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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Dopo l’intervento perse l’uso del braccio: medici condannati a risarcire il danno

BRINDISI - Aveva 26 anni quando si sottopose ad un intervento chirurgico per la rimozione di un linfonodo al collo, rimanendo invalida nell’uso del braccio sinistro. Arriva solo oggi la sentenza del giudice monocratico di Brindisi Donatella De Giorgi che riconosce nelle conseguenze subite dalla paziente, un danno da colpa medica. Il tribunale ha quantificato quel danno in 85mila euro che i due chirurghi brindisini in forza all’ospedale Di Summa, Antonio Savoia e Giovanni Faggiano, dovranno pagare in solido. Una storia vecchia di 13 anni, che potrebbe avere ulteriori strascichi processuale se la sentenza dovesse – com’è prevedibile – essere oggetto di ricorso. Tutto ha inizio il 23 ottobre 1998, quando la paziente viene ricoverata nella divisione di Chirurgia plastica del Di Summa, a Brindisi, dove viene sottoposta a un intervento per l’asportazione di un linfonodo al collo.

BRINDISI - Aveva 26 anni quando si sottopose ad un intervento chirurgico per la rimozione di un linfonodo al collo, rimanendo invalida nell’uso del braccio sinistro. Arriva solo oggi la sentenza del giudice monocratico di Brindisi Donatella De Giorgi che riconosce nelle conseguenze subite dalla paziente, un danno da colpa medica. Il tribunale ha quantificato quel danno in 85mila euro che i due chirurghi brindisini in forza all’ospedale Di Summa, Antonio Savoia e Giovanni Faggiano, dovranno pagare in solido. Una storia vecchia di 13 anni, che potrebbe avere ulteriori strascichi processuale se la sentenza dovesse – com’è prevedibile – essere oggetto di ricorso. Tutto ha inizio il 23 ottobre 1998, quando la paziente viene ricoverata nella divisione di Chirurgia plastica del Di Summa, a Brindisi, dove viene sottoposta a un intervento per l’asportazione di un linfonodo al collo.

Viene dimessa due giorni dopo. La donna lamenta da subito dolori nel movimento del braccio sinistro e qualche mese dopo si sottopone ad un esame elettromiografico che scopre il fattaccio. Il referto è lapidario: “grave lesione del nervo accessorio spinale sinistro, con grave denervazione totale dei muscoli trapezio ed elevatore della scapola con paresi del muscolo sternocleidomastoideo”. Negli anni successivi, la signora è costretta a sottoporsi a numerosi cicli riabilitativi, controlli e ulteriori interventi chirurgici alla spalla sinistra. Un calvario destinato a non avere fine: la 40enne rimane invalida al 22 per cento, l’uso del braccio è irrimediabilmente compromesso. E’ a questo punto che decide di rivolgersi alla magistratura, chiedendo assistenza legale all’avvocato Antonello Anglani.

Faggiano chiama in garanzia la compagnia di assicurazione Aurora. Il medico sottolinea che nel corso dell’intervento chirurgico si era limitato a prestare assistenza al primo operatore Antonio Savoia, direttamente impegnato nell’intervento. Non solo, “aggiungeva – scrive il giudice civile nella sentenza – di aver prestato corretta assistenza medica alla signora Montrano prima e dopo il contestato intervento, anche informandola dei rischi fisiologici connessi a trattamenti chirurgici coinvolgenti terminazioni nervose”. Il primo operatore, dottor Savoia, si era limitato a sottolineare che in 35 anni di attività aveva eseguito un numero incalcolabile di interventi identici senza mai incorrere in alcun incidente.

Per il giudice monocratico le cose stanno altrimenti. “Nella cartella clinica relativa all’intervento del 23 ottobre 1998, in cui si da atto che è stato sacrificato un piccolo nervo cutaneo, da successivi esami ecografici ed elettromiografici, nonché dalle stesse dichiarazioni scritte redatte dal dottor Savoia, risulta con certezza che la lesione del nervo accessorio di sinistra si è verificata durante l’intervento di asportazione del linfonodo alla base del collo”. La conseguenza, per lo stesso giudice, è lampante: “E’ pertanto acclarato il nesso causale tra tale intervento chirurgico e la lesione oggi lamentata”.

“Va pertanto rilevato – prosegue il magistrato – che la rimozione biologica di un linfonodo in zona cervicale rappresenta un intervento di routine, che tuttavia proprio per la presenza nella zona di numerose strutture anatomiche vascolari e nervose, impone particolare attenzione nella scelta della tecnica operatoria e ove sia scelta, come nel caso di specie, la biopsia linfonodale è dovuta all’operatore una particolare attenzione durante l’intervento di asportazione del linfonodo, proprio per evitare lesioni come quelle nella specie verificatesi”.

L’errore insomma sarebbe stato evitabile con l’uso della dovuta diligenza. Ma c’è di più. Prima di essere sottoposta all’intervento, alla donna non si chiede di firmare il foglio di consenso informato, non sa dunque né quali rischi corre né le viene prospettata l’ampia gamma di possibilità di intervento per rimuovere il linfonodo, fra le altre la tecnica dell’ago aspirato. Tanto quanto basta per riconoscere alla “giovane mamma”, così scrive il giudice nella sentenza, il danno subito, biologico, morale e alla vita di relazione e patrimoniale.

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