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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Stop alle minigonne, ma il buon gusto non si prescrive con un decalogo

Ma come si fa a inscatolare un canone così ampio e variegato, ossia il concetto di "buon gusto", in un provvedimento protocollato a firma di un magistrato? Ci riferiamo alla decisione del presidente del Tribunale di Brindisi di bandire minigonne e short e trasparenze per ottenere l'ok a varcare la soglia di palazzo di giustizia.

BRINDISI - Ma come si fa a inscatolare un canone così ampio e variegato, ossia il concetto di “buon gusto”, in un provvedimento protocollato a firma di un magistrato? Ci riferiamo alla decisione del presidente del Tribunale di Brindisi di bandire minigonne e short e trasparenze per ottenere l’ok a varcare la soglia di palazzo di giustizia. Scelta che ha suscitato imprevedibili polemiche, oltre che uno scalpore forse in parte inatteso, visto e considerato che l’elemento di novità rispetto al passato è l’avviso scritto che è indice di una situazione forse degenerata.

Si badi bene, la questione non è se si debba o meno pretendere dalla gente una cura estetica nell’abbigliarsi in rispetto di una istituzione che non può essere trasformata in una spiaggia. Ma quanto cinque righe protocollate possano garantire effettivamente che ciò avvenga. E soprattutto se la selezione delle tipologie di indumenti incriminati sia sufficiente a garantire il decoro nelle aule di giustizia.

Semplifichiamo. Vero. I pantaloncini corti e le infradito dinanzi a un giudice destano sconcerto. Un docente di greco in pensione che ha formato decine e decine di ragazzi al liceo classico “Calamo” di Ostuni avrebbe sbottato dinanzi a un paio di bermuda: “Non è moralismo, ma tu andresti mai in spiaggia in doppiopetto?”, avrebbe detto, zittendo l’alunno inadeguato di turno.

Ma il criterio che sta alla base del buon gusto, citato qua e là per supportare il provvedimento di Giardino, può essere sintetizzato in un succinto decalogo di abiti da non indossare? E’ insomma tutto così semplice? Ci sono delle splendide donne in gonna, magari anche un bel po’ sopra il ginocchio, che riescono a passare inosservate perché la minigonna che vestono è bella, abbinata con un paio di scarpe basse. Al contrario ci si ritrova un po’ perplessi dinanzi a pantaloni lunghi troppo bianchi abbinati a perizoma nero ben in evidenza. Eppure i pantaloni non sono vietati.

Presidente tribunale, no alle minigonne-2Altra domanda. Se il problema principale al tribunale di Brindisi è costituito dai pantaloncini degli uomini, come tutti i “censori” continuano a ripetere, allora che c’entrano le trasparenze, le scollature e le gonne corte delle donne? Una camicia in seta magari un po’ velata, ma raffinata, potrebbe destare lo stesso sconcerto di un copricostume?

Le t-shirt si possono indossare tranquillamente anche sotto la giacca. Ma, e chi scrive lo dice con cognizione di causa perché frequenta quotidianamente le aule di giustizia, una t-shirt con la scritta “fuck-off” non vale quanto una canottiera da contrabbandiere? E il cattivo odore, talvolta nauseabondo, i capelli sudici, la forfora sulle giacche, non sono altresì il segno di una mancanza di riguardo per l’istituzione? Oltre che maniere di conciarsi concretamente fastidiose per chi svolge il proprio lavoro per ore e ore in aule prive di finestre e pure di aria condizionata?

L’opportunità rispetto al contesto, il buon gusto, l’adeguatezza, il rispetto, come la buona educazione, sono principi non sintetizzabili su un foglio bianco appeso all’entrata di un tribunale. Il metal detector è infallibile nell’isolare armi e oggetti pericolosi che è bene non varchino la soglia di un luogo in cui il rischio di nervosismi è piuttosto alto.
E poi, chi è deputato a giudicare se una “mise” può passare e un’altra no? Un vigilante? Se il malcostume è maschile, mettere in lista una serie di tipicità di vestiario femminile ha un retrogusto amaro. Ha il sapore di una censura un po’ bigotta, più che di un richiamo alla decenza. Al buon costume ci si forma, non lo si può imporre a chi non ne è un habitué. 

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