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Cronaca

“Scu, Pasimeni voleva uccidere Campana quando lasciò Mesagne per Brindisi”

Il pentito Ercole Penna svela la volontà di Piccolo dente di eliminare il rivale del gruppo di Rogoli-Buccarella colpevole di tradimento: "Io invece preferivo fare buon viso a cattivo gioco". E racconta anche di pestaggi nel carcere di Lecce e di "pizzini" di Antonio Vitale

BRINDISI – “Massimo Pasimeni voleva ammazzare Francesco Campana, perché essendo lui mesagnese doveva stare con noi e invece era passato con i forestieri, con i Buccarella e la vecchia guardia di  Pino Rogoli”.

Ercole PennaIl pentito della Sacra Corona Unita, Ercole Penna, ha svelato anche le intenzioni dell’altro uomo ritenuto al vertice del gruppo dei mesagnesi, noto negli ambienti della mala con l’alias di Piccolo Dente, il quale non aveva mai digerito la decisione di Francesco Campana, nato come lui a Mesagne, di affiliarsi agli altri che controllavano i territori di Brindisi e Tuturano. Quello che doveva restare segreto è stato consegnato prima al pm dell'Antimafia di Lecce, poi alla Corte d'Assise di Brindisi dinanzi al quale è stato sentito in veste di testimone, considerato credibile nel processo scaturito dall'inchiesta "Zero" sugli omicidi ordinati ed eseguiti dagli uomini della mala. Le sue dichiarazioni costituiscono le fondamenta delle motivazioni della sentenza depositata nel termine dei 90 giorni.

Una volontà come quella attribuita a Pasimeni dal collaboratore di giustizia, avrebbe scatenato una guerra a tutti gli effetti, con il ritorno a scie di sangue del passato che invece Penna voleva evitare. Era convinto che una pace, sia pure apparente, avrebbe giovato a tutti permettendo a ciascuno di continuare a gestire le attività del sodalizio senza problemi.

Secondo il pentito infatti, era necessario tenere alla larga le forze dell’ordine e per questo motivo aveva scelto una strategia diversa: “Si faceva buon viso a cattivo gioco”, ha detto rispondendo al pubblico ministero Alberto Santacatterina che gli chiedeva quali fossero i rapporti con Francesco Campana, ritenuto a capo dell’altro gruppo Scu. “Essendo lui mesagnese doveva stare con noi”, ha ripetuto facendo riferimento a una sorta di “tradimento”.

Massimo PasimeniIl risentimento di Pasimeni (nella foto accanto) risalirebbe al periodo successivo  alla “scissione del ’98, quando Campana avrebbe promesso di affiliarsi al gruppo dei mesagnesi, mentre di fatto portava avanti gli interessi del gruppo facente capo a Rogoli”, stando a quanto hanno scritto i giudici nella Corte nelle motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo per Campana. E’ stato riconosciuto colpevole dell’omicidio di Toni D’Amico, fratello del pentito Massimo, ex omo Tigre della Scu.

Penna ha anche riferito di una serie di pestaggi nel carcere di Lecce per affermare la supremazia dei mesagnesi: “Venne picchiato anche Antonio Campana, fratello di Francesco, credo nel 2004-2005, quando lui era già al 41 bis (il carcere duro, ndr)”, si legge. “C’era Antonio Vitale (alias il marocchino, altro mesagnese ritenuto al vertice del gruppo, ndr) che mandava lettere e cartoline a tutti e pressava per cercare di dire: ‘insomma ma ‘sti Campana cosa hanno deciso? Ma questi fanno e sfanno quello che vogliono? Cioè caricava i suoi affiliati in questo modo”.

“A me ogni giorno mi arrivavano sfoglie da tutte le sezioni dicendo che cosa dobbiamo fare con Campana? Perché c’è anche Antonio (Vitale, ndr) che sta pressando. Io cercavo di prendere tempo, dicevo non mi sembra corretto che Francesco è stato fino all’altro giorno in sezione ed è stato tutto fermo e mo’ che fa, aspetta che gli danno il 41 bis per fare l’azione?”. Il collaboratore non era d’accordo con Vitale ma per non mettersi di traverso, alla fine ha alzato le mani: “Dissi di fare come meglio ritenevano. L’azione non era di per sé importante, ma era importante il segnale che dava in un carcere dove ci sono i leccesi, i tarantini e i brindisini”. Il messaggio era il seguente: “Guardate che siamo noi, non c’è un altro mesagnese”. Un segnale di supremazia.

In questa logica, secondo il pentito, ci sarebbero state diverse aggressioni: “Antonio Campana, il cognato, altri quattro o cinque ragazzi in quel periodo detenuti dopo il blitz che interessò i Campana”. Penna, una volta tornato in cella, ha scelto di passare dalla parte dello Stato e ha accusato sia i rivali che  i suoi stessi alleati.

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