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Cronaca

Caso Salati, la difesa: "Accuse incogruenti"

MESAGNE - Le motivazioni della sentenza che ha condannato all’ergastolo “Piccolo Dente” saranno depositate tra novanta giorni e il suo avvocato, Marcello Falcone, ha già annunciato che farà appello, continuando a sostenere l’estraneità di Massimo Pasimeni.

MESAGNE - Le motivazioni della sentenza che ha condannato all’ergastolo “Piccolo Dente” saranno depositate tra novanta giorni e il suo avvocato, Marcello Falcone, ha già annunciato che farà appello, continuando a sostenere l’estraneità, rispetto alle accuse del pentito Ercole Penna, di Massimo Pasimeni indicato come il mandante di una barbara esecuzione a bastonate. Oltre che, naturalmente in subordine, a invocare una riqualificazione complessiva dell’intero fatto che parta dal presupposto che l’omicidio non sia volontario, men che meno premeditato, ma preterintenzionale.

Si parla di Giancarlo Salati, detto Menzarecchia, 62 anni, massacrato il 16 giugno del 2009 nella sua abitazione, nel cuore di Mesagne. Morì il giorno dopo in ospedale. La ricostruzione dei fatti, secondo l’accusa sostenuta dai pm Alberto Santacatterina e Valeria Farina Valaori, è piuttosto chiara e si basa su quanto dichiarato dal pentito Penna.

In due, senza dubbio, si recarono a casa dell’uomo e lo gonfiarono di botte, lasciandolo a terra in fin di vita. L’ordine era partito da Massimo Pasimeni per tre ragioni: perché a lui si era rivolto il padre di una ragazzina che aveva appreso dal vociare della gente che forse l’uomo aveva una relazione con la figlia che era incinta (e non di Salati, come si è poi appurato nel corso del processo); per rafforzare l’immagine del boss della Scu oltre che il consenso sociale della stessa organizzazione, l’unica a fornire supporto concreto a chi avesse subito una palese ingiustizia; perché la vittima designata era invisa al capo (che si recò poi al suo funerale e che ha sempre dichiarato di avere buoni rapporti con i famigliari che non si sono costituiti parte civile) a causa del suo passato, troppo vicino a Gioconda Giannuzzi, la moglie di Pasimeni.

Per la difesa del “capo”, che ha scelto di affrontare il rito ordinario, ci sono dei punti ancora da chiarire, dettagli che stridono con la sentenza di giovedì scorso della Corte d’Assise di Brindisi: Pasimeni viene indicato come il mandante, ma non lo è. Poi, se fosse vero quel che dice Penna e cioè che fu lui a impartire l’ordine di uccidere, a chiedere a Penna di occuparsene fidandosi ciecamente al punto di non seguire poi l’evolversi della vicenda (Penna avrebbe incaricato Francesco Gravina, detto Gabibbo, che a sua volta avrebbe assoldato Vito Stano e Cosimo Giovanni Guarini, giudicati in abbreviato e condannati a pene dai 10 ai 30 anni di reclusione) perché Salati sarebbe stato pestato e non freddato con una delle armi dell’arsenale Scu? Perché i due “sicari” lo avrebbero lasciato agonizzante, commettendo così un errore da principianti?

Per Falcone la ricostruzione dei fatti è diversa rispetto a quella operata dai pm e dei poliziotti della squadra mobile di Brindisi e del commissariato di Mesagne che nel 2012 arrestarono tutti e cinque i protagonisti della vicenda nel corso dell’operazione dal nome eloquente, chiamata “Revenge”. Va tenuta in considerazione l’idea che si sia trattato non di truce vendetta ma di un’orribile punizione sfuggita di mano. L’accusa invece ha sostenuto che Menzarecchia, nell’idea di Piccolo Dente, dovesse essere giustiziato proprio in quel modo, perché la eco si diffondesse tutt’intorno e l’immagine della Scu ne uscisse rafforzata. Per quei fatti è stato condannato anche Ercole Penna: i pm avevano invocato una pena pari a 9 anni, la Corte d’Assise gliene ha inflitti 12, tenuto conto delle attenuanti riconosciutegli in virtù suo status di collaboratore di giustizia.

Carcere a vita per Pasimeni, a cui è stata sospesa la potestà genitoriale: tre mesi di tempo, perché le motivazioni siano depositate. Poi si ritornerà a parlare di quell’atroce delitto, ma stavolta in secondo grado.

 

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