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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca Ostuni

Attentati a Ostuni, teso confronto in aula tra zio e nipote

BRINDISI – Le posizioni sono rimaste contrapposte. Zio contro nipote nel processo “New Deal” che vede sul banco degli imputati gli ostunesi Denis Loparco, 38 anni, Alfredo Capone, 52 anni, Giovanni Basile, 32 anni, e Pierluigi Cisaria, 42 anni, tutti di Ostuni, tutti e quattro detenuti, per avere minacciato, taglieggiato, perseguitato, il sindaco di Ostuni, amministratori, consiglieri comunali e imprenditori. L’uno contro l’altro: Grazio Martucci, l’imprenditore preso di mira dagli attentatori, e il nipote Pierpaolo Mele, che ricevette la richiesta di denaro da Denis Loparco e la girò allo zio.

BRINDISI – Le posizioni sono rimaste contrapposte. Zio contro nipote nel processo “New Deal” che vede sul banco degli imputati gli ostunesi Denis Loparco, 38 anni, Alfredo Capone, 52 anni, Giovanni Basile, 32 anni, e Pierluigi Cisaria, 42 anni, tutti di Ostuni, tutti e quattro detenuti, per avere minacciato, taglieggiato, perseguitato, il sindaco di Ostuni, amministratori, consiglieri comunali e imprenditori. L’uno contro l’altro: Grazio Martucci, l’imprenditore preso di mira dagli attentatori, e il nipote Pierpaolo Mele, che ricevette la richiesta di denaro da Denis Loparco e la girò allo zio.

Entrambi lo misero per iscritto dinanzi ai poliziotti del commissariato di Ostuni. Ma oggi in udienza Mele ha cambiato versione. “Loparco non mi chiese denaro, ma voleva lavorare”. Il presidente del tribunale collegiale Gabriele Perna gli ha sottolineato la gravità di ciò che stava dicendo, accusando i poliziotti di avere verbalizzato cose false. “Ero nel panico – ha detto  Mele –  perché non avevo mai avuto a che fare con la polizia, per cui non mi sono reso conto di quello che dicevo, di quello che facevo”. Mele è rimasto, imperterrito e  fermo sulla sua versione.

Così come è rimasto fermo sulla sua versione dinanzi allo zio, il quale  chiamato in aula per il confronto, reso ormai necessario, ha invece  riconfermato quanto denunciò agli agenti di polizia. L’uno seduto di fronte all’altro. “Mio nipote mi chiamò – ha detto Martucci  - e mi disse che Loparco gli aveva dato incarico di riferirmi che voleva con urgenza ‘una cosa di soldi’. E io risposi che non se ne parlava proprio”. E Mele: “Non è vero, dissi a mio zio che Loparco aveva bisogno di lavorare”.

Ovviamente ora sarà il collegio a vagliare le due deposizioni e a stabilire di procedere contro chi ha detto il falso. L’udienza è proseguita con l’interrogatorio di Ivo Libardo, 59 anni, nativo di Oria, residente a Ostuni, autista del sindaco Domenico Tanzarella. Una deposizione importante perché delinea ulteriormente il quadro accusatorio nei confronti dei quattro imputati arrestati l’1 aprile del 2009, accusati di associazione mafiosa finalizzata a compiere attentati, estorsioni, a minacciare il sindaco di Ostuni Domenico Tanzarella, vari amministratori, l’avvocato Luca Marzio, consigliere comunale di opposizione, i parenti imprenditori del legale, vari imprenditori di Ostuni e dei comuni limitrofi. Il Comune di Ostuni si è costituito parte civile. E così anche amministratori, Luca Marzio, imprenditori, compreso lo stesso Grazio Martucci che oggi ha affrontato il confronto con il nipote.

Il processo ha avuto inizio il 3 febbraio scorso. A fine udienza Denis Loparco denunciò di essere stato minacciato da Tanzarella. “Passandomi davanti mi ha sussurrato: ‘Hai un bel bambino fuori, attento a quello che dici’ “. Nell’udienza del 17 febbraio Loparco depositò una sua memoria nella quale accusò il sindaco e Luca Marzio di essersi serviti di lui e degli altri imputati  per farsi la guerra e di averli scaricati quando ormai non servivano più. E accusò anche i poliziotti del commissariato di Ostuni di essere al soldo di Tanzarella. Fioccarono le querele.

