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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Brindisi e Federico II: due lezioni della Società di Storia patria

La Società di Storia Patria per la Puglia, con GranafertArt e Rotary Club “Appia Antica” e il patrocinio del Comune di Brindisi, ha promosso e organizzato una giornata di studi su “Brindisi in età federiciana”

BRINDISI - La Società di Storia Patria per la Puglia, con GranafertArt e Rotary Club “Appia Antica” e il patrocinio del Comune di Brindisi, ha promosso e organizzato una giornata di studi su “Brindisi in età federiciana”. Gli interventi sono stati scanditi su due sessioni, l’una, antimeridiana, con svolgimento nell’Hotel Palazzo Virgilio, l’altra, pomeridiana, nel palazzo Granafei Nervegna.

I lavori sono stati aperti dalla prolusione di Antonio Mario Caputo (Società di Storia Patria per la Puglia) il quale ha inquadrato lo sviluppo di Brindisi in età federiciana nel più ampio contesto della storia medievale della città. Lo scalo portuale di Brindisi era allora  il principale per quanti si dirigessero verso oriente. “Caput terrarum maritimarum Apuliae” è definita da Federico II e  nel mappamondo di Hyggeden del 1360 si afferma: “Apulia, cujus metropolis est Brundision, per istam navigatur in terram sanctam”.

L’importanza di Brindisi, in cui in età sveva hanno sede la zecca e la banca di stato, era anche nella grande produzione agraria dell’entroterra finalizzata ad assicurare regolari approvvigionamenti ai presidi cristiani d’oltremare. Molto esitò nell’intraprendere una crociata: a metà agosto del 1227 Federico era pronto a salpare dal porto di Brindisi. Nell’immediato entroterra erano accalcati al sole cocente ben 42.000 crociati, quando  un’epidemia — almeno cosi sostennero le fonti imperiali — impedì la partenza.

Alla notizia il pontefice Gregorio IX reagì  scomunicando l’Imperatore assieme coloro che avevano contribuito al fallimento della spedizione. Federico  decise ugualmente di partire l’anno successivo, il 1228, ancora da Brindisi senza la benedizione papale. Iniziava così quella che è passata alla storia come la Crociata degli Scomunicati, l’unica spedizione in Terra Santa conclusa vittoriosamente senza spargimento di sangue.

 Giunto in Oriente, Federico II ottenne dal sultano al-Kāmil Gerusalemme, di cui cinse la corona di re il 18 marzo 1229 per i diritti venutigli da Isabella di Brienne, che aveva sposato nella cattedrale di Brindisi il 9 novembre 1225. In Italia frattanto il papa aveva raccolto un esercito che devastava il suo regno; solo dopo lo sbarco a Brindisi, col suo ritorno riuscì a ristabilire la pace.

L’intervento di Giacomo Carito fondato, come tutti quelli proposti nella giornata su nuovi documenti, ha analizzato gli interventi posti in essere dalla svevo a vantaggio della città; l’ampliamento delle aree edificabili, corrispettivo a una grande crescita demografica, ha i suoi punti di riferimento   nel castello di terra, completato il 1233 e in porta Mesagne, relitto della cinta muraria voluta dall’imperatore. Nei nuovi spazi si sviluppano fabbriche tuttavia in essere quali il Cristo dei Domenicani e la Santissima Trinità.

Gabriele Mecca ha affrontato un tema molto particolare analizzando le cause del mancato culto in onore di San Teodoro d’Amasea nei decenni immediatamente successivi all’arrivo delle reliquie. Secondo lo studioso la presenza dei resti mortali del martire, voluta dall’imperatore, s’impose come immagine del suo potere; declinata la fortuna di Federico e seguita la sua morte, fu obliato il  culto per il santo che era proiezione della sua immagine.

In questa vicenda Mecca ha individuato anche un possibile riferimento utile per la miglior comprensione delle leggende a giustificazione dell’origine della processione del cavallo parato nell’occasione del Corpus Domini. La sessione mattutina è stata chiusa dall’intervento di Dario Stomati che ha fatto sintesi delle tesi dibattute anche nel corso di un vivace dibattito.

