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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Condannata per un "vaffa" al collega

BRINDISI - “Digli di andare a fanculo”. Per una frase di questo tipo, pronunciata in ufficio e rivolta a un collega, una donna dipendente dell’Agenzia del territorio è stata condannata per ingiuria. Il giudice di pace di Brindisi l’ha giudicata “colpevole” e nel dispositivo ha previsto una pena pari a 400 euro di multa. La donna dovrà inoltre corrispondere al destinatario del “vaffa” una provvisionale di mille euro, mentre l’ammontare del danno da risarcire andrà liquidato in sede civile.

BRINDISI - “Digli di andare a fanculo”. Per una frase di questo tipo, pronunciata in ufficio e rivolta a un collega, una donna dipendente dell’Agenzia del territorio è stata condannata per ingiuria. Il giudice di pace di Brindisi l’ha giudicata “colpevole” e nel dispositivo ha previsto una pena pari a 400 euro di multa. La donna dovrà inoltre corrispondere al destinatario del “vaffa” una provvisionale di mille euro, mentre l’ammontare del danno da risarcire andrà liquidato in sede civile.

I fatti risalgono al 2005, il processo è iniziato nel 2007 e si è concluso nei giorni scorsi con il pronunciamento del giudice di pace, l’avv. Francesco De Vitis che ha dato ragione a Donato Buttiglione, difeso dall’avvocato Giampiero Iaia. L’imputata è Rosa Schena, 61 anni, di Fasano, assistita dall’avvocato Giacomo Cofano.

Secondo quanto raccontato dall’uomo che aveva sporto denuncia querela, la lite in un ufficio in cui l’atmosfera era già piuttosto tesa, era scoppiata per via di un attaccapanni per cappotti sul quale i due colleghi stavano dibattendo. C’era una terza persona, un altro dipendente dello stesso ufficio che condivideva la stanza con la donna che si era fatto portavoce di una richiesta liquidata con un “dì a Buttiglione di andare a fare in culo”.

L’offesa non era stata riferita, bensì ascoltata dal diretto interessato che, quindi, ha deciso di adire le vie legali e non soltanto per battere cassa, ma per vedere condannata la controparte, ritenendo di essere stato offeso nel proprio onore e decoro.

Nel corso del dibattimento è stato ascoltato il povero “ambasciatore” del “vaffa” che a stento ha confermato i fatti, pur non volendo affatto ricoprire quell’ingrato ruolo di terzo incomodo fra i due litiganti. Unica persona che, attraverso il proprio racconto, poteva garantire che le accuse rivolte all’impiegata non erano il frutto di pura invenzione.

La motivazione del giudice di pace di Brindisi è stata depositata all’inizio della settimana ed è stringata. I fatti vengono ricostruiti con precisione, così come risulta dagli atti del processo. Quell’espressione, frutto forse di un momento di rabbia in cui è venuto meno l’autocontrollo che si deve tenere, specie in un ufficio pubblico, si rivela parecchio fastidiosa non solo per chi l’ha subita, ma anche per chi se l’è lasciata sfuggire.

Sono 400 euro di multa (si tratta comunque di una sanzione penale), più mille euro che costituiscono solo una anticipazione della somma totale che andrà versata come risarcimento. Il “vaffa”, insomma, all’impiegata è costato davvero caro.

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