, del resto, attanagliata dalla crisi, aveva bisogno di liquidità per non imboccare la via del fallimento. Il primo prestito richiesto a Zuccaro ammonta a 10 mila euro; l’imprenditore gliene restituisce 15 mila. Da lì in poi, si scatena l’effetto domino. Il commerciante si rivolge altre tre volte a Zuccaro: la prima, gli chiede 15mila euro, ricevendo una richiesta di restituzione di 22mila e 500 euro; la seconda, gli chiede 20mila euro, con richiesta di restituzione di 36mila euro; la terza, è costretto a chiedergli 50mila euro, con richiesta di restituzione pari a 75mila euro. L’imprenditore, a questo punto, non riuscendo a fronteggiare tassi di interesse che in alcuni casi potevano giungere fino al 300%, si rivolge ad altri due usurai, Tommaso De Milo e Vincenzo Madaghiele, che sulla base di quanto appurato dagli inquirenti avrebbero agito in concorso.

La vittima chiede loro 62mila e 500 euro. La somma da restituire è pari a 79mila euro. Infine, entra in gioco anche Mauramati, al quale la vittima avrebbe  chiesto una cifra pari a 15 mila euro, con richiesta di restituzione pari a 18mila euro.  Subito dopo la formalizzazione della denuncia, vengono avviati i riscontri investigativi. A sostegno di quanto riferito dal denunciante, sono stati sequestrati decine di assegni e matrici trovati in possesso dei presunti usurai. Gli agenti della Mobile hanno recuperato anche i coltelli di cui Zuccaro si sarebbe servito per intimorire l’imprenditore, intimandogli di assumere il figlio presso la sua attività commerciale con una regolare retribuzione. Solo nel momento in cui ha deciso di varcare la soglia della questura, il commerciante è riuscito a liberarsi dalla morsa.

“Vedo maggiore disponibilità – dichiara Motta – a denunciare questi fatti: fatti che sono particolarmente gravi e odiosi. L’aumento di denunce ci consente di tracciare un quadro al quale non è estranea la criminalità organizzata”.  Motta ribadisce inoltre l’importanza delle associazioni antiracket, “attraverso le quali si stempera il rischio individuale”, ed esorta le vittime dell’usura a seguire l’esempio del commerciante brindisino. “Nella nostra Costituzione – afferma il procuratore capo – non c’è il diritto ad aver paura”. (Fotoservizio Gianni Di Campi)

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