La sessione pomeridiana si è aperta con l’ampia relazione del prof. Pasquale Corsi, illustre medievalista;   il docente ha evidenziato come nel regno di Sicilia lo svevo attuò una profonda opera di riordinamento ristabilendo l'autorità regia contro i feudatari, riorganizzando i sistemi amministrativi e giudiziari, instaurando un assolutismo che, ben servito da una nuova classe di funzionari fedeli e capaci determinò, nonostante l'esosità di certi monopoli, il benessere delle popolazioni governate.

Creò una monarchia feudale in cui l'equilibrio tra il re e i baroni e tutta l'amministrazione furono assicurati da un forte apparato burocratico alle dirette dipendenze della corona. Sul piano economico creò un consistente demanio; impose un dazio fisso su tutti i beni esportati e importati; creò alcuni monopoli statali commerciali. L'Apulia fu particolarmente coinvolta dal piano di riorganizzazione dello Stato, attuato attraverso una fitta maglia di controllo costituita dal sistema castellare e dalla rete delle città e dei borghi, anche ripopolati, se necessario, come nel caso di Altamura e Lucera.

 Un ruolo fondamentale nella gestione dei vastissimi latifondi demaniali svolsero sia le massarie regie, strutture produttive agro-pastorali, che le foreste, da cui si ricavava il legname impiegato nella costruzione dei castelli. Non minore cura fu dedicata alle coste, inserite nel piano di revisione commerciale che riservò molta attenzione ad alcune città, fra cui Brindisi, sede di un importante cantiere navale e di una zecca.

 Perfezionò l'ordinamento legislativo mediante la promulgazione delle Costituzioni melfitane nel 1231, che per certi aspetti anticipano di molti secoli l'organizzazione degli stati moderni, poiché esse miravano a trasformare lo stato feudale in una ordinata monarchia assoluta, con la sudditanza di tutti i ceti a un unico potere centrale. Di tutto questo Corsi ha proposto come sintesi ideale un poco conosciuto documento imperiale riferito ad Apricena e ai suoi usi civici.

Il mito dell’imperatore si protrasse ben oltre la sua morte; Cristian Guzzo nel suo intervento ha rilevato come diffusa fosse la convinzione di una dormizione dell’imperatore in una qualche caverna. Mistificatori interessati approfittarono dell’attribuzione a Federico di qualità sovrannaturali, come l'ubiquità e addirittura l'immortalità, per proporre dubbi  sulla sua effettiva scomparsa.

Falsi Federico si proposero ottenendo consensi iniziali coronati tuttavia da insuccessi con finali anche tragici. In Sicilia era diffusa la convinzione di una presenza di Federico nell'Etna, in Germania che dormisse nelle viscere di una montagna:  si sarebbe ridestato alla fine dei tempi per ridare al mondo il suo ordine.

Giuseppe Rollo si è soffermato sulla zecca di Brindisi e la coeva politica monetaria federiciana; nell’ampia analisi proposta ha sottolineato la circostanza che la zecca, unica nella parte continentale del regno, avesse funzione anche di banca di stato. Fra le coniazioni spicca quella dell’augustale d’oro, moneta fra le più belle, se non la più bella, del medioevo europeo. Rollo ha evidenziato la costante svalutazione della moneta in età sveva resa evidente dal costante calo della presenza, nelle misture, di metalli di pregio come l’argento.

Rimane al fondo l’ambivalenza di una figura esaltata e demonizzata dai contemporanei; se per Giorgio di Gallipoli era Il principe potente e tre volte beato, Federico, Bagliore di fuoco, la meraviglia del mondo,  per il pontefice Gregorio IX era la personificazione dell’AntiCristo "…la bestia che sorge dal mare carica di nomi blasfemi, e infuriando con la zampa dell’orso e le fauci del leone, informata nelle restanti membra a guisa di leopardo spalanca la bocca a offesa del Santo Nome senza cessare di scagliare la stessa lancia sul tabernacolo di Dio e sui Santi che abitano nei cieli…".

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