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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Discarica, imprese denunciano Veolia

BRINDISI - Un debito di 500 mila euro per interventi di messa in sicurezza di una discarica di rifiuti pericolosi, una sorta di bomba ecologica nella zona industriale di Brindisi che rischiava ad un certo punto di restare a cielo aperto e che, a quanto pare, ha già provocato l'inquinamento del sottosuolo. E come se non bastasse, il sospetto, opportunamente girato alla magistratura, che l'azienda debitrice, la francese Veolia che è responsabile degli adempimenti post-chiusura dell’impianto, secondo il contratto pubblico d’appalto stipulato con il Consorzio Asi, sapesse perfettamente di versare in stato di crisi prima di subappaltare ulteriori lavori di "capping" a due ditte brindisine che hanno costituito un'Ati e che attendono ancora di essere pagate.

BRINDISI - Un debito di 500 mila euro per interventi di messa in sicurezza di una discarica di rifiuti pericolosi, una sorta di bomba ecologica nella zona industriale di Brindisi che rischiava ad un certo punto di restare a cielo aperto e che, a quanto pare, ha già provocato l'inquinamento del sottosuolo. E come se non bastasse, il sospetto, opportunamente girato alla magistratura, che l'azienda debitrice, la francese Veolia che è responsabile degli adempimenti post-chiusura dell’impianto, secondo il contratto pubblico d’appalto stipulato con il Consorzio Asi, sapesse perfettamente di versare in stato di crisi prima di subappaltare ulteriori lavori di  "capping" a due ditte brindisine che hanno costituito un'Ati e che attendono ancora di essere pagate.

E' un groviglio sul quale chiedono chiarimenti i due rappresentanti legali della Cogit costruzioni Spa di Francesco Perrino, con sede a Brindisi, e la Caved Srl con sede in Mesagne, di Carmelo De Nitto, imprenditore che in qualità di amministratore dell’azienda capofila firma un esposto inviato in procura, e che si è affidato all'avvocato Cosimo Pagliara il quale in 13 pagine ha raccontato una vicenda dai contorni ancora sfocati da cui emerge una verità, e cioè che la messa in sicurezza della discarica che si trova sulla via per Pandi, nella zona industriale di Brindisi, potrebbe non essere ultimata perché non ci sono più soldi.

I lavori sono urgenti, perché l'Arpa ha rilevato la "contaminazione della falda sottostante a causa della presenza di solfati, manganese e selenio oltre i limiti di legge". Ma, riavvolgendo il nastro, veniamo alle ragioni per cui gli imprenditori hanno scritto al procuratore della Repubblica di Brindisi chiedendo di valutare se negli ultimi mesi siano state messe in atto condotte che hanno rilievo penale.

La Veolia Servizi Ambientali Tecnitalia Spa aveva rilevato da Termomeccanica la piattaforma per il trattamento e lo stoccaggio di rifiuti industriali di proprietà Asi, inclusi gli oneri di chiusura e messa in sicurezza della discarica esaurita “ex 2c" nella zona industriale di Brindisi. Si trattava di un appalto da circa 2 milioni di euro che vincolava l'azienda a completare i lavori che invece sono stati al momento eseguiti all'85 per cento. Veolia avrebbe inoltre dovuto eseguire opere di caratterizzazione dell'area, così come dalle prescrizioni ricevute al termine della conferenza dei servizi presso il ministero dell'Ambiente del 2004.

L'8 giugno 2010 sono stati subappaltati i lavori all'Ati costituita dalle due imprese brindisine, il 20 aprile 2011 essi sono stati interrotti perché si è verificato lo scivolamento dello strato drenante del terreno. Non c'era ancora l'ombra dei problemi economici che hanno condizionato il prosieguo della storia. L'imprevisto di cui sopra è importante e va necessariamente citato perché ha comportato la necessità di modificare il costo dell'opera con un importo aggiuntivo pari a 113mila euro.

L'8 settembre era tornato tutto nella norma. La Veolia aveva potuto comunicare all'Asi che non c'era più alcun problema, allo scivolamento si era ovviato potendo così consentire all'Ati di riprendere il filo del discorso bruscamente interrotto da un evento eccezionale e imprevedibile. A gennaio 2012 i lavori sono stati riavviati, i parametri contrattuali sono stati in parte modificati con l'inclusione di atti aggiuntivi. Non si trattava di varianti gradite dai subappaltatori che tuttavia avevano dovuto accettarli perché c'erano in sospeso i pagamenti per numerose opere già eseguite e ancora non saldate.

Successivamente, intorno alla primavera, la tegola: "Si è venuti a conoscenza - si legge nella denuncia querela - che in data 20 aprile, a poco più di quaranta giorni dalla sottoscrizione degli addenda e solo 18 giorni dopo l'inoltro dei citati ordini di acquisto, il Tribunale della Spezia aveva emesso decreto di apertura della procedura di concordato preventivo della Gestioni ambientali snc di Termo Energia Calabria Spa e dei soci illimitatamente responsabili".

"Lo stato di crisi dell'impresa che accede al concordato preventivo nel quale certamente versava Veolia al momento della sottoscrizione - prosegue - non solo non può essere considerato come fatto accidentale e sopravvenuto, ma verosimilmente era noto agli amministratori dell'azienda già nel momento in cui era stato deciso di affidare i lavori per la discarica in subappalto all'Ati Caved - Cogit". Insomma, sostengono i creditori che Veolia sapeva tutto, quantomeno sul piano formale, dal 24 febbraio 2012, se non addirittura dagli ultimi mesi del 2011.

Per i denuncianti c'era quindi "un disegno criminoso", rappresentato alla procura di Brindisi, volto ad ottenere "il massimo profitto a costo pressoché nullo". Ciò consiste nella "consapevolezza che alla scadenza del termine per il pagamento del corrispettivo" il subappaltatore "non avrebbe ricevuto alcun pagamento trovandosi travolto dalla procedura concordataria di una società non più in grado di adempiere alle scadenze e agli impegni presi".

Il 30 maggio è stato comunicato a Veolia che l'Ati aveva avviato le procedure di recupero crediti, affidandosi a un legale e ha sospeso tutti i lavori fino al pagamento delle spettanze, prima di intraprendere (il termine era di 5 giorni) ogni azione in sede civile e penale per tutelarsi. Sono stati effettuati interventi per 500mila euro (mai visti, stando a quanto affermano le aziende dell'Ati) che per altro rivestono interesse pubblico. La discarica "per rifiuti speciali e pericolosi" è sita a pochi chilometri dal centro del capoluogo, spiegano i denuncianti. Dall'interruzione dei lavori "potrà derivare un rilevante e incalcolabile danno ambientale, di portata non comune che rischia di riverberare i propri effetti su tutto il territorio cittadino".

L'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ha già espresso il proprio parere. Le falde sono contaminate: "Il liquido rinvenuto nei pozzi di monitoraggio era correlabile al percolato di discarica" e c'era inoltre una possibile "dispersione dello stesso causata da una lesione delle strutture di contenimento dei rifiuti". Una potenziale bomba ecologica, come si diceva, il cui disinnesco è condizionato al versamento di 500mila euro da parte di Veolia. Un importo tutto sommato irrisorio rispetto all'entità delle conseguenze che, a quanto denunciano i due imprenditori brindisini, potrebbero essere causate dal permanere in quello stato di una discarica che va assolutamente messa in sicurezza.

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