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"Amici di Mesagne"? E' metodo mafioso. La Dda insiste e va in Cassazione

Basta un riferimento generico agli “amici di Mesagne” anche solo per minaccia, perché si possa ritenere che un reato sia aggravato dal metodo mafioso. La Dda va in Cassazione.

BRINDISI - Basta un riferimento generico agli “amici di Mesagne” anche solo per minaccia, perché si possa ritenere che un reato sia aggravato dal metodo mafioso. Nel caso specifico si tratta di usura e la Dda di Lecce ha deciso di andare fino in fondo, fino in Cassazione per sostenere la propria tesi e per ottenere l’arresto di due brindisini scarcerati poi dal Riesame, Tommaso De Milo e Vincenzo Madaghiele, che insieme ad altre due persone avrebbero contribuito a rivendicare il saldo a un commerciante per un prestito effettuato con tassi usurari.

Il procuratore della Dda Cataldo Motta e il pm Alberto Santacatterina avevano chiarito già in sede di appello al Riesame (dove si contestava la decisione del gip di Lecce di non concedere gli arresti in carcere per i due, non ritenendo sussistente l’aggravante dell’articolo 7) che la frase paga “altrimenti cedo gli assegni a gente di Mesagne di mia conoscenza cui dovrai versare il doppio” è un riferimento “chiaro” alla notoria operatività dell’associazione di tipo mafioso, con il richiamo alla città di Mesagne “località di nascita di Giuseppe Rogoli fondatore della Scu, epicentro delle dinamiche criminali della provincia di Brindisi, centro direzionale dell’attività criminali dell’associazione mafiosa essendo di essa nativi e in essa domiciliati tutti i maggiori esponenti che si sono avvicendati negli anni al vertice del sodalizio mafioso”.

Ed ecco l’elenco: “Rogoli, la moglie Mimina Biondi, il figlio Angelo, Giovanni Donatiello detto Cinquelire, Giuseppe Gagliardi detto Pino sfasciamacchine, Masismo Pasimenti detto Piccolo dente, Massimo D’Amico, detto Uomo tigre, Antonio Vitale detto Marocchino, Massimo Delle Grottaglie, Ercole Penna, i fratelli Pugliese, i fratelli Leo, i fratelli Campana” per “citarne solo alcuni”.

E’ il convincimento della Dda, così come riportato nell’appello, e per cui ora si va in Cassazione. Si punta sul metodo mafioso, non sulla finalità di agevolare un’associazione mafiosa, aggravante che si può contestare “anche a chi senza essere organicamente inserito in un’associazione mafiosa, offra un contributo al perseguimento dei suoi fini, a condizione che tale comportamento risulti assistito da una cosciente e univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio criminale”.

Il Riesame di Lecce, cui avevano fatto aveva deciso il 24 aprile scorso dichiarando inammissibile l’appello per Vincenzo Madaghiele, 74 anni, ex vigile sanitario difeso da Ladislao Massari e Albino Quarta (il Riesame per lui aveva ritenuto non vi fossero gravi indizi neppure a sostegno dell’accusa di estorsione, figurarsi quindi se avrebbe potuto validare il discorso ‘aggravante’) e rigettando lo stesso appello per Tommaso De Milo, 73 anni, riparatore di marmitte difeso dall’avvocato Giacomo Serio. I due vengono arrestati insieme ad altri due soggetti, Giovanni Mauramati, 55 anni, subito scarcerato e Carlo Zuzzaro, 53 anni, dipendente Multiservizi, nell’operazione Sanguisuga. Usura in danno di Giuseppe Barletta, vittima poi arrestata per droga, a suo dire finito in strani giri proprio per colpa degli strozzini.

L’ordinanza la firma il gip di Lecce Giovanni Gallo che concede i domiciliari ai quattro indagati per usura ed estorsione ai danni di Barletta, commerciante di Brindisi e che ritiene non vi sia ragione di contestare il metodo mafioso a Madaghiele e a De Milo. La Dda non è della stessa opinione e porta avanti la battaglia. Il procuratore Cataldo Motta e il sostituto Alberto Santacatterina firmano l’appello. Il 2 aprile, sempre su ordinanza di custodia cautelare chiesta dal pm Luca Buccheri ed eseguita dalla guardia di finanza di Brindisi, viene portato in carcere colui il quale ha denunciato i quattro presunti taglieggiatori, due dei quali ritenuti usurai. E’ ritenuto il procacciatore di mezzi e nascondigli per un carico di 500 chili di marijuana sequestrati a Torre Santa Sabina. L’uomo si sarebbe occupato della logistica per conto di altre persone, arrestate in precedenza.

Il Riesame decide. Ma non soddisfa la Dda che continua a ritenere che vi furono estorsioni e che furono compiute con metodo mafioso. La parola agli Ermellini. 

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