Sono stati anni duri per Ostuni. Attentati incendiari, minacce, condizionamenti che si volevano imporre alla pubblica amministrazione. La gente aveva paura. Il sindaco si ribellò e indicò alcuni nomi sospetti agli investigatori. Seguito da molti imprenditori che non si lasciarono intimidire da Denis Loparco e dai suoi complici. Con l’arresto dei quattro finirono anche gli attentati e le richieste di “pizzo”.

Loparco e soci, secondo l’accusa, pretendevano dal sindaco una percentuale sugli appalti assegnati dal Comune. Pretendevano denaro anche dagli imprenditori e per raggiungere questo loro obiettivo avevano scatenato una guerra del terrore. La testa mozzata di un cavallo, ancora grondante di sangue, condita da cartucce di fucile, depositata dinanzi alla porta dello studio professionale del vice sindaco, il sacchetto con le bombe a mano appeso allo specchietto dell’autovettura di Luca Marzio, le pallottole sul parabrezza, tante auto incendiate. E poi anche ville e cantieri presi di mira.

Non avevano timore di presentarsi in prima persona. Lo fecero con il sindaco, lo fecero con quasi tutti taglieggiati. Ha raccontato questa mattina Ivo Libardo, rispondendo alle domande del pubblico ministero Milto De Nozza: “Un giovedì pomeriggio, mentre rientravo al lavoro, fui chiamato da Alfredo Capone, con il quale era rimasto un rapporto cordiale dopo che l’avevo conosciuto nel carcere mandamentale di Ostuni”.

Libardo, prima di fare l’autista del sindaco, era custode del carcere mandamentale. Incarico comunale che ha ricoperto dal 1984 sino alla soppressione di quegli istituti. “Capone l’ho conosciuto sul finire degli anni Ottanta – ha testimoniato Libardo -, quando fu rinchiuso nel carcere mandamentale per un fine pena. Siamo rimasti in buoni rapporti e, a volte, incontrandoci al bar, ci si offriva il caffè”.

Quel giovedì pomeriggio Capone lo chiamò appunto per offrirgli il caffè. “Quella volta – dice l’autista del sindaco – ebbi la sensazione che la cosa fosse organizzata. Mi cominciò a parlare della mancanza di lavoro a Ostuni. Io risposi che era un dramma nazionale. Ma lui replicò dicendo che era colpa di quello lì, indicando le finestre del Comune dove si trova l’ufficio del sindaco”.

Libardo ha aggiunto: “Capone mi disse che i problemi di Ostuni erano dovuti al fatto che il Comune affidava gli appalti a imprenditori forestieri e questi si portavano la loro manodopera e non assumevano quella locale. Gli spiegai che non era così; che gli appalti erano regolati dalla legge e che il sindaco aveva bisogno di lavorare in tranquillità e non in tutto questo bordello di attentati, minacce. Capone mi rispose: ‘Glielo ho detto al sindaco che con 500 sarebbe tutto finito’. Gli chiesi: ‘500 euro?’ . Lui mi sorrise e aggiunse: ‘Diglielo al sindaco che questa è la nostra richiesta’. Ma io gli risposi che non lo avrei fatto”.

Libardo prosegue: “Capone mi disse di riferire al sindaco anche di lasciar perdere Marzio. ‘Marzio non ha niente a che vedere – aggiunse -. Comunque se a 500 aggiunge altri 200 andiamo a Como e risolviamo noi la questione’. Mentre mi diceva questo fece con le dita il gesto della pistola”. Il Marzio al quale Capone si riferiva, secondo Libardo, era Pietro, imprenditore residente a Como. “il dialogo – ricorda l’autista – finì quando io dissi che non avrei riferito nulla al sindaco perché non volevo essere strumento di nessuno”.

Libardo però lo riferisce dopo quattro o cinque giorni a Tanzarella. “Eravamo partiti per Roma, per un incontro col Papa – ha confermato al pubblico ministero -. Durante la strada glielo dissi chiedendo al sindaco di non tirarmi in ballo. Non per paura ma perché avevo grossi problemi familiari. Invece il sindaco mi disse che al rientro avrebbe riferito tutto ai poliziotti. Io per questo sono stato male e appena arrivati in albergo ebbi un attacco di nausea”. Terminato questo interrogatorio, il processo è stato aggiornato al 14 luglio. Sarà interrogato Giuseppe Schiavone, teste dell’accusa che oggi non si è presentato. Saranno sentiti anche altri testimoni.

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