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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Arso vivo dall'amante, moglie parte civile

BRINDISI - Ci sono la moglie dell’imprenditore di Brindisi arso vivo dall’amante, i cinque figli legittimi, nati all’interno dei confini “ufficiali” del matrimonio, i fratelli dell’uomo e i nipoti tra le parti civili, venti in tutto, nel processo con rito abbreviato a carico di Dora Buongiorno.

BRINDISI - Ci sono la moglie dell’imprenditore di Brindisi arso vivo dall’amante, i cinque figli legittimi, nati all’interno dei confini “ufficiali” del matrimonio, i fratelli dell’uomo e i nipoti tra le parti civili, venti in tutto, nel processo con rito abbreviato a carico di Dora Buongiorno, bracciante agricola di 43 anni, di Carovigno, rea confessa del delitto. Il giudizio è iniziato stamani dinanzi al gup Valerio Fracassi.

E’ un rito abbreviato “secco” non condizionato ad alcun tipo di altro accertamento e riguarda fatti accaduti il tra il 26 al 28 dicembre del 2012 nelle campagne di Mesagne: Cosimo Damiano De Fazio, imprenditore di Brindisi, morì arso vivo dalle fiamme che la donna aveva appiccato all’altezza dei genitali, secondo quanto appurato dalla perizia medico legale eseguita da Antonio Carusi. Le parti civili sono assistite dagli avvocati Gianvito Lillo, Marcello Tamburini e Loredana Massari.

L'imputata, una bracciante di Carovigno che fu arrestata il 23 gennaio del 2013 e si trova ora ai domiciliari, non era in aula stamani. Confessò tutto un mese dopo l'esecuzione del fermo al pm Luca Buccheri e ai poliziotti della Squadra mobile di Brindisi e del commissariato di Mesagne, al fianco dell'avvocato Roberto Cavalera.

Risponde di omicidio volontario con l’aggravante della premeditazione, in caso di condanna potrà beneficiare dello sconto di un terzo della pena (proprio in virtù del rito alternativo). Secondo l'accusa, Dora Buongiorno avrebbe "somministrato al suo compagno un farmaco soporifero (in particolare il Minias) e di averlo poi condotto in campagna facendogli invece intendere di volerlo invece accompagnare in contrada Palmarini, a Brindisi, dove risiedeva con la sua famiglia".

“Con la scusa di un rapporto sessuale – si legge nel capo d’imputazione – lo avrebbe indotto a uscire dall’auto per poi cospargerlo di benzina, contenuta in una tanica, e gli avrebbe dato fuoco allontanandosi mentre veniva investito dalle fiamme”. Dalla relazione tra la donna e la vittima era nato un figlio che il giorno dell’omicidio, il 26 gennaio 2012, maturato secondo la difesa della donna in un contesto di gravi violenze e soprusi, compiva 14 anni.

Le ricostruzioni, in precedenza, erano state possibili grazie al racconto della figlia della donna, la cui testimonianza era stata determinante per tratteggiare lo sfondo di molestie e di violenza in cui il delitto sarebbe maturato. La ragazza, 18 anni, aveva fornito indicazioni importanti sul proprio contesto famigliare, spiegando che la madre veniva maltrattata e malmenata.

Nel settembre del 2011, secondo quanto riferì la giovane, la donna sarebbe stata perfino legata a un albero, bastonata e poi cosparsa di benzina da De Fazio che non le avrebbe dato poi fuoco solo perché impietosito dalle sue richieste. Si tratta di racconti che i famigliari della vittima non hanno mai ritenuto rispondenti al vero, facendo sapere attraverso i propri legali che De Fazio non era mai stato un “padre-padrone” così come invece veniva descritto.

Si torna in aula il 21 novembre per la requisitoria del pm e per le arringhe delle parti civili: non sarà forse il processo, per altro celebrato “allo stato degli atti” a stabilire la verità assoluta sul contesto in cui è maturata l’atroce azione punitiva, diventata una sentenza di morte. Ma sarà in quella sede che la dialettica tra accusa e difesa diverrà una sentenza e proprio dal verdetto del giudice e poi dalle motivazioni si comprenderà, prima della fine dell’anno, se De Fazio è solo una vittimadella inspiegabile follia di una donna o se, all’origine del gesto senz’altro crudele della bracciante ci siano davvero anni e anni di umiliazioni.

 

 

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