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Cronaca San Vito dei Normanni

“Ci facevano lavorare a oltranza, sino a cessata esigenza"

Dalle indagini avviate dai carabinieri della compagnia di San Vito dei Normanni coordinata dal capitano Diego Ruocco emergono condizioni di lavoro degradanti

SAN VITO DEI NORMANNI – “Ci facevano lavorare a oltranza, sino a cessata esigenza. Qualche volta quando dovevamo fare più tardi del solito, la signora Iaia Anna Maria ci faceva capire che c’era ancora molto da fare. Infatti, dopo aver avvisato telefonicamente i famigliari, quella sera sono rientrata alle ore 24. Il giorno successivo, poiché ero stanca e stremata, non sono riuscita a svegliarmi alle ore 3 per recarmi nuovamente a lavoro”.  “Durante le operazioni di raccolta non ci facevano fermare neanche per fumare”, “Iaia Annamaria e Bello Giuseppe distribuivano – al volo – solo una tazza di caffè”, “Le donne più lente venivano rimproverate da Bello Giuseppe a volte con aggettivi offensivi…zoccola, puttana fai veloce che stasera è tardi sennò facciamo notte”.

Sono questi alcuni dei tanti stralci di intercettazioni che hanno permesso ai carabinieri della compagnia di San Vito dei Normanni di incastrare altri tre caporali che operavano nel Brindisino. Altri tre perché lunedì scorso la compagnia di Francavilla Fontana sgominò un altro gruppo dedito allo sfruttamento del lavoro, portando in carcere altri 4 persone, tre delle quali donne.

Oggi le manette ai polsi sono scattate per Annamaria Iaia 50 anni, sua madre Anna Errico 73 anni e Giuseppe Bello 49 anni, tutti di San Vito dei Normanni. Hanno costretto una 40ina di operai di cui 17 donne (11 italiane e sei straniere) ad accettare condizioni di lavoro degradanti sfruttando il fatto che gli stessi avevano necessità di lavorare. Specie gli stranieri, soggetti al rinnovo del permesso di soggiorno.

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Il gruppo è stato sgominato grazie al coraggio di tre operai che stanchi delle condizioni in cui erano costretti a lavorare, stanchi di fare oltre 10 ore di lavoro al giorno, sottopagate e di dover sborsare 10 euro al giorno ai caporali per non perdere il posto, hanno deciso di raccontare tutto ai carabinieri denunciando gli sfruttatori. In tutto nell’operazione sono coinvolte otto persone.

Minacce e soprusi continui in cambio di portare a casa i soldi per sfamare le famiglie “Ah domani vuoi rimanere a casa? Allora rimanici anche lunedì, martedì, mercoledì e poi mi chiami per telefono per farti sapere quando devi riprendere a lavorare”, “a quanti si opponevano o contestavano tali abusi, la signora Iaia Anna Maria e il sig Bello ne minacciavano il licenziamento”.

Dalle indagini è emerso che “i braccianti agricoli venivano impiegati dalle ore 5.30 alle 16 nei giorni feriali e dalle 5 alle 13 nei giorni festivi. Dalle buste paga emesse a favore dei singoli operai si evince un livello retributivo di 301 Operai a tempo determinato conforme (apparentemente) a quello previsto dal Ccnl. In realtà la durata giornaliera effettiva era di ore 10 e 30 minuti a fronte di una durata contrattuale di ore 6 e 30 minuti: l’operaio lavorava ogni giorno per 10 ore e mezza almeno, ma viene retribuito per sole 6 ore  e mezzo”.

Anna Errico detta Memena, madre di Annamaria Iaia, secondo il gip Paola Liaci ha assunto un ruolo determinante nel giro di sfruttamento: si occupava della consegna degli assegni (stipendi) e la contestuale sottoscrizione “per accettazione” della busta paga da parte dei lavoratori. Indicava e riscuoteva le somme illecite che gli operai erano costretti a versare alla figlia “spese carburante o pseudo tali”, in un caso si è anche preoccupata di far riparare il furgone utilizzato per il trasporto degli operai.

Inoltre “ben preparata sul funzionamento della disoccupazione agricola, toglie giornate alle operaie che hanno raggiunto l’obiettivo e le registra ad altre e tiene contatti con la consulente del lavoro impartendo disposizioni sui benefici previdenziali da far conseguire alle lavoratrici così contribuendo alla falsificazione dei prospetti delle presenze giornaliere e mensili, delle buste paga, della documentazione contabile e fiscale della 2 Erre srl e delle relative comunicazioni all’Inps mediante le quali risultavano assunte lavoratrici che in realtà non avevano mai espletato le ore registrate e sottese alla concessione del beneficio”.

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