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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Dal traffico delle celle agli arresti: le indagini della Squadra mobile

I dettagli dell'operazione sull'assalto al porta valori Cosmopol sono stati resi noti in una conferenze stampa

BRINDISI – Per puro caso non riuscirono a portare a termine il colpo ma seminarono il terrore sulla strada statale 613 per oltre mezz’ora i rapinatori armati di kalashnikov che alle 7 del 18 gennaio del 2018 assaltarono un portavalori dell’istituto di vigilanza Cosmopol sulla superstrada Lecce-Brindisi. Un gruppo di questa banda, si presume composta da almeno 12 persone, è stato individuato. Si tratta di coloro che si sono occupati dell’aspetto logistico del colpo. Si tratta di: Raffaele e Pietro L’Abbate, di 50 e 29 anni, entrambi di Monopoli; Ciro Morelli, 63 anni di Foggia; Luigi Antonio Ricci, 64 anni di Lucera; Nunzio Arnese, 60 anni di Cerignola, e la moglie Addolorata Piazzolla, 53 anni di Cerignola; Paolo Padalino, 52 anni, di Foggia. Tutti in carcere salvo Ricci, per il quale è stato disposto l'obbligo di dimora.

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Manca all’appello il gruppo di fuoco, le indagini non sono concluse

“Questo può essere considerato un primo step investigativo importante perché abbiamo dato una prima risposta adeguata ad un’azione che ha rappresentato un forte pericolo per l’incolumità pubblica – ha spiegato il procuratore capo della Repubblica di Brindisi Antonio De Donno, durante la conferenza stampa che si è tenuta nella mattinata di oggi – i testimoni erano scioccati, hanno subito una violenza inaudita. È stata svolta un’attività di indagine molto complessa resa possibile anche grazie alla collaborazione con il Servizio centrale operativo. Ma non ci fermeremo qui, riteniamo di dover andare fino in fondo anche perché questo problema degli assalti ai portavalori non è un problema isolato che riguarda Brindisi”.

Gli arresti della banda  

Alla conferenza erano presenti anche i pm Alfredo Manca e Paola Palumbo, il capo della Squadra mobile della Questura di Brindisi Rita Sverdigliozzi e il direttore dello Sco Marco Martino. Il colpo, pianificato alla perfezione, fallì. La cassaforte, contenente 500mila euro, non fu prelevata. Il gruppo, quindi, fuggì a mani vuote.

“Il meccanismo era quello di far affiancare il mezzo blindato da un sollevatore, un cric industriale, che doveva sollevare parzialmente il mezzo blindato per favorire l’operazione di taglio all’altezza della cassaforte. L’operazione non riuscì perché il furgone era stato parcheggiato troppo a ridosso del guardrail, il gruppo di fuoco fu costretto a sospendere l’operazione e darsi alla fuga con meccanismi che impedirono in quel momento alle forze di polizia di mettersi sulle loro tracce”.

Le indagini

Gli elementi a disposizione degli agenti della Squadra mobile erano davvero pochi: chiodi a tre punte sparsi sulla carreggiata, bossoli, eventuali impronte e testimonianze degli automobilisti. Ma i malviventi avevano agito con il volto camuffato. Non c’erano telecamere, erano fuggiti da una strada secondaria all’altezza delle campagne tra San Pietro Vernotico e Tuturano. Il capo della Mobile ha spiegato nel dettaglio come i suoi uomini, coordinati dalla Procura, sono riusciti a raggiungere il risultato odierno che ha portato all’esecuzione di nove ordinanze.

“Siamo partiti dal traffico di cella e in questo caso è stato prezioso l’apporto del Servizio centrale operativo. Abbiamo raccolto una mole enorme di dati e abbiamo iniziato ad analizzarli. Da questa mole di dati abbiamo estrapolato un numero di schede telefoniche, di queste ben 5 hanno solleticato la nostra attenzione perché presentavano delle particolarità: erano schede cosiddette citofoniche. Erano state utilizzate tra i vari membri sia al momento della rapina, che poco prima e poco dopo.  Erano schede che erano state attivate presso lo stesso dealer, intestate a soggetti non esistenti in banca dati in uso alle forze di polizia”.

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“Abbiamo quindi cominciato a lavorare su tutti i dati che derivavano da queste schede e abbiamo scoperto che le stesse al momento dell’assalto al portavalori, avevano un traffico non soltanto tra di esse ma anche verso una sesta utenza che però non era presente sul luogo dell’assalto”.

Era agganciata a una cella verso il cimitero di Cellino San Marco.  “Abbiamo poi ricostruito successivamente che era intestata a uno degli arrestati che aveva il compito di trasportare, attraverso il suo camion modificato artigianalmente, al cui interno era stata creata una botola, il gruppo di fuoco”.

“Abbiamo visto che c’era il contatto con questa sesta utenza nella parte finale dell’assalto, quindi verosimilmente si son detti “stiamo arrivando scappiamo”

“Successivamente abbiamo trovato il furgone utilizzato per spostasi dal luogo dell’assalto al luogo dove li aspettava il trasportatore. Grazie a qualche piccolo errore commesso dall’organizzazione siamo riusciti a identificare gli utilizzatori, da lì siamo riusciti a individuare i sodali presenti all’organizzazione o comunque persone vicine a questo gruppo”.

“Una conferma ai dati che la Squadra mobile e lo Sco era  già riuscita a ottenere è arrivata da un’intercettazione telefonica di uno dei sospettati che ha confermato la sua presenza sul luogo. Nota di colore: questo soggetto si spacciava per appartenente alla polizia di Stato, diceva di essere un vice questore, e parlando con una sua amica ha fornito dei dati su vari interventi che lo vedevano protagonista. In un’occasione ha parlato proprio di questa rapina, fornendo particolari di cui erano a conoscenza solo gli investigatori. Fino a quel momento avevamo raccolto una serie di elementi di prova, questa intercettazione ci ha dato conferma di quello che già avevamo scoperto e ha certificato la presenza di questo soggetto sul luogo della rapina. Era insieme al trasportatore ed entrambi avevano il compito di portare indietro il gruppo di fuoco”.

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