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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Intervento/ Caso Eternit: al banco degli imputati non la prescrizione ma un vuoto normativo

La sentenza sul caso Eternit ha riacceso la discussione sui temi della giustizia puntando i riflettori sul tanto discusso e vituperato istituto della prescrizione.

La sentenza sul caso Eternit ha riacceso la discussione sui temi della giustizia puntando i riflettori sul tanto discusso e vituperato istituto della prescrizione. Quest’ultima, piuttosto che rappresentare quello che in effetti dovrebbe e cioè un istituto di civiltà giuridica di diritto sostanziale fondato sulla rinuncia da parte dello Stato ad esercitare la sua pretesa punitiva rispetto a fatti risalenti nel tempo, ha finito per essere considerata come una vera e propria “via di fuga” che consente al malfattore di turno di sfuggire dalle proprie responsabilità, vanificando l'azione repressiva dello Stato a danno delle vittime del reato.

E' indubbio che quando un processo si conclude con una dichiarazione di prescrizione questa rappresenta una sconfitta per la Giustizia, ma il problema va affrontato in maniera più articolata e complessiva e soprattutto scevra da condizionamenti psicologici che possono intervenire sull'onda emotiva di accadimenti che, come quello del “caso Eternit”, sconvolgono le coscienze.

Nel caso di specie, infatti, la prescrizione c’entra poco o nulla. Il problema, a parere di chi scrive, è costituito dalla struttura del reato di disastro; il nostro è un codice che risale al 1930, epoca in cui non era ancora maturata quella coscienza ecologica legata alle problematiche ambientali sviluppatesi successivamente e dove i disastri erano legati ai treni, alle valanghe, ai naufragi e via discorrendo, non già a quei fenomeni oggi tristemente noti di inquinamento diffuso che cagionano danni e seminano vittime.

La struttura del reato di disastro generico, come ha evidenziato l'ex presidente della Corte Costituzionale nonché ex ministro della Giustizia, Giovanni Maria Flick, “è legato a qualcosa che si verifica in un momento storico preciso e circoscritto a un fatto che ha un inizio e una fine, non a un qualcosa che si protrae nel tempo”. Il problema quindi in questo caso risiede, visto come è congegnata la norma, nella diversa interpretazione circa l’individuazione del momento consumativo del reato.

Come ha evidenziato Carlo Federico Grosso infatti, secondo l’interpretazione maggioritaria della Cassazione, “il momento consumativo del reato si verificherebbe quando le condotte che cagionano la situazione di pericolo vengono a cessare”, al contrario, secondo un’interpretazione minoritaria, “la persistenza dell’insorgere di malattie o del verificarsi di decessi impedirebbe invece di considerare concluso il fatto disastroso, che rimarrebbe vivo fino a che tutte le patologie o gli eventi collegati al disastro si siano esauriti. In questa prospettiva il delitto di disastro verrebbe meno soltanto quando si sia verificato l’ultimo decesso o l’ultima malattia collegata alla situazione di pericolo”.

Il punto nodale da affrontare quindi in questa fattispecie non è la prescrizione, additata da tutti come il “male assoluto”, ma questa divergenza di interpretazioni di una norma obsoleta e incapace di disciplinare fenomeni di inquinamento sconosciuti al momento della sua codificazione.

Ed è su questa norma, pertanto, che bisognerebbe intervenire, approvando magari la legge che giace in Parlamento sul disastro ambientale piuttosto che invocare demagogicamente un aumento dei termini di prescrizione, spostando così l’attenzione su di un obbiettivo sbagliato. Il problema di fondo quindi non è costituito dalla prescrizione che esiste sin dai tempi del diritto romano ma piuttosto da una macchina della giustizia farraginosa e sulla quale necessitano interventi complessivi ed organici.

Se si vuole affrontare il tema della prescrizione, senza incorrere in considerazioni populistiche e demagogiche che non approdano da nessuna parte ma che servono solo a confondere le idee, è opportuno soffermarsi a considerare ed analizzare alcuni elementi oggettivi. Dai dati forniti dal Ministero della Giustizia, contrariamente a quanto si sostiene da più parti, dal 2005, data di entrata in vigore della legge ex-Cirielli, il numero delle declaratorie di intervenuta prescrizione si è drasticamente ridotto passando da duecentodiecimila circa a centotredicimila nello scorso anno.

Secondo indagini statistiche dell'Eurispes, mai confutate da alcuno, il 90% dei rinvii dei processi sono addebitabili a disfunzioni dello Stato (mancanza di aule, mutamento dei giudici, carenze di organico, difetto di notifiche ed altro) e solo in percentuale minima per richieste della difesa.

Anche su quest’ultimo aspetto, al fine di sfatare la leggenda metropolitana che vuole la prescrizione dei reati principale conseguenza delle presunte tattiche dilatorie poste in essere dagli avvocati azzeccagarbugli di manzoniana memoria, è importante chiarire che ogni qualvolta una parte privata, imputato o difensore, avanza una richiesta di rinvio del processo, il decorso dei termini di prescrizione viene sospeso impedendo pertanto che il reato possa estinguersi per “iniziative” di parte.

Un fattore rilevante su cui porre l’attenzione è dato dal fatto che, come risulta dalle statistiche fornite dal Ministero, quasi il 70 per cento delle prescrizioni matura nel corso delle indagini preliminari, laddove chi “manovra” non è certo il difensore.

Questi dovrebbero essere i dati e gli elementi sui quali confrontarsi e discutere, il resto è solo propaganda e sterile populismo. L’avvocatura penale ha sempre offerto contributi seri e responsabili sul tema delle riforme in generale ed in particolare sul tema dei tempi del processo, prendendo parte ai lavori delle varie Commissioni Ministeriali insediatesi che hanno affrontato nei loro lavori anche temi spigolosi come quello della prescrizione del processo e dell’azione, stranamente accantonati dal Governo.

Porre in essere una riforma seria dell’istituto della prescrizione significa intervenire sul principio di obbligatorietà dell'azione penale, disporre un controllo sui tempi delle indagini e sui tempi di iscrizione dei nominativi delle persone indagate, prevedere una durata limite delle indagini, oltre ad operare  sulla depenalizzazione e  sul cosiddetto codice penale minimo.

Ma tutto deve essere guidato da una analisi seria ed obbiettiva, scevra da preconcetti e soprattutto libera dalle spinte emotive del momento che finiscono per offuscare ed obnubilare le menti perchè “il sonno della ragione genera mostri”. 

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