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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

"Basta a due cerimonie per il 25 aprile"

BRINDISI – Si è salvato dallo sterminio nazi-fascista, poi anche da un pericoloso equivoco con i liberatori sovietici gridando “tovarich” (‘compagno’ ndr, che non è una parolaccia nonostante le rivisitazioni storiche del significato e del significante), perché era stato a scavare con i russi ed aveva imparato in parte la loro lingua. Oscar Pronat, 89 anni, classe 1923, prigioniero nei campi di concentramento tedeschi dal ‘43 al ’45, due anni all’inferno e ritorno, per poi essere liberato dall’Armata Rossa.

BRINDISI – Si è salvato dallo sterminio nazi-fascista, poi anche da un pericoloso equivoco con i liberatori sovietici gridando “tovarich” (‘compagno’ ndr, che non è una parolaccia nonostante le rivisitazioni storiche del significato e del significante), perché era stato a scavare con i russi ed aveva imparato in parte la loro lingua. Oscar Pronat, 89 anni, classe 1923, prigioniero nei campi di concentramento tedeschi dal ‘43 al ’45, due anni all’inferno e ritorno, per poi essere liberato dall’Armata Rossa.

Nel giorno della Liberazione chiede che i partigiani stiano insieme con la storia degli altri Caduti d’Italia. Insieme con gli italiani ed i brindisini, in particolare. Da corso Roma, Pronat lancia un appello: “Portiamo la lapide del brindisino Vincenzo Gigante (medaglia al valor militare, morto nel 1944 nella Risiera di San Sabba) in piazza Santa Teresa dove c'è il monumento ai caduti di tutte le guerre, in modo che questa data diventi, un momento di festa e memoria unico per tutti i brindisini”.

Alla manifestazione hanno partecipato quattro candidati sindaco su cinque: a condividere i valori della giornata c'erano Mimmo Consales, Roberto Fusco, Riccardo Rossi e Giovanni Brigante. Mancava all'appello solo Mauro D'Attis, nessuno lo avrebbe pestato, o fischiato, come ai tempi in cui sopravvivevano le vecchie ideologie. Anzi. Ogni anno, da qualche tempo a questa parte, a Brindisi in occasione del 25 aprile ci sono due manifestazioni parallele. Quella istituzionale di Piazza Santa Teresa e quella di Corso Roma (promossa dall'Anpi, l’Associazione nazionale partigiani d'Italia, di recente formazione in città), per coltivare la memoria dell’eroismo di Gigante.

In piazza Santa Teresa trova condivisione anche a Brindisi la frase del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano pronunciata in occasione dei festeggiamenti per il 25 aprile. Alla tradizionale parata aperta dal prefetto Nicola Prete, c’era il commissario straordinario Bruno Pezzuto insieme con tutte le autorità civili, militari e religiose. Appello condiviso da tutti. “Un giorno di unità, 67 anni di libertà fanno decantare ogni spirito polemico”, dice il prefetto. “Una conquista dei valori della democrazia sui regimi autoritari”, condivide il commissario straordinario.

Eppure a Brindisi due facce della città, pur condividendo uno stesso “fattore comune”, si ritrovavano divise a celebrare una stessa occasione. Corsi e ricorsi della storia, ma forse è per questo che Oscar Pronat, con lacrime di commozione raccontava la sua esperienza di vita: una goccia nell’oceano di uomini e donne scampati allo sterminio nazi-fascista, di storie tragiche ma nutrite di sentimenti carichi di fratellanza e bagaglio di memoria per le generazioni future.

Ecco la sua storia, dall’alto di una memoria lunga 89 anni. “Ho conosciuto Vincenzo Gigante in Friuli Venezia Giulia, non sapevo chi fosse e che sarebbe diventato una grande figura, insieme ponemmo le basi per la creazione delle Formazioni Comuniste di ‘Unità Operaia’. Fui arrestato il 20 settembre del 1943. A Fiume, tutta la città era in mano a quel traditore del generale Gambara, che era passato sotto la bandiera dei nazi-fascisti. Il 9 settembre, lo stesso generale, aveva emesso un proclama su Fiume: tutti i militari dovevano tornare nelle loro caserme o sarebbero stati passati alle armi: uccisi. Non mi fecero fuori perché coltivavano la speranza che potessimo passare alla Repubblica di Salò, che non era ancora nata, ma l’idea era in costruzione”.

