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Cronaca

“Dolente e confuso quando lasciò sei milioni di euro in eredità al falegname”

Depositate le motivazioni della condanna di Nuri Guga a tre anni in relazione al patrimonio a lui lasciato da Aldo Farinola, ex titolare del Desirée, morto a 93 anni: l'albanese aveva in fitto una casa dell'imprenditore che lo conobbe otto mesi prima. Le ultime volontà scritte il 16 agosto, il 31 il decesso. Giallo su alcune lettere

BRINDISI – “Il processo ha dimostrato quale fosse lo stato terminale di prostrazione psicofisica, di vulnerabilità, di preminente assenza e confusione di Aldo Farinola quando rilasciava a Nuri Guga il testamento contenente la nomina a erede universale in favore dell’imputato”.

Il tribunale di BrindisiA giudizio del Tribunale di Brindisi non era per niente lucido l’ex titolare del ristorante Desiré a mare (era ospitato nel palazzo oggi sede dell’Autorità portuale) nel periodo in cui dispose delle sue ultime volontà, un patrimonio del valore di sei milioni di euro, tra beni immobili e conti correnti, in favore di Guga: aveva 93 anni, era “dolente e confuso” quando i suoi averi passarono nelle mani di quel cittadino di nazionalità albanese, residente a Brindisi da anni, conosciuto appena otto mesi prima. Quando era già malato. Non più nel pieno delle sue facoltà, tanto da “perdersi in strada o vagare in pigiama in Centro”.

Sono queste le motivazioni che hanno portato alla  condanna a tre anni di reclusione per Guga, cittadino di origine albanese residente da diverso tempo a Brindisi, unico imputato, unico imputato accusato di circonvenzione d’incapace in relazione alle condizione di salute di Farinola: il decesso risale al 31 agosto 2009, il testamento non più tardi del 16 dello stesso mese.  

I difensori di Guga, Roberto Cavalera e Maurizio Mele, hanno cercato di respingere l’accusa, sebbene l’imputato abbia rifiutato di sottoporsi all’esame. A motivazioni depositate possono valutare se presentare Appello avverso la condanna chiesta e ottenuta dal pubblico ministero Milto Stefano De Nozza e dagli avvocati delle parti civili, Gianvito Lillo (foto in basso) e Vito Epifani che in giudizio hanno rappresentato i familiari di Farinola, di fatto esclusi dall’eredità. Quando scoprirono che erede universale era Guga decisero di adire le vie legali e si costituirono nel processo penale, mentre quello civile è ancora pendente.

Secondo l’accusa, confermata dal Tribunale, in composizione monocratica, Guga “approfittando o abusando dello stato di infermità psichica, di deficienza fisica o comunque di gravissima infermità fisica di Aldo Farinola”, tale da “impedirgli di formulare e manifestare una volontà testamentaria consapevole”, lo avrebbe “indotto a redigere un testamento olografo, pubblicato a mezzo del notaio Michele Errico” secondo il quale era l'erede universale di tutti i suoi beni immobili e mobili”. Il notaio, attuale consigliere politico della sindaca di Brindisi, è stato ascoltato come teste ma non è stato in grado di riferire sulle effettive capacità di Farinola.

I familiari, gli amici, i medici che lo hanno assistito e i vicini di casa sì. Lo hanno ricordato come un “uomo distinto, elegante, sempre con la giacca e la cravatta, colta, di cultura, molto legato alla sua famiglia, ai fratelli, alle sorelle, ai nipoti e ai pronipoti”.Tali dichiarazioni hanno pesato su tre fronti: prima di tutto sul piano del legame tra parenti, tale non giustificare una disposizione in favore di Guga che Farinola ebbe modo di conoscere negli ultimi tempi, quando prese in affitto una delle abitazioni. Aveva perso il posto di lavoro fisso, “percepiva un reddito di 800 euro, ne pagava 400 di affitti, aveva moglie e quattro figli”. In secondo luogo, per il Tribunale è rilevante la descrizione dell’imprenditore negli ultimi tempi: “Era trascurato non solo nel vestire, ma nei ragionamenti. Lo videro persino rovistare nei cassonetti della spazzatura”. Da ultimo non va dimenticato il tenore delle stesse ultime volontà: “il testamento esprimerebbe nel suo contenuto i limiti di chi lo ha dettato ovvero diretto”.

Gianvito LilloA riferire questi particolare è stato anche il titolare della friggitoria Romanelli, Carlo La Rocca, ritenuto non attendibile dalla difesa perché ha riferito in udienza di incontri frequenti che avvenivano al mattino tra lui e Farinola, nelle ore in cui il primo avrebbe dovuto essere al lavoro presso il centro anziani del Comune essendo dipendente dei Servizi sociali. Il giudice ha aperto una parentesi sulla deposizione del teste: “Appare il caso di sottolineare – si legge nella sentenza – che nulla impediva a La Rocca di incontrare l’imprenditore al mattino, nelle giornate di sabato, domenica, prima di entrare in ufficio o dopo, nei periodi di congedo, il tutto a voler prescindere da possibili e non improbabili elusioni patologiche della prestazione lavorativa da parte dell’impiegato”. Contestazione che poi la Procura ha mosso chiedendo l’arresto.

Per il Tribunale è certo, nel senso di provato, che “Farinola fosse in uno stato oggettivamente percepito di obiettiva compressa capacità di autodeterminarsi, in alcuna misura messo in discussione da alcuno degli elementi addotti dalla difesa”. Non hanno avuto margine di credibilità le lettere che i difensori hanno prodotto, missive che Guga ha sempre sostenuto di aver ricevuto dall’anziano e che sarebbero espressione di amore fraterno o comunque di un rapporto amicale. Circostanza smentita dal Tribunale, secondo il quale la “condotta dell’imputato è stata subdola” di fronte a un uomo “costretto a letto, dolente, spesso tra la veglia e il sonno, sofferente per patologie allo stato terminale, vulnerabile, in una situazione di declino cognitivo e di indebolimento mentale che gli impediva di resistere a qualunque richiesta”.

Le lettere sarebbero pervenute a “mezzo posta presso l’abitazione dell’imputato e tuttavia fatalmente non sarebbero state conservate tutte le buste che avrebbero potuto dimostrare la loro provenienza e la data. Fatta eccezione per una che risale al 14 agosto e che sarebbe stata consegnata dall’anziano assieme al testamento nelle mani di Guga. Per l’accusa e per il giudice sono sintomatiche della “condizione di estrema vulnerabilità e scarsa lucidità di Farinola, segnate da sottese pressioni poste in essere dall’imputato nel periodo in oggetto”. Che per questo è stato ritenuto colpevole e condannato in primo grado.

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