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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Droga tra il Salento e l’Albania: condannati quattro brindisini

Gli imputati giudicati con rito abbreviato: pene comprese fra quattro e otto anni

BRINDISI – Quattro brindisini sono stati condannati, in primo grado, dopo essere stati coinvolti nell’inchiesta sul traffico di droga tra le coste del Salento e quelle dell’Albania. Traffico che secondo i pm dell'Antimafia di Lecce sarebbe avvenuto con sbarchi anche lungo la costa a Sud di Brindisi.

Le condanne

Questi gli imputati brindisini: Vincenzo D’Ignazio (nella foto accanto), 39 anni, di Brindisi, è stato condannato alla pena di sei mesi di reclusione e seimila euro; cinque anni, otto mesi e 44mila euro per Yuri Rosafio (nella foto in basso), 40, di Brindisi; cinque anni, otto mesi e 44mila euro di multa anche per Cristian Quarta, 39, di San Pietro Vernotico; quattro anni e 14mila euro di multa per  Luciano Pagano, 42, di Brindisi. L’accusa sostenuta dai pm  è stata confermata dal gup anche nei confronti degli imputati residenti nella provincia di Lecce.

La sentenza

La sentenza è stata pronunciata dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Lecce, Cinzia Vergine, di fronte al quale è stato incardinato il processo con rito abbreviato chiesto dai difensori. Nel conteggio della pena, quindi, il gup, ha operato la riduzione di un terzo come previsto dal rito alternativo al dibattimento. Le motivazioni saranno depositate nel termine di 90 giorni. Gli avvocati difensori hanno già anticipato che ricorreranno in Appello.

L’inchiesta

Jury Rosafio-2Il verdetto di primo grado si riferisce al procedimento penale tenuto a battesimo con il nome Federico II, fascicolo aperto dai pubblici ministeri della Direzione  antimafia di Lecce. Il blitz con gli arresti in carcere di diversi indagati risale al 12 dicembre 2016.

Figura di primo piano, per l’accusa, è Andrea Leo di Vernole al quale gli inquirenti riconducono la gestione del business della droga con il coinvolgimento di familiari: il gup lo ha condannato alla pena di 16 anni di reclusione. Secondo i pm sarebbero stati coinvolti la compagna Maria Valeria Ingrosso e il cognato Alessandro Antonucci: la donna, di Merine, è stata condanna a undici anni e otto mesi, mentre lui che risiede a Lizzanello alla pena di 16 anni e otto mesi.

Fonti di prova

 Fonti di prova, in aggiunta ai pedinamenti, sono le intercettazioni ambientali rese possibili nel momento in cui  i finanzieri riuscirono a nascondere  una cimice a casa di Massimo Signore, in quel periodo agli arresti domiciliari, e di Gabriella De Dominicis, sua moglie. Quest’ultima oggi è stata condannata dal gup a 18 anni, cinque mesi e dieci giorni di reclusione. Le intercettazioni hanno reso possibile identificare gli altri.

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