E lei che fece?

“Mi sono rifiutato, e con quasi 1.000 italiani fui imbarcato da Venezia, sul piroscafo Eridania e deportato. Ad una nuova richiesta di adesione alla Repubblica di Salò rifiutai ancora e venni deportato a bordo di carri bestiame in Germania”.

Dove e come si svolse la prigionia?

“Prima arrivai nel campo di concentramento di Fürstenberg,  poi ci deportarono in un altro nei pressi di Francoforte e da lì al fronte per scavare trincee e camminamenti per conto dell’Undicesimo delle SS. E’ stata la parte più terribile della mia piccola odissea: freddo, fame, maltrattamenti e morti. Quanti ne abbiamo visti morire. Sveglia alle 4.30 del mattino. Dalle 6 alle 18 scavavamo. La sera rientravamo nel lager. Chi non rientrava era definito un ‘sabotatore’, uno che non voleva lavorare. La realtà è che non tutti ce la facevano. In verità, tutti quelli che non ritrovavamo più il giorno dopo erano stati uccisi. Ci aspettavano sotto la porta del lager, studiavano chi era più stremato, dicevano loro ‘vieni qua’, li portavano nelle loro baracche e sparivano per sempre”.

Come avvenne la sua liberazione?

“Era il 16 aprile del ‘45 quando i russi attaccarono, le SS ci portarono da Francoforte a Berlino. Quattro giorni di marcia a piedi. Alla periferia, c’era la stazione, nella confusione della moltitudine di gente che fuggiva scappai, insieme con un amico di Schio (in provincia di Vicenza). Poi prendemmo un treno bestiame diretto ad est, la direzione contraria a quella da cui i tedeschi fuggivano. Ci nascondemmo in uno scantinato, restammo chiusi per due giorni. Ed arrivarono i russi. Due soldati. Avevamo paura di morire, che gli stessi nostri liberatori potessero ucciderci perché non capivano la nostra lingua! Avevo scavato nelle trincee con loro, avevo imparato molto del loro idioma. Mi feci coraggio e gridai ‘tovarich’ e dissi loro che non ero un nemico ma solo un italiano prigioniero dei lager”.

E loro?

“Mi chiesero di dimostrare quello che dicevo, allora mi sbottonai la camicia e mostrai la piastrina da prigioniero”.

Pronat, lei quella piastrina ce l’ha ancora addosso e mostra con orgoglio il pezzo di metallo che per molti non significherà nulla, ma per lei è stata la salvezza. Cosa accadde dopo?

“Alla vista delle piastrine, scesero negli scantinati una decina di russi. Pensammo fosse finita, invece arrivò un ufficiale giovanissimo. Alla vista della piastrina disse: ‘sono soldati di Badoglio’, e ci salvarono”. Rimanemmo qualche giorno a Berlino, dove rischiavamo la morte ad ogni angolo di strada. C’era la famosa battaglia finale in atto tra le macerie della capitale della Reich, giorni tremendi il 26 e 27 aprile. Fummo liberati nei primi giorni di maggio, spero solo che molti di quei figli di mamma che ho conosciuto siano ritornati sani e salvi a casa”.

E lei come tornò, a casa?

“In bicicletta, dopo giorni di strada a piedi, ne trovai una e iniziai a pedalare”.

Il 25 aprile è una festa di tutti gli italiani?

“Non condivido le parole dell’ex ministro Ignazio La Russa che recentemente, quando era al governo disse: ‘Con i militari sempre, con i partigiani mai’. La Russa non ha mai capito niente della storia”